Con la sentenza n. 315 del 18 maggio 2023, il TAR Emilia-Romagna (Bologna, sez. II) ha ribadito che La distinzione fra le categorie del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia ha natura funzionale: essa non risiede nella tipologia di interventi realizzabili, in gran parte comuni, quanto nella finalità degli interventi, essendo il risanamento destinato alla conservazione dell’organismo edilizio preesistente, mentre la ristrutturazione è tesa alla sua trasformazione. Negli interventi di restauro e risanamento conservativo deve ritenersi consentita la sostituzione di parti anche strutturali e in generale di elementi costitutivi degli edifici e quindi anche un rinnovo sistematico e globale, purché nel rispetto degli elementi essenziali tipologici, formali e strutturali originari: eccedono dunque il risanamento conservativo e rientrano nella ristrutturazione gli interventi che portano a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preesistente, alterandone la morfologia e consistenza fisica.
I ricorrenti sono comproprietari di un fabbricato a Rimini assentito a seguito di condono edilizio ex L. 724/94. Sostengono di aver inoltrato SCIA concernente opere di risanamento conservativo e restauro ex art. 13 comma 1 lett. c) della L.r. 15/2013. Siccome il Comune è rimasto silente, dopo 18 mesi si sarebbe consolidato il silenzio assenso, non suscettibile di incisione neppure in via di autotutela ex art. 21-nonies della L. 241/90 (nel frattempo i lavori sono stati eseguiti).
I comproprietari ricorrenti depositavano SCIA in variante non sostanziale per opere secondarie e di contorno, non riscontrata dall’Ente locale. Il ricorrente inoltrava domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 comma 4 e 181 del D. Lgs. 42/2004 e lamenta che il Comune non ha assunto una determinazione nel termine perentorio di 180 giorni.
Osservano i ricorrenti che l’immobile era stato sanato ex L. 724/94 per la mancata incidenza dell’abuso sull’ambiente, per entità e caratteristiche e che l’intervento è irrilevante ai fini paesaggistici ex DPR 13/2/2017 n. 31. Rappresentano che nel seguito, completate le opere di cui alla SCIA, inoltravano domanda di rilascio della CCEA, ma il Comune restava silente nei 15 giorni previsti quale termine perentorio dall’art. art. 23 comma 4 della L.r.
Improvvisamente, il Comune comunicava la sottoposizione ad un controllo a campione ai sensi del comma 9 e richiedeva un’integrazione documentale. Nel lasso previsto di 90 giorni dalla richiesta non venivano eseguiti sopralluoghi né ispezioni, prospettandosi vagamente irregolarità edilizie. Parte ricorrente invoca la formazione del silenzio assenso, per omessa pronuncia nel suddetto termine perentorio.
Dopo aver chiesto una proroga dei termini per produrre documentazione, il Comune emetteva il preavviso di rigetto, e malgrado le controdeduzioni veniva emesso l’atto definitivo di diniego. Con esso l’amministrazione deduceva l’avvenuta sostituzione del fabbricato durante i lavori di cui alla SCIA, in assenza di autorizzazione paesaggistica e sismica (così da rendere l’intervento qualificabile come ristrutturazione edilizia in totale difformità dalla SCIA e non come restauro e risanamento conservativo).
Con l’introdotto gravame i ricorrenti impugnano il provvedimento sfavorevole. Parte ricorrente si duole dei provvedimenti comunali che hanno, rispettivamente, denegato il rilascio del CCEEA, annullato la SCIA (e successiva variante) e infine ordinato la rimozione degli abusi e il ripristino dello stato dei luoghi.
Ad avviso del TAR Bologna, i gravami sono infondati e devono essere rigettati.
È stata più volte chiarita la differenza intercorrente tra le opere di ristrutturazione edilizia, per le quali è necessario dotarsi di un titolo edilizio, e di risanamento conservativo e manutenzione ordinaria o straordinaria, affermando che “La ristrutturazione edilizia si configura laddove, attraverso il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, si realizzi un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono, invece, la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie” (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/11/2022 n. 10200).
Per giurisprudenza da tempo consolidata, la distinzione fra le categorie del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia ha natura funzionale: essa non risiede nella tipologia di interventi realizzabili, in gran parte comuni, quanto nella finalità degli interventi, essendo il risanamento destinato alla conservazione dell’organismo edilizio preesistente, mentre la ristrutturazione è tesa alla sua trasformazione. Negli interventi di restauro e risanamento conservativo deve ritenersi consentita la sostituzione di parti anche strutturali e in generale di elementi costitutivi degli edifici e quindi anche un rinnovo sistematico e globale, purché nel rispetto degli elementi essenziali tipologici, formali e strutturali originari: eccedono dunque il risanamento conservativo e rientrano nella ristrutturazione gli interventi che portano a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preesistente, alterandone la morfologia e consistenza fisica (T.A.R. Toscana, sez. III – 20/10/2022 n. 1183). In altre parole, il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile sono incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo (Consiglio di Stato, sez. VI – 26/9/2022 n. 8291).
Gli interventi da ultimo menzionati, in quanto caratterizzati dal mancato apporto di modifiche sostanziali all’assetto edilizio preesistente, hanno la finalità di conservare l’organismo ovvero di assicurarne la funzionalità (Consiglio di Stato, sez. VI – 26/9/2022 n. 8284), nel rispetto dei suoi elementi tipologici (in specie, architettonici e funzionali), formali (tali da contraddistinguere il manufatto, configurandone l’immagine caratteristica) e strutturali (concernenti la sua composizione di base). Come ha statuito il Consiglio di Stato, sez. VI – 15/9/2022 n. 7793, “la caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere che non comportano l’alterazione delle caratteristiche edilizie dell’immobile da restaurare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell’immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell’edificio (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-09-2020, n. 5350)” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 giugno 2021, n. 4701)”.
Sotto altro punto di vista la valutazione e la qualificazione giuridica degli interventi edilizi postula una considerazione unitaria degli stessi onde apprezzarne la rilevanza sotto il profilo urbanistico e la conseguente loro ascrizione alla relativa categoria ai fini dell’individuazione del titolo autorizzatorio al cui regime sono assoggettati (cfr. sentenza di questa Sezione 25/1/2023 n. 44).
Nel caso di specie è assente la finalità di conservazione, ossia il mantenimento tipologico e strutturale del manufatto, essendosi modificata completamente la struttura esterna come si evince chiaramente dal materiale fotografico depositato.
Non persuade la dedotta formazione del silenzio assenso, non solo per la scorretta qualificazione dell’intervento ma anche per le dichiarazioni fuorvianti rese negli atti che componevano le pratiche.
L’istituto opera soltanto, com’è noto, in presenza di tutte le condizioni previste dalla norma e, in particolare, ove la documentazione sia completa degli elementi richiesti: il decorso dei termini fissati presuppone dunque in ogni caso la completezza della domanda (cfr., in materia di condono, sentenza sez. II – 17/10/2022 n. 799).
In primo luogo, la parte ricorrente aveva dichiarato, per mezzo del proprio tecnico incaricato, che l’intervento non interessa un immobile sottoposto a vincolo paesaggistico. Era stata dunque indicata l’assenza di vincoli. L’inoltro dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica disvela una volontà antitetica a quanto dichiarato in precedenza.
In secondo luogo, sotto il profilo sismico era stata rappresentata la riconduzione nell’ambito di irrilevanza per la pubblica incolumità. Viceversa, era necessaria la preventiva autorizzazione sismica.
La non rispondenza al vero delle dichiarazioni del tecnico è dunque acclarata e non può essere ridotta a una mera questione interpretativa, mentre le deduzioni circa la modestia dell’intervento e l’invarianza di sagoma e volume non sono elementi sufficienti a far ricondurre l’opera nell’alveo del risanamento conservativo.
Va altresì soggiunto che, ai sensi dell’art. 32 commi 1 e 3 del DPR 380/2001, le violazioni in materia antisismica e paesaggistica implicano totale difformità dal titolo.
A questo punto può essere affrontata la questione inerente all’esercizio dell’autotutela, con il richiamo alla sentenza di questa Sezione 1/10/2021 n. 818 (che evoca il precedente n. 721/2020): “2.1 Il nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false, e secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V – 15/3/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 3/2/2016 n. 404), in base all’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000 “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”. 2.2 È stato chiarito che la dichiarazione deve essere “necessaria” ai fini dell’adozione del provvedimento favorevole al privato e i suoi contenuti devono fondare, costituendone presupposti di legittimità, la determinazione provvedimentale dell’amministrazione, sicché la non veridicità rileva in quanto abbia determinato l’attribuzione di un beneficio, e non quale falsa rappresentazione in sé, irrilevante rispetto al conseguimento dello stesso (Consiglio di Stato, sez. V – 6/7/2020 n. 4303 e i precedenti ivi citati; sez. V – 16/3/2020 n. 1872). Detta impostazione è stata ribadita, ad esempio, nell’affrontare le cause di esclusione nelle gare d’appalto, ove la giurisprudenza – pur ritenendo che l’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configuri come causa autonoma di esclusione – ritiene però che, “qualora … la dichiarazione non sia necessaria ai fini della partecipazione alla gara, viene meno quella stretta correlazione tra il beneficio (l’aggiudicazione) e la dichiarazione, che impone di sanzionarne la falsità” (Consiglio di Stato, sez. III – 17/11/2015 n. 5240). 2.3 Il comma 2-bis dell’art. 21-nonies statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato. 2.4 Il T.A.R. Lombardia Brescia, nella sentenza della sez. I – 12/6/2018 n. 574, ha richiamato il proprio precedente 9/6/2017 n. 765 che si era pronunciato sulla medesima questione di diritto argomentando nel modo seguente: “- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 7/11/2016 n. 5141 – che risulta appellata – e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo T.A.R. – 20/11/2002 e T.A.R. Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi, quando l’operato dell’amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato); – che, in definitiva, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è in re ipsa nel caso ritiro di un titolo abilitativo a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione dolosa o colposa, della realtà da parte del relativo destinatario, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII – 13/6/2017 n. 3-OMISSIS-, che risulta appellata; si veda anche T.A.R. Reggio Calabria – 7/6/2017 n. 527); – che la discrezionalità dell’amministrazione in materia si azzera, vanificando sia l’interesse del destinatario del provvedimento ampliativo da annullare, sia il tempo trascorso (Consiglio di Stato, sez. IV – 14/6/2017 n. 2885)”. La sentenza n. 574/2018 è stata confermata, proprio sul punto dell’autotutela doverosa dal Consiglio di Stato, sez. IV – 24/4/2019 n. 2645, che ha ulteriormente sancito che “la non veridicità di quanto dichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e vincola l’Amministrazione, ormai priva di ogni margine di discrezionalità, a disporre la decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2012, n. 2447)””.
Ne deriva che, nel caso affrontato, l’amministrazione ben poteva rimuovere in autotutela gli effetti prodotti dalla SCIA e dalla variante, ed è di conseguenza legittimo il diniego della CCEEA.
In conclusione, i gravami sono infondati e devono essere rigettati.