La restituzione degli oneri concessori in caso di condono edilizio negato di Fabio Cusano

TAR_RM_698_2023

Con la sentenza 16 gennaio 2023, n. 698, il TAR Lazio-Roma (sez. II bis) ha stabilito che in caso di condono edilizio negato il Comune è tenuto alla restituzione delle somme concessorrie versate, fermo restando che il termine prescrizionale decorre solo dalla data di adozione del provvedimento di diniego del condono, e non anche dell’oblazione. Ai fini del rimborso il pagamento delle somme deve essere adeguatamente documentato.

Il ricorrente ha impugnato la determinazione dirigenziale con cui il Comune ha respinto l’istanza di condono e ha chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni e, in subordine, alla restituzione delle somme corrisposte in relazione alla domanda di condono.

Con la prima censura il ricorrente prospetta l’erroneità del richiamo al vincolo derivante dal Parco di Veio dal momento che il manufatto si troverebbe al di fuori dell’area del Parco stesso. Tuttavia, il TAR ha rilevato che, contrariamente a quanto prospettato nel gravame, l’abuso si trova all’interno del Parco come emerge dalla relativa mappa.

Con la seconda e la terza censura, il ricorrente deduce che l’esistenza del vincolo non sarebbe di per sé ostativa alla sanabilità dell’opera dal momento che ciò si verificherebbe solo in presenza di due presupposti e cioè nel caso di anteriorità del vincolo rispetto all’abuso e di non conformità del manufatto alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; nella fattispecie, poi, il Comune non avrebbe in concreto valutato la posizione dei ricorrenti omettendo di motivare in ordine alle osservazioni endprocedimentali da loro presentate, anche con riferimento alle concrete caratteristiche dell’abuso costituito da un piccolo manufatto legato da un rapporto funzionale ad un edificio maggiore legittimamente realizzato, ed in ordine alla data di apposizione del vincolo, alla conformità dell’opera allo strumento urbanistico, all’estraneità del manufatto al Parco di Veio e alla mancata acquisizione del parere dell’Ente Parco.

Il TAR ha dichiarato infondati tali motivi, poiché la seconda e la terza censura partono dal presupposto dell’astratta condonabilità dell’abuso comportante un aumento di volumetria e realizzato su immobile vincolato. Tale impostazione non può essere condivisa; una lettura coordinata dei commi 26 e 27 dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003 induce a ritenere che il comma 26 costituisca la norma generale che perimetra, in riferimento agli immobili vincolati, anche nell’ipotesi in cui il vincolo sia apposto in epoca successiva, l’ambito della sanatoria consentendo la stessa per i soli interventi di manutenzione straordinaria e restauro e risanamento conservativo ed escludendola per gli aumenti di volumetria e le ristrutturazioni edilizie.

Gli art. 32, comma 27, del d.l. n. 326/2003 e 3 della L.R. Lazio n. 12/2004, poi, introducono ulteriori limiti per la condonabilità degli abusi commessi sugli immobili vincolati ma sempre sul presupposto che gli abusi siano riconducibili alla manutenzione straordinaria e al restauro e risanamento conservativo, unici casi in cui, in via generale, il comma 26 dell’art. 32 del d.l. n. 326/2003 ammette la sanatoria.

Tale impostazione è seguita dall’orientamento giurisprudenziale per cui “l’applicabilità del c.d. terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (così Cass. penale n. 1593/04; nello stesso senso Cass. penale n. 26524/2020, Cons. Stato n. 4933/2020, TAR Lazio-Roma n. 13717/2022, TAR Lazio-Roma n. 7282/2022, TAR Campania-Napoli n. 6258/2021).

La stessa giurisprudenza (in particolare, TAR Lazio – Roma n. 90/2020) ha anche chiarito che il legislatore regionale, nell’esercizio delle prerogative di cui è attributario (per le quali Corte cost. n. 181/2021), ha inteso introdurre, con l’art. 3 della L.R. Lazio n. 12/2004, una disciplina di maggior rigore, statuendo che “non sono comunque suscettibili di sanatoria”, tra le altre fattispecie indicate in detta disposizione, “le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali (….) nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”.

Quanto fin qui evidenziato conferma la non sanabilità dell’abuso oggetto della domanda di condono invocata dai ricorrenti in quanto consistente in un aumento di superficie e di volumetria rientrante nelle tipologie di illecito per le quali il comma 26 dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003 e l’art. 3, comma 1, lettera b), della L.R. Lazio n. 12/2004, in riferimento alle zone vincolate (come quella oggetto di causa), escludono la sanatoria.

Ne consegue, innanzi tutto, l’infondatezza della censura con la quale è stato contestato il difetto di motivazione, dal momento che l’atto impugnato, in fatto e in diritto (attraverso il richiamo all’art. 3 della L.R. Lazio n. 12/2004), indica correttamente l’esistenza del vincolo quale ragione giustificatrice del diniego di condono.

Parimenti infondate sono le doglianze con cui sono state prospettate l’inedificabilità relativa e non assoluta e la mancata acquisizione del parere dell’Ente Parco e l’omessa valutazione delle concrete caratteristiche dell’abuso, della data di apposizione del vincolo e dell’eventuale conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistiche. Tali profili, infatti, sono irrilevanti ai fini dell’accoglimento del gravame a fronte dell’accertata assoluta non condonabilità dell’abuso in quanto comportante aumento di volumetria e realizzato su bene vincolato.

Il TAR ha, poi, respinto la domanda di risarcimento del danno in quanto il pregiudizio lamentato da parte ricorrente non può ritenersi “ingiusto” ex art. 2043 c.c. in ragione dell’accertata legittimità dell’atto impugnato. Il TAR ha ritenuto di non potere accogliere, allo stato, nemmeno la domanda con cui il ricorrente ha chiesto la restituzione delle somme versate in conseguenza della domanda di condono in quanto in atti manca la prova del versamento di tali somme. Per esigenza di completezza il TAR ha rilevato che, quando il ricorrente presenterà una richiesta di restituzione debitamente comprovante le somme versate, il Comune sarà tenuto al rimborso dei soli oneri concessori, fermo restando che il termine prescrizionale decorre solo dalla data di adozione del provvedimento di diniego del condono, e non anche dell’oblazione in merito alla quale è legittimata passiva l’amministrazione finanziaria dello Stato (TAR Campania-Napoli n. 6175/2022).

Per questi motivi il ricorso è infondato e deve essere respinto.