La Corte censura il requisito della residenza nella disciplina ERP marchigiana di Fabio Cusano

Corte cost 145 2023

 

Con la sentenza n. 145 del 7 giugno 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della LR Marche 16 dicembre 2005, n. 36 (Riordino del sistema regionale delle politiche abitative), limitatamente alle parole «avere la residenza o».

Il TAR Marche, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della LR Marche n. 36 del 2005, in riferimento ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., e al principio di eguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.

L’art. 20-quater, comma 1, elenca una serie di requisiti per ottenere l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata; tra questi, la disposizione censurata (lettera a-bis) – aggiunta dall’art. 13, comma 2, della LR Marche n. 49 del 2018 – prevede il seguente: «avere la residenza o prestare attività lavorativa nell’ambito territoriale regionale da almeno cinque anni consecutivi. Nell’ipotesi in cui il numero delle domande di assegnazione pervenute sia inferiore rispetto al numero degli alloggi disponibili, il Comune, al fine di assegnare gli alloggi residui, può ridurre il suddetto periodo sino ad un massimo di due anni previa autorizzazione regionale».

Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Marche in riferimento ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost. e al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. sono fondate.

Nell’atto introduttivo del presente giudizio il rimettente richiama numerosi passaggi argomentativi della sentenza n. 44 del 2020 della Corte, sottolineando la sostanziale sovrapponibilità delle odierne questioni con quelle promosse o sollevate nei confronti di altre leggi regionali. L’assunto deve essere condiviso. In effetti, in numerose occasioni la Corte è stata chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale di norme regionali di analogo contenuto (tra le tante, sentenze n. 77 del 2023, n. 199 del 2022, n. 9 e n. 7 del 2021, n. 281 e n. 44 del 2020, n. 166, n. 107 e n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 222, n. 172, n. 133, n. 4 e n. 2 del 2013, n. 61 e n. 40 del 2011; ordinanza n. 76 del 2010).

Nella citata sentenza n. 44 del 2020, in particolare, si afferma che il diritto all’abitazione «“rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione” ed è compito dello Stato garantirlo, contribuendo così “a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana” (sentenza n. 217 del 1988; nello stesso senso sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988). Benché non espressamente previsto dalla Costituzione, tale diritto deve dunque ritenersi incluso nel catalogo dei diritti inviolabili (fra le altre, sentenze n. 161 del 2013, n. 61 del 2011 e n. 404 del 1988 e ordinanza n. 76 del 2010) e il suo oggetto, l’abitazione, deve considerarsi “bene di primaria importanza” (sentenza n. 166 del 2018; si vedano anche le sentenze n. 38 del 2016, n. 168 del 2014 e n. 209 del 2009). L’edilizia residenziale pubblica è [quindi] diretta ad assicurare in concreto il soddisfacimento di questo bisogno primario» (punto 3 del Considerato in diritto).

Sempre nella sentenza n. 44 del 2020 questa Corte ha ribadito che «i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio» e che «[i]l giudizio sulla sussistenza e sull’adeguatezza di tale collegamento – fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari – è operato da questa Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto».

All’esito di questa verifica, è stata rilevata l’«irragionevolezza del requisito della residenza ultraquinquennale previsto dalla norma censurata come condizione di accesso al beneficio dell’alloggio ERP. Se infatti non vi è dubbio che la ratio del servizio è il soddisfacimento del bisogno abitativo, è agevole constatare che la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione (sentenze n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014). Parallelamente, l’esclusione di coloro che non soddisfano il requisito della previa residenza quinquennale nella regione determina conseguenze incoerenti con quella stessa funzione».

Di conseguenza, il requisito della residenza quinquennale «si risolve […] semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’ERP a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli). Ciò è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli (sentenza n. 107 del 2018, che cita l’art. 2, comma 3, della legge n. 328 del 2000)».

Sempre nella medesima sentenza n. 44 del 2020, ma così anche in altre successive, la Corte ha precisato che il requisito della residenza protratta per cinque anni o più «non è di per sé indice di un’elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità. In altri termini, la rilevanza conferita a una condizione del passato, quale è la residenza nei cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il “rischio di instabilità” del beneficiario dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, obiettivo che dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilità di permanenza per il futuro».

Preminente rilievo va in ogni caso assegnato allo stato di bisogno dei richiedenti, con la conseguenza che «[l]a prospettiva della stabilità può rientrare tra gli elementi da valutare in sede di formazione della graduatoria […] ma non può costituire una condizione di generalizzata esclusione dall’accesso al servizio, giacché ne risulterebbe negata in radice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica».

Particolarmente rilevante è poi l’ulteriore affermazione, recata nella sentenza n. 107 del 2018 e ripresa nella sentenza n. 44 del 2020, secondo cui «a differenza del requisito della residenza tout court (che serve a identificare l’ente pubblico competente a erogare una certa prestazione ed è un requisito che ciascun soggetto può soddisfare in ogni momento), quello della residenza protratta integra una condizione che può precludere in concreto a un determinato soggetto l’accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienza (nella quale non è più residente)».

Di qui la necessità che le norme che introducono requisiti di questo tipo siano «vagliate con particolare attenzione, in quanto implicano il rischio di privare certi soggetti dell’accesso alle prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza».

Per tali ragioni la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale lombarda «nella parte in cui fissa[va] il requisito della residenza (o dell’occupazione) ultraquinquennale in regione come condizione di accesso al beneficio dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica», in quanto in contrasto «sia con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., perché produce una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non ne sia in possesso, sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., perché tale requisito contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica» (sentenza n. 44 del 2020, punto 3.3. del Considerato in diritto).

In ragione dell’assoluta sovrapponibilità della fattispecie normativa oggetto del richiamato giudizio a quella qui in esame, le stesse riferite argomentazioni possono essere estese alle odierne questioni. Di qui la fondatezza delle questioni sollevate, limitatamente alle parole «avere la residenza o».