Le osservazioni dei privati nell’adozione del PRG di Fabio Cusano

CS_21_2023

Con la sentenza 2 gennaio 2023, n. 21, il Cons. Stato, sez. IV, ha ribadito che le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, seppure l’Amministrazione sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essa essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse. Ne deriva che il Comune non ha un obbligo di risposta specifica alle osservazioni presentate dai privati nel corso del procedimento di approvazione dello strumento urbanistico generale, perché queste non costituiscono un rimedio giuridico, ma un apporto collaborativo.

Ciononostante, le previsioni del piano urbanistico comunale (o di altro strumento urbanistico) possono subire, in sede di approvazione definitiva, delle modifiche rispetto a quelle contenute nel piano (o nello strumento) adottato. Ciò è un effetto del tutto connaturale al procedimento di formazione del suddetto strumento urbanistico, che, per l’appunto, contempla, all’atto dell’approvazione definitiva, la possibilità di cambiamenti in conseguenza dell’accoglimento delle osservazioni pervenute.

Nella fattispecie, con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno dedotto che non sia stata fornita risposta idonea alle osservazioni presentate nel corso del procedimento di adozione del PRG in violazione delle previsioni di cui all’art. 17, comma 5, della L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1. Ad avviso del Consiglio, il motivo in esame è infondato.

In diritto, si evidenzia che, secondo il consolidato orientamento del Consiglio “Le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, seppure l’Amministrazione sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essa essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse” (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2021, n. 2422; Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2020, n. 751).

Va dunque ribadito che il Comune non ha un obbligo di risposta specifica alle osservazioni presentate dai privati nel corso del procedimento di approvazione dello strumento urbanistico generale, perché queste non costituiscono un rimedio giuridico, ma un apporto collaborativo (così, di recente, Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 2022 n. 3018). Questa statuizione trova applicazione anche con riferimento all’art. 17, comma 5, della L.R. Toscana n. 1/2005, all’epoca vigente, la quale prevedeva che “Il provvedimento di approvazione contiene il riferimento puntuale alle osservazioni pervenute e l’espressa motivazione delle determinazioni conseguentemente adottate”, essendo sufficiente la dimostrazione che le osservazioni siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e i canoni generali posti a base della formazione dello strumento urbanistico.

Con il secondo motivo, gli interessati deducono che solo in sede di approvazione del regolamento è stata prevista una fascia di inedificabilità assoluta nell’area comprendente i terreni di loro proprietà. Lo strumento urbanistico impugnato avrebbe quindi subito una rilevante modifica dopo la sua adozione e, perciò, avrebbe dovuto essere nuovamente pubblicato per consentire la presentazione delle osservazioni. Ad avviso del Consiglio, anche il motivo in esame è infondato.

Secondo la consolidata e condivisa giurisprudenza del Consiglio di Stato:

  1. a) occorre distinguere tra modifiche “obbligatorie” (in quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni della pianificazione sovraordinata, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standard urbanistici minimi), modifiche “facoltative” (consistenti in innovazioni non sostanziali), e modifiche “concordate” (conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal comune). Mentre per le modifiche “facoltative” e “concordate”, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del comune, diversamente, per le modifiche “obbligatorie” tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento regionale (o dell’ente competente in materia) rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 novembre 2020, n. 7027; Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2020, n. 6944);
  2. b) l’eventualità che le previsioni del piano urbanistico comunale (o di altro strumento urbanistico) subiscano, in sede di approvazione definitiva, delle modifiche rispetto a quelle contenute nel piano (o nello strumento) adottato, è un effetto del tutto connaturale al procedimento di formazione del suddetto strumento urbanistico, che, per l’appunto, contempla, all’atto dell’approvazione definitiva, la possibilità di cambiamenti in conseguenza dell’accoglimento delle osservazioni pervenute; pertanto, soltanto laddove chi ha interesse dimostri che le modifiche introdotte incidono sulle caratteristiche essenziali dello strumento stesso e sui suoi criteri di impostazione, si rende necessario riprendere da capo il relativo procedimento di formazione; l’eventuale necessità di “ripubblicazione” sorge solo a seguito di apporto di innovazioni tali da mutare radicalmente l’impostazione di Piano stesso. Costituisce, perciò, principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui si rende necessaria la ripubblicazione del piano solo quando, a seguito dell’accoglimento delle osservazioni presentate dopo l’adozione, vi sia stata una “rielaborazione complessiva” del piano stesso, e cioè un “mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che presiedono alla sua impostazione” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2020, n. 6944), mentre tale obbligo non sussiste nel caso in cui le modifiche non comportino uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, ma consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (Cons. Stato, sez. IV, 13 novembre 2020, n. 7027).

Applicando i suesposti principi (ribaditi di recente da Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2022, n. 2700) al caso di specie, il Collegio evidenzia che la modifica dedotta dall’appellante non può considerarsi un “mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che presiedono alla … impostazione” del regolamento adottato, né un suo “stravolgimento” o un suo “profondo mutamento”, tale da comportare l’obbligo di ri-pubblicazione del piano ai fini della sua legittimità.

Con il terzo motivo, gli interessati si dolgono che il regolamento urbanistico, prevedendo la necessaria presentazione del P.U.I. e l’immotivata attribuzione di un’inadeguata volumetria realizzabile ed eccessivi costi a causa delle c.d. opere perequative, impedirebbe di realizzare il centro fieristico previsto dal piano di lottizzazione a suo tempo presentato, senza esplicitare le relative ragioni di pubblico interesse sottese. Ad avviso del Consiglio, Il motivo in esame è infondato.

La tesi dell’appellante non può trovare accoglimento alla stregua dei principi elaborati dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (ex plurimis, sez. IV, nn. 2460 del 2022; 603 del 2022) sui limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all’esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici, secondo cui:

  1. i) le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;
  2. ii) anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni;

iii) con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali:

  1. a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona;
  2. b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate;
  3. c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare;
  4. d) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo;
  5. iv) una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e quindi essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) soltanto quando abbia ad oggetto interessi oppositivi e non quando si tratti di interessi pretensivi, come è nel caso in esame in cui si tratta dell’esercizio dello ius variandi su istanza del privato.

In considerazione dei suesposti principi, la censura si palesa manifestamente infondata, tenuto conto che la scelta dell’amministrazione comunale si presenta scevra da profili di illogicità e manifesta irragionevolezza, e, inoltre, parte appellante non ha comprovato di trovarsi in nessuna di quelle fattispecie che radicano un affidamento legittimo “in melius” o alla conservazione dello status quo, con riferimento all’esercizio del potere pianificatorio (inteso in senso lato).

Per le suesposte motivazioni, il Consiglio ha respinto l’appello.