La Corte costituzionale, 22 aprile 2024, n. 67, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera a), della legge della Regione Veneto 3 novembre 2017, n. 39 (Norme in materia di edilizia residenziale pubblica), limitatamente alle parole «nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente».
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Padova ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera a), della legge reg. Veneto n. 39 del 2017, nella parte in cui prevede, tra i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni».
Secondo il giudice a quo, la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto plurimi profili: da un lato, contrasterebbe con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza, di cui al primo comma, in quanto produrrebbe «una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non sia in possesso del requisito ivi previsto»; da un altro lato, violerebbe il principio di eguaglianza sostanziale, di cui al secondo comma, poiché determinerebbe «effetti contrastanti con la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica».
Nel merito, le questioni sollevate in riferimento all’art. 3, commi primo e secondo, Cost. sono fondate.
Questa Corte ha da tempo riconosciuto che il bisogno abitativo esprime un’istanza primaria della persona umana radicata sul fondamento della dignità.
Per questo ha ravvisato nel diritto all’abitazione i tratti di un diritto sociale inviolabile (fra le altre, sentenze n. 161 del 2013, n. 61 del 2011 e n. 404 del 1988, nonché ordinanza n. 76 del 2010), funzionale a che «la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» (sentenza n. 217 del 1988; nello stesso senso sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988).
Vari sono i percorsi pubblici e privati tesi a garantire, tramite l’interazione con le categorie del contratto o della proprietà, il nesso funzionale fra l’istanza di natura personale e i beni destinati al bisogno abitativo.
Fra questi spicca l’edilizia residenziale pubblica, che consente a persone in situazioni economiche disagiate di stipulare contratti di locazione o di compravendita a condizioni agevolate, aventi a oggetto beni immobili di proprietà pubblica.
Gli alloggi ERP assicurano, in tal modo, a persone che non hanno la capacità economica di accedere al mercato, di soddisfare in concreto il loro fondamentale bisogno (sentenza n. 44 del 2020), conseguendo quel «bene di primaria importanza» che è l’abitazione (sentenza n. 166 del 2018; si vedano anche le sentenze n. 38 del 2016, n. 168 del 2014 e n. 209 del 2009).
La finalità di assicurare il diritto inviolabile all’abitazione deve coniugarsi con il rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza nella selezione dei criteri che regolano l’accesso al servizio sociale.
Deve, pertanto, sussistere un rapporto di coerenza tra i requisiti di ammissione ai benefici dell’ERP e la ratio dell’istituto protesa al soddisfacimento del bisogno abitativo.
Ebbene – come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare – non si ravvisa alcuna ragionevole correlazione fra l’esigenza di accedere al bene casa, ove si versi in condizioni economiche di fragilità, e la pregressa e protratta residenza – comunque la si declini (infra, punto 7.2.) – nel territorio regionale (sentenze n. 145 del 2023, n. 44 del 2020, n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014).
Il criterio della prolungata residenza si risolve nella previsione di «una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’ERP a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli)» (sentenza n. 44 del 2020, nello stesso senso, sentenze n. 145 e n. 77 del 2023).
La durata della permanenza nel territorio regionale non incide in alcun modo sullo stato di bisogno e, pertanto, lo sbarramento che comporta tale requisito nell’accesso al bene casa è «incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, […] destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli» (ancora sentenza n. 44 del 2020).
Inoltre, occorre rilevare che la residenza prolungata nel territorio regionale non considera che proprio chi versa in stato di bisogno si vede più di frequente costretto a trasferirsi da un luogo all’altro spinto dalla ricerca di opportunità di lavoro (sentenza n. 53 del 2024, punto 7.2. del Considerato in diritto, e sentenze ivi richiamate).
In sostanza, «se la residenza costituisce un requisito ragionevole al fine d’identificare l’ente pubblico competente a erogare una certa prestazione, non è invece possibile che l’accesso alle prestazioni pubbliche sia escluso per il solo fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza» (sentenza n. 199 del 2022; in senso analogo sentenza n. 7 del 2021).
Ciò chiarito, non sfugge a questa Corte che i flussi migratori comportano un costante movimento di persone, talora solo in transito talora con una qualche prospettiva di stabilità nel territorio nazionale, e che si assiste a un continuo incremento di coloro che competono nel far valere il medesimo bisogno rispetto a risorse comunque limitate.
E tuttavia anche questo non giustifica la previsione del requisito della residenza prolungata per accedere agli alloggi ERP.
Anzitutto, è evidente che gli strumenti di tutela dell’istanza abitativa ben possono modularsi in funzione della assenza o presenza di una prospettiva di radicamento nel territorio, procedendo dalla previsione di centri di accoglienza, adeguati al rispetto della dignità umana, all’accesso all’ERP o ad altri servizi sociali, diretti alla stipula di contratti di locazione o di compravendita e, dunque, rivolti a chi è orientato a una qualche prospettiva di stabilità nel territorio.
