In sede di condono straordinario è consentito il completamento delle sole opere già funzionalmente definite di Fabio Cusano

Cons Stato 5199 2023

 

Con la sentenza del 26 maggio 2023, n. 5199, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che ai sensi dell’art. 43 comma 5, L. 28/02/1985, n. 47 e dell’art. 39, L. 23/12/1994, n. 724, in sede di condono straordinario è consentito il completamento delle sole opere già funzionalmente definite alla data ultima del 31/12/1993, che si realizza quando si è in presenza di uno stato di avanzamento nella realizzazione del manufatto tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini, l’organismo edilizio deve aver assunto una sua forma stabile ed una adeguata consistenza plano volumetrica, come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione al rustico, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno.

I ricorrenti comproprietari di un immobile hanno impugnato dinanzi al TAR, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza con la quale il Comune, dopo aver respinto la domanda di condono edilizio, presentata ai sensi della legge n. 724 del 1994 per delle opere realizzate in ampliamento del suddetto manufatto, ne ha ingiunto la demolizione. Ad esito del giudizio di primo grado, il TAR ha respinto il suddetto ricorso. I ricorrenti hanno proposto appello avverso la suddetta sentenza chiedendone la riforma.

Ad avviso del Consiglio, l’appello è infondato e deve essere respinto.

In particolare, sotto un primo profilo, è sufficiente ribadire che per insegnamento pretorio assolutamente costante e condivisibile “Ai sensi degli artt. 43 comma 5, l. 28 febbraio 1985, n. 47 e 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, in sede di condono straordinario è consentito il completamento delle sole opere già funzionalmente definite alla data ultima del 31 dicembre 1993, che si realizza quando si è in presenza di uno stato di avanzamento nella realizzazione del manufatto tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione; in altri termini, l’organismo edilizio deve aver assunto una sua forma stabile ed una adeguata consistenza plano volumetrica, come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione al rustico, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno” (così Cons. Stato , sez. IV , 28/06/2016 , n. 2911; in termini Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5336; sez. IV, 1 agosto 2014, n. 4089; sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4287).

Inoltre, deve distinguersi tra tempus dell’abuso (che la l. n. 47 del 1985 fa risalire espressamente alla “data del primo provvedimento amministrativo”), e momento di “ultimazione” delle opere (che è quello rilevante ai fini della concessione del richiesto condono e rimonta al momento in cui è raggiunta la c.d. ultimazione al rustico). Stabilisce, infatti, l’art. 43 della l. n. 47 del 1985 che “Il tempo di commissione dell’abuso e di riferimento per la determinazione dell’oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale”.

Infine, il Consiglio ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “Deve essere negato il condono edilizio in caso di domanda dolosamente infedele, che presenti inesattezze ed omissioni tali da configurare un’opera completamente diversa per dimensione, natura e modalità dell’abuso dall’esistente, purché tale difformità risulti preordinata a trarre in errore il Comune su elementi essenziali dell’abuso” (Consiglio di Stato, sez. VI, 18/08/2021, n. 5927).

Ancora, l’ingiunzione della riduzione in pristino di tutte le opere realizzate, stante la natura vincolata dell’ordine di demolizione (ex multis, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. II, 11/01/2023, n. 360), è conseguenza necessitata del rigetto integrale della domanda di condono.

Per concludere, nel caso di specie l’intervento realizzato, per la sua entità e le sue concrete caratteristiche, non integra una “ristrutturazione edilizia” ma una nuova costruzione. È stato, in proposito, chiarito che “Sussiste una ristrutturazione edilizia nel caso in cui viene modificato un immobile già esistente, ma nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, nel caso in cui invece il manufatto sia stato totalmente trasformato, non solo con un apprezzabile aumento volumetrico, ma anche mediante un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l’intervento deve essere considerato quale intervento di nuova costruzione” (Consiglio di Stato, sez. VI, 19/10/2022, n. 8906).

Dalla qualificazione dell’intervento edilizio de quo come di nuova costruzione consegue l’applicabilità del disposto dell’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001 e non della meno gravosa disciplina, invocata dall’appellante, di cui all’art. 33 del medesimo T.U.