La demo-ricostruzione su diversa area di sedime, di Fabio Cusano

Con sentenza 20 luglio 2023, n. 2409, il TAR Palermo, sez. II, ha ribadito che la modifica normativa realizzata dall’art. 10, D.L. 76/2020, comma 1, lett. b) che ha ampliato la nozione di ristrutturazione edilizia, in modo da ricomprendervi anche interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche non ha inteso ricomprendere in tale fattispecie il diverso caso della demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso (più o meno distante dal primo); essa, piuttosto, ha ampliato la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato. Diversamente opinando, andrebbe quasi a svanire il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova edificazione; distinzione che, invece, rimane ferma anche nel sistema definito dalle recenti modifiche al Testo unico dell’edilizia.

Il ricorso verte sulla possibilità di ricondurre al concetto di “ristrutturazione edilizia” la fattispecie di demolizione di un edificio con sua ricostruzione su un altro – e differente – lotto, sito a circa 150 metri di distanza da quello in cui è collocato l’edificio da demolire. Parte ricorrente ha sostenuto la riconducibilità dell’intervento in questione alla nozione di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime.

Ad avviso del TAR, tale tesi non può trovare condivisione.

Com’è noto, l’ampliamento della nozione di ristrutturazione edilizia, in modo da ricomprendervi anche interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, è stato realizzato con l’art. 10, co. 1, lett. b), D.L. n. 76/2020, conv. con modificazioni dalla L. n. 120/2020.

Dalla lettura dei lavori preparatori alla legge di conversione (sulla cui rilevanza a fini ermeneutici, cfr. Corte cost., 14 giugno 2022, n. 147; ibidem, 8 luglio 2020, n. 143), emerge che la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione è finalizzata a un intervento su un’area il cui suolo è già stato consumato dall’esistenza di un edificio.

Come affermato, più nel dettaglio, dalla relazione al disegno di legge di conversione (D.D.L. n. 1183 del Senato), l’obiettivo degli interventi di cui al D.L. n. 76/2020 in materia edilizia è stato quello di consentire la “rigenerazione urbana” e di scongiurare, pertanto, il consumo di nuovo suolo, anche tramite il riuso di suoli già urbanizzati.

È, allora, alla luce di tali considerazioni che va inquadrata la ratio della ristrutturazione della demolizione e ricostruzione con diversa area di sedime: la modifica normativa non ha affatto inteso ricomprendere in tale fattispecie il – diverso caso – della demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso (più o meno distante dal primo); essa, piuttosto, ha ampliato la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato.

Diversamente opinando, andrebbe quasi a svanire il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova edificazione [si rammenta che quest’ultima tuttora ricomprende, senza distinzioni, la costruzione di manufatti edilizi fuori terra ex art. 3, co. 1, lett. e.1), D.P.R. n. 380/2001]; distinzione che, invece, rimane ferma anche nel sistema definito dalle recenti modifiche al testo unico dell’edilizia.

Può, quindi, considerarsi tuttora valida la distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, più volte delineata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di individuare la ristrutturazione in una serie di interventi rivolti a trasformare organismi edilizi e la nuova costruzione in una trasformazione del territorio non caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto; con la conseguenza che il concetto di ristrutturazione non può ontologicamente prescindere dall’apprezzabile traccia di una costruzione preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto distintivo e fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla nuova edificazione, atteso che la ristrutturazione è strumentale alla sempre più avvertita esigenza di contenere il consumo di suolo (Cons. St., sez. IV, 12 maggio 2022, n. 3750 e giurisprudenza ivi richiamata).

Non vi sono, in altre parole, ragioni per discostarsi dall’orientamento già espresso dalla giurisprudenza amministrativa in un caso simile a quello di cui all’odierna controversia. In tale occasione è stato chiarito, seppure in vigenza della pregressa normativa (che, sul punto, non risulta – come si è visto – sostanzialmente mutata), che la ristrutturazione edilizia non ricomprende la fattispecie della traslazione dell’edificio ricostruito su un’area diversa da quella in cui insisteva l’immobile demolito (Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2021, n. 1047).

Chiariti nei termini di cui sopra i confini della ristrutturazione edilizia di un edificio mediante demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime, non può che ricondursi l’intervento ipotizzato da parte ricorrente alla fattispecie della nuova edificazione, con applicazione della relativa disciplina. In tale sede potrà, se del caso, trovare applicazione la normativa richiamata dalla parte ricorrente in ordine alla cessione di cubatura, che nulla ha a che vedere con la qualificazione giuridica dell’intervento per cui è controversia.

Stante quanto precede, il ricorso è infondato.