Nondimeno, non è dalla pregressa permanenza in una regione che è dato inferire una simile prospettiva di radicamento (sentenze n. 145 e n. 77 del 2023, nonché sentenza n. 44 del 2020), poiché, viceversa, conta principalmente che sia stato avviato un percorso di inclusione nel contesto ordinamentale statale. Inoltre, questa Corte non ha escluso che, in sede di formazione delle graduatorie, sia possibile valorizzare indici ragionevolmente idonei «a fondare una prognosi di stanzialità» (sentenza n. 44 del 2020), purché compatibili con lo stato di bisogno e, dunque, tali da non privarlo di rilievo (sentenze n. 77 del 2023 e n. 44 del 2020).
Infine, la durata della residenza nel territorio regionale non ha rilievo neppure al fine di valorizzare il tempo dell’attesa per poter accedere al beneficio che realizza il bisogno abitativo (sentenza n. 9 del 2021).
Piuttosto – come questa Corte ha già sottolineato – il protrarsi dell’attesa può opportunamente riflettersi nell’anzianità di presenza nella graduatoria di assegnazione, in quanto circostanza che documenta l’acuirsi della sofferenza sociale dovuta alla mancata realizzazione dell’istanza abitativa e che, dunque, dà effettiva «evidenza a un fattore di bisogno rilevante in funzione del servizio erogato» (ancora sentenza n. 9 del 2021).
Per le ragioni esposte, questa Corte ha più volte sostenuto, anche nella recente giurisprudenza (sentenze n. 145 e n. 77 del 2023, n. 44 del 2020 e n. 166 del 2018), e non può che ribadire, il carattere irragionevole del requisito della residenza quinquennale in un territorio regionale ai fini dell’accesso al beneficio dell’alloggio ERP.
Né l’esito è destinato a mutare sol perché la norma censurata diluisce nel tempo il criterio della residenza protratta nel territorio regionale, consentendo di maturare il requisito quinquennale nell’arco degli ultimi dieci anni.
Al contrario, la soluzione adottata dal legislatore veneto continua a rifarsi a un criterio di pregressa residenza prolungata nel territorio regionale – privo di alcuna correlazione con lo stato di bisogno e insensibile alla condizione di chi è costretto a muoversi proprio per effetto della sua condizione di fragilità economica – e non fa venire meno l’irragionevolezza del medesimo criterio.
Se, infatti, dalla protratta residenza passata non è dato inferire alcunché in merito alle prospettive future di stabilità, nemmeno assume valore indiziario, rispetto alle medesime prospettive, il comportamento di chi – pur sommando il quinquennio di residenza regionale nell’arco di dieci anni – si allontana dal territorio e, dunque, non mantiene con esso un rapporto costante neppure nella proiezione del passato.
Sennonché è proprio la pregressa e prolungata residenza, pur se verificabile nell’ambito di un più ampio arco temporale, a disegnare uno scenario privo di collegamento funzionale con la finalità di soddisfare il «bisogno abitativo» di «soggetti economicamente deboli» (ancora sentenza n. 145 del 2023).
L’effetto dell’adozione di un criterio irragionevole rispetto alla ratio della prestazione sociale si traduce, dunque, nella violazione del principio di eguaglianza fra chi può o meno vantare una condizione – quella della prolungata residenza nel territorio regionale – del tutto dissociata dal suo stato di bisogno.
E questo chiaramente può riguardare tanto i cittadini italiani quanto gli stranieri, salvo potersi ulteriormente colorare di tratti discriminatori nei confronti di questi ultimi.
Infine – come questa Corte ha già in passato evidenziato (sentenze n. 77 del 2023 e n. 44 del 2020) – il criterio della residenza protratta per accedere ai servizi sociali dell’ERP tradisce il principio di eguaglianza non solo rispetto al primo comma dell’art. 3 Cost., ma anche con riguardo al suo secondo comma, che affida alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
Una norma che prevede quale criterio di accesso ai servizi dell’ERP la residenza protratta nel territorio regionale equivale, infatti, ad aggiungere agli ostacoli di fatto costituiti dal disagio economico e sociale un ulteriore e irragionevole ostacolo che allontana vieppiù le persone dal traguardo di conseguire una casa, tradendo l’ontologica destinazione sociale al soddisfacimento paritario del diritto all’abitazione della proprietà pubblica degli immobili ERP.
In conclusione, l’art. 25, comma 2, lettera a), della legge reg. Veneto n. 39 del 2017 è costituzionalmente illegittimo, per violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza formale e sostanziale, di cui all’art. 3 Cost., nella parte in cui richiede che la residenza nel Veneto debba protrarsi da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni.