Il Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP): problemi e prospettive di Antonio Bartolini

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Piano territoriale coordinamento provinciale Trento 5 aprile 2022

Il Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP): problemi e

prospettive

(Trento, Facoltà di Giurisprudenza, 5 aprile 2022)

SOMMARIO. 1. Nozioni e caratteri tradizionali del piano territoriale. – 2. Il PTCP nel diritto positivo.

– 3. Il PTCP nella giurisprudenza – 4. La questione della riserva urbanistica comunale – 5. Problemi

e prospettive del PTCP.

1. Per poter fornire un inquadramento teorico del Piano territoriale di coordinamento

provinciale (PTCP), occorre necessariamente partire dalla figura paradigmatica contenuta nell’art. 5

della legge urbanistica (l. n. 1150/1942, l. urb.) 1.

A tal fine la legge fondamentale dispone che

“allo scopo di orientare o coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti

del territorio nazionale, il Ministero dei lavori pubblici ha facoltà di provvedere, su parere

del Consiglio superiore dei lavori pubblici, alla compilazione di piani territoriali di

coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano”.

La disposizione è chiaramente obsoleta come regola, ma indubbiamente esprime il principio

generale in materia, stabilendo che la “pianificazione territoriale” ha lo “scopo di orientare e

coordinare l’attività urbanistica”.

Tradizionalmente si è, pertanto, ritenuto che il piano territoriale sia un “piano di area vasta”,

che riguardi un territorio più ampio di quello comunale. Nella prassi urbanistica l’area vasta

corrisponde al territorio regionale e quello provinciale, cui più di recente si è aggiunto quello

metropolitano.

Sempre nell’ottica tradizionale “il piano territoriale” fa parte di quella concezione urbanistica

– ormai desueta – che vede i piani ordinati in una scala gerarchica, impiegando la nota metafora del

“canocchiale rovesciato”. All’apice vi è il piano territoriale regionale (PTR), di scala più ampia.

Gerarchicamente sottoposto a quest’ultimo vi è il PTCP, di scala intermedia, dimensionato sul livello

provinciale. Sottoposto al PTC vi è il PRG comunale, che a sua volta condiziona la pianificazione

attuativa.

Per quanto riguarda il contenuto del “piano territoriale” questo tradizionalmente è definito come

“piano di direttive”. Non contiene ordini, cioè precetti giuridici che non lasciano libertà di scelta al

destinatario, quanto, invece, “direttive” cioè precetti che indicano lo scopo da raggiungere, ma

lasciando al destinatario facoltà di scelta dei mezzi.

1 Per una ricognizione completa delle questioni che verranno trattate in questo paragrafo si rinvia a G. MORBIDELLI,

Piano territoriale, in Enc. dir., XXXIII, Milano, Giuffrè, 1983, p. 705 ss.

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Sotto il profilo dell’efficacia giuridica – impiegando la nota distinzione elaborata da Paolo

Stella Richter che distingue tra “conformazione del territorio” e “conformazione della proprietà” 2 -,

il piano territoriale esplica essenzialmente una funzione “conformativa del territorio”: cioè le regole

generali ed astratte, sulle quali poi opererà la conformazione della proprietà. Non dovrebbe, in

astratto, essere un piano conformativo della proprietà, cioè vincolante direttamente i proprietari.

Secondo una terminologia entrata con i piani di nuova generazione, fondata sulla distinzione

tra pianificazione strutturale ed operativa, il piano territoriale, inoltre, mira ad individuare le

“invarianti territoriali”, cioè quegli aspetti del territorio che non sono disponibili da parte del potere

comunale di piano.

2. Il PTCP essendo un piano territoriale di area vasta risponde sicuramente alle caratteristiche

sopra elencate, anche se con proprie peculiari specificità.

Per comprendere i suoi caratteri, peraltro, occorre partire dal diritto positivo.

L’art. 20, comma 2, del t.u. enti locali (d.lgs. n. 267/2000) stabilisce che

“La provincia, inoltre, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della

legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di

coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare,

indica:

a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di

comunicazione;

c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed

in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali”.

La disposizione in commento, innanzitutto, conferma che il PTCP è un piano direttore, in

quanto ha la funzione di determinare “gli indirizzi generali di assetto del territorio”, indicando le

diverse destinazioni del territorio, le localizzazioni di interesse provinciale e le direttive di carattere

ambientale.

Va, peraltro, osservato che in alcune leggi regionali (ad es. Lombardia) al PTCP è pure

assegnato il compito di conformare la proprietà privata in relazione ai beni ambientali e paesaggistici,

compresa la tutela del territorio agricolo. La potestà di conformazione, anche se non prevista

espressamente dall’art. 20, tuel, discende tanto dalle norme del Codice dei beni culturali, quanto dai

principi riguardanti il potere urbanistico in materia di patrimonio culturale e paesaggistico.

2 P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico, Giuffrè, Milano, 2014, III. ed., 27 ss.

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Il Codice dei beni culturali, infatti, attribuisce alla Regione, e ad esse per il tramite delle

Province, il potere di individuare, anche al di fuori della pianificazione congiunta, beni paesaggistici

al di fuori di quelli di notevole interesse.

Inoltre, in forza della c.d. tutela differenziata, ai titolari del potere urbanistico spetta anche la

possibilità di individuare ulteriori beni, denominati beni urbanistici ambientali o culturali. Sicchè non

è precluso alla legge regionale, in questo ambito ed in questi limiti, attribuire alla Provincia un siffatto

potere conformativo.

E questo quello che è stato definito da Paolo Urbani il “nuovo statuto del PTCP” 3 e che ha

trovato copertura, come si avrà modo di vedere, nella giurisprudenza.

3. Questo nuovo statuto del PTCP ha trovato conforto nella più recente giurisprudenza di

merito, la quale ha avuto modo di affermare che il piano territoriale ha effetti sia conformativi del

territorio che della proprietà.

“I Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale hanno efficacia di orientamento,

indirizzo e coordinamento, fatte salve le previsioni che, ai sensi della stessa legge, abbiano

efficacia prevalente e vincolante. Il modello delineato dalla legge regionale prevede che i

piani collocati al livello superiore non sono gerarchicamente sovraordinati agli altri, ma

dettano una disciplina di orientamento, indirizzo e coordinamento, che non può essere

stravolta ma, in particolari casi, derogata dalla disciplina puntuale dettata dallo strumento

di pianificazione contenente disposizioni di maggior dettaglio” (Tar Lombardia, Milano,

II, 8 giugno 2021, n. 1395).

Detto indirizzo, invero, era già stato proposto (anche se nel diverso contesto di una provincia

ad autonomia speciale) anche dal TRGA di Trento per il Piano Urbanistico Provinciale (PUP) di

Trento, al quale è stato riconosciuto il potere di dettare le c.d. invarianti territoriali.

Il Collegio osserva in primo luogo che i rapporti tra il piano urbanistico provinciale, i piani

territoriali delle comunità e i piani regolatori comunali sono retti secondo i principi della

“sussidiarietà responsabile” … In tal senso, il P.U.P. costituisce lo strumento generale di

governo e di coordinamento territoriale e per la disciplina delle invarianti, cioè delle

componenti del territorio a carattere permanente, nonché delle reti ambientali e

infrastrutturali, mentre riserva ai piani territoriali delle comunità e ai piani regolatori le

decisioni relative all’organizzazione del territorio e all’uso razionale delle risorse, rispetto

a cui definisce “i criteri, gli indirizzi e i parametri per l’elaborazione degli strumenti di

pianificazione territoriale”. Di conseguenza, il P.U.P. contiene sia norme “prescrittive e

vincolanti”, che sospendono gli effetti della disciplina incompatibile contenuta negli

strumenti di pianificazione delle comunità e dei comuni o che richiedono il loro

adeguamento, sia “norme di direttiva, indirizzo e orientamento rivolte agli enti titolari di

poteri pianificatori”, che costituiscono parametro di coerenza nella valutazione dei singoli

strumenti di pianificazione” (TRGA Trento, 6 aprile 2011, n. 105).

3 P. URBANI, Il ruolo della Provincia nella recente legislazione statale e nella nuova legge sul governo del territorio

della Regione Toscana n. 1/2005, in Riv. giur. urb., 2005, 574 ss.

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La giurisprudenza in commento, pur poggiandosi sulle previsioni della legislazione regionale,

dunque, consente alle Province di conformare la proprietà dei privati per finalità paesaggistico

ambientali. A ben vedere, peraltro, lo stesso Tar Lombardia alla fine giustifica questo potere

conformativo sulla necessità di contenere l’uso del suolo. Il che, peraltro, conferma che la

giurisprudenza, alla fine, radica questo potere conformativo sulla disciplina urbanistica, che

correttamente può essere disciplinato dalla legislazione concorrente regionale. In altri termini, posto

che al legislatore regionale concorrente spetta di disciplinare il potere di piano, compresi i suoi effetti,

questi può anche attribuire il potere di conformazione della proprietà ai piani territoriali, purchè

questo avvenga all’interno di una cornice di “sussidiarietà responsabile” e soprattutto al fine di

individuare le c.d. invarianti territoriali di carattere paesaggistico ed ambientale 4.

4. Questa attrazione da parte dei piani territoriali del potere conformativo della proprietà, porta

con sé un problema di non poco momento, ovvero quello della “riserva urbanistica comunale”.

La questione è emersa in tutta la sua forza con le recenti leggi di contenimento di consumo di

suolo, con particolare riguardo alla Lombardia. Difatti in questa regione si era vietato ai comuni di

poter introdurre varianti contenitive, dovendo attendere il previo intervento da parte del piano

territoriale regionale e di quella provinciale.

La Corte costituzionale ha ritenuto illegittima tale previsione, poiché la compressione della

potestà urbanistica comunale risultava irrimediabilmente compressa dalla normativa regionale.

L’incostituzionalità non ha, infatti, retto il test di proporzionalità 5.

Si pone, dunque, il problema se l’attribuzione del potere conformativo alla Provincia costituisca

una violazione della riserva urbanistica comunale, alla quale spetta il potere di pianificazione ai sensi

degli artt. 117 e 118 Cost.

E’ sicuramente incostituzionale la prescrizione regionale che esclude tale potestà in capo ai

Comuni. Di converso, per quanto riguarda le invarianti territoriale, risultano legittime quelle

previsioni che lasciano ai Comuni il potere di dettagliare ed integrare le