Con sentenza 5 settembre 2023, n. 4976, il TAR Napoli, sez. VIII, ha ribadito che per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l’esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio nella zona vincolata (DIA/SCIA o permesso di costruire); ciò che rileva, ai fini dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico.
L’amministrazione comunale procedeva ad una serie di sopralluoghi finalizzati ad accertare la realizzazione di presunti abusi edilizi presso la proprietà del ricorrente, per presunti interventi difformi rispetto al progetto di cui alla S.C.I.A. e alla relativa autorizzazione sismica. In esito al suddetto sopralluogo, era redatta la relazione istruttoria, dalla quale sono emersi interventi non giustificati da alcun titolo edilizio.
A seguito delle rilevate difformità, il Responsabile del Servizio Tecnico ha emesso l’ordinanza recante l’ingiunzione di sospensione dei lavori, demolizione e ripristino dello stato dei luoghi degli interventi abusivi realizzati al fabbricato urbano.
Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza.
Il ricorso ed i relativi motivi aggiunti sono infondati.
Sulla base dell’accertamento dell’avvenuta esecuzione degli interventi contestati, l’amministrazione emanava l’ordinanza impugnata contestando la violazione dell’art. 31, comma 1, dell’art 32, commi 1, lettere a), b), d), e), e comma 3, dell’art. 33, comma 1, d.p.r. 380/2001 in quanto gli interventi realizzati erano stati considerati variazioni essenziali tali che avrebbero richiesto non una semplice SCIA bensì il permesso di costruire.
Sul punto, va considerato che la qualificazione sostanziale delle variazioni determina un diverso regime giuridico autorizzatorio, dovendosi distinguersi tra “variazioni in senso proprio” e “variazioni essenziali”.
Le “variazioni in senso proprio” consistono in modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione. Le stesse sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio, anche per il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire.
Le “variazioni essenziali” costituiscono invece in modificazioni quali-quantitative rilevanti rispetto al progetto originario, tali da risultare incompatibili rispetto ai parametri indicati dall’art. 32 d.p.r. 380/2001. Le stesse sono pertanto soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario con conseguente riferimento alle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante (TAR Campania, Salerno, 29 gennaio 2019, n. 204; Cassazione penale, Sez. III, 13 giugno 2018, n. 34148).
Ai fini della qualificazione della tipologia di variante, soccorre la definizione di variazione essenziale declinata dall’art. 32 d.p.r. 380/2001, la quale, tra gli altri, ricomprende i seguenti interventi:
– mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standard di cui al dm 1444/1968;
– aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
– modifiche sostanziali dei parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
– mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
– violazione delle norme vigenti in materia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.
Non sono invece ricomprese le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
Le domande di esecuzione di variazioni essenziali sono, dunque, sostanzialmente volte al rilascio di un nuovo ed autonomo permesso di costruire. Le stesse, di conseguenza, sono assoggettate alle disposizioni vigenti nel momento in cui sono presentate, non trattandosi più di modificare il progetto iniziale ma di realizzare un’opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.
Nella fattispecie in esame, le difformità riscontrate dal Comune rientrano nell’ambito delle previsioni di cui all’art. 32 d.p.r. 380/2001 (“variazioni essenziali”), con conseguente corretta applicazione del regime repressivo-ripristinatorio di cui al precedente art. 31 (“alveo naturale e vincolato del ripristino dello stato dei luoghi”) essendo inapplicabile la sanzione pecuniaria.
Ne discende che il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante, assentibile solo mediante permesso di costruire, sia in presenza sia in assenza di opere edilizie, è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico ed influisce, in via conseguenziale ed automatica, sul carico urbanistico senza necessità di ulteriori accertamenti in concreto, poiché la semplificazione delle attività voluta dal legislatore non si è spinta fino al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono ontologicamente non assimilabili anche in caso di mancato incremento degli standard urbanistici, a conferma della scelta già operata con il D.m. 1444/1968 (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, 24 febbraio 2023, n. 1226).
In linea con costante e condivisa giurisprudenza, nell’ambito delle misure di repressione degli abusi edilizi, non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione.
Peraltro, l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione dell’abuso incombe sull’interessato e non sull’Amministrazione, in quanto la stessa, in presenza di un’opera edilizia priva di titolo legittimante, ha il solo potere-dovere di sanzionarla (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, 31 gennaio 2019, n. 460).
La repressione degli abusi edilizi costituisce, infatti, espressione di attività strettamente vincolata, potendo la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’illecito. Non sussiste quindi alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 12 febbraio 2018, n. 898; Cons. Stato, sez. VI, 3 ottobre 2017, n. 4580).
L’art. 31 d.p.r. 380/2001 prescrive al comma 2 che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione. È evidente che nel caso di mancata individuazione del responsabile, l’ingiunzione non può che essere destinata al proprietario dell’immobile.
Nel caso di specie, non è revocabile in dubbio che la porzione dell’immobile interessata dalle opere abusive sia di proprietà del ricorrente.
Da ultimo, per consolidata e condivisa giurisprudenza, la repressione degli abusi edilizi è esercizio di attività vincolata, priva di contenuto discrezionale, per la quale non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 L. n. 241/1990. (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 8 febbraio 2023, n. 920).
In ogni caso, per effetto della previsione introdotta dall’art. 21-octies L. 241/1990, nei procedimenti preordinati all’emanazione di ordinanze di demolizione di opere edilizie abusive, l’asserita violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio – laddove si ritenesse anche in questo caso dovuta – non ha effetti invalidanti, specie quando emerga che il contenuto del provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato (cfr. ex multis, TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 7 febbraio 2023, n. 61).
Per quanto sopra il ricorso ed i relativi motivi aggiunti sono stati respinti.