L’impugnazione del piano di zonizzazione acustica, di Fabio Cusano

Il Cons. Stato, sez. VII, 2 gennaio 2024, n. 42 ha ribadito che in materia di impugnazione dei piani territoriali, l’interesse a ricorrere va di regola documentato con riferimento alla titolarità di aree direttamente incise dalle scelte pianificatorie: ciò allo scopo di evitare che un eccessivo allargamento della legittimazione apra la strada a forme di azione popolare non previste dall’ordinamento. Tuttavia, anche in materia di piani urbanistici non è affatto escluso che i cittadini residenti nel Comune interessato possano impugnare anche parti del piano non riguardanti direttamente le loro proprietà, laddove dimostrino che le scelte pianificatorie incidono sul godimento e sul valore di esse. Inoltre, in materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio. Ciò rileva sotto un duplice aspetto. Da un lato, rileva l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata. Da un altro lato, rileva l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria. Pertanto, non può essere dato rilievo esclusivo agli usi effettivi “in atto” sul territorio, perché essi si limitano a rappresentare (staticamente) la realtà dell’uso del territorio, trascurando l’aspetto dinamico del suo governo.

L’odierno appellante esponeva che il Consiglio comunale aveva approvato il Piano di Classificazione Acustica del Territorio Comunale con il quale era stata attribuita alla piazza la classe acustica IV nel periodo estivo e III nei rimanenti periodi dell’anno. Avverso i suddetti provvedimenti l’odierno appellante aveva proposto ricorso. Il Tar adito aveva respinto l’impugnazione rilevando, in via preliminare e assorbente, l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, sul rilievo che il Piano di Classificazione Acustica del Territorio Comunale, oggetto di impugnazione, è atto regolamentare a carattere generale e che gli atti generali non immediatamente lesivi non sono direttamente impugnabili, occorrendo attendere l’emanazione dei conseguenti atti esecutivi.

Appellata ritualmente la sentenza, resiste il Comune.

Ritiene il Collegio di superare il profilo di inammissibilità dell’impugnazione del Piano di zonizzazione acustica per assenza di lesività. Ed invero, la Sezione non ignora il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in materia di impugnazione dei piani territoriali, l’interesse a ricorrere va di regola documentato con riferimento alla titolarità di aree direttamente incise dalle scelte pianificatorie: ciò allo scopo di evitare che un eccessivo allargamento della legittimazione apra la strada a forme di azione popolare non previste dall’ordinamento. Tuttavia, anche in materia di piani urbanistici non è affatto escluso che i cittadini residenti nel Comune interessato possano impugnare anche parti del piano non riguardanti direttamente le loro proprietà, laddove dimostrino che le scelte pianificatorie incidono sul godimento e sul valore di esse (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, nr. 5516).

Siffatta situazione si verifica, a fortiori, laddove siano dedotti motivi di censura tali da travolgere il piano nel suo complesso, in quanto involgenti l’impostazione di fondo dell’attività pianificatoria ovvero radicali difetti di istruttoria a monte dell’attività medesima. La questione dell’immediata impugnabilità del Piano in discorso, quindi, non si presta ad una risposta univoca, in ragione dell’approccio casistico ricavabile dalla giurisprudenza in materia. In particolare, in una fattispecie in cui il piano era stato impugnato con riferimento alla classificazione acustica impressa ad un’area industriale di proprietà della ricorrente è stato ravvisato l’interesse ad agire, dovendo l’impresa programmare l’attività produttiva secondo parametri che, sul piano acustico, siano coerenti con la destinazione e l’utilizzo dell’area (Cons. Stato, Sez. II, 1 giugno 2022, n. 4501).

In un caso di impugnazione del piano da parte di residenti le cui aree non erano tuttavia direttamente incise da una classificazione negativa, è stato affermato che, anche in materia di piani urbanistici, non è affatto escluso che i cittadini residenti nel Comune interessato possano impugnare anche parti del piano non riguardanti direttamente le loro proprietà, quando dimostrino che le scelte pianificatorie incidono sul godimento e sul valore di esse, a fortiori laddove i motivi di censura siano tali da travolgere il piano nel suo complesso, in quanto involgenti l’impostazione di fondo dell’attività pianificatoria ovvero radicali difetti di istruttoria a monte dell’attività medesima (Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301).

L’appello deve essere, tuttavia, respinto.

L’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l’ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale (Cons. Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2018, n. 135). Il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non sconfinare nel merito delle scelte discrezionali adottate dall’amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301). Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023, n. 6451; Cons. Stato, Sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097).

In proposito giova richiamare quanto affermato da questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2019, n. 8443), secondo cui in materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio. Ciò rileva sotto un duplice aspetto. Da un lato, rileva l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata. Da un altro lato, rileva l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria.

Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non può essere dato rilievo esclusivo agli usi effettivi “in atto” sul territorio, perché essi si limitano a rappresentare (staticamente) la realtà dell’uso del territorio, trascurando l’aspetto dinamico del suo governo.

Ed è su tale dinamicità che si regge, invece, la ratio della disciplina legislativa statale e di quella regionale, entrambe sostanzialmente rivolte a perseguire l’obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall’inquinamento acustico.

L’appellante afferma che alla piazza non poteva essere attribuita la classe acustica III e IV (quest’ultima nel periodo estivo), in quanto trattasi di un’area che sarebbe circondata da villini residenziali, confinante con il mare e attraversata da una strada a traffico locale che peraltro viene limitato (con ordinanza comunale) nel periodo estivo.

Tuttavia, come precisato dalla Commissione Acustica, l’area in argomento è attraversata dalla viabilità principale e di collegamento. Inoltre, la piazza di cui trattasi si trova a meno di 1 km dal Porto e costituisce un luogo intensamente frequentato nel periodo estivo dai numerosi turisti che affollano l’isola in quanto situata in pieno centro urbano.

L’art. 6, comma 3°, della l. 27/10/1995, n. 447, prevede che: “i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a), secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera f) …”. La citata norma consente (e non obbliga) i Comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico, ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione dell’emissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l’esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l’istituzione di fasce orarie in cui soltanto possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest’ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cons. St., Sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265). Quanto sopra, fermo restando i limiti all’immissioni sonore previste dalla l. n. 447 del 1995, i quali non possono comunque essere diminuiti (Cass. civile, sez. I, 1/09/2006, n. 18953).

Non si può, pertanto, configurare la paventata violazione di legge in quanto la norma in commento consente e non obbliga i Comuni ad individuare una più specifica regolazione delle immissioni, fermo restano l’impossibilità di diminuire i limiti di emissione sonora prescritti dalla citata normativa.

L’appello deve essere, pertanto, respinto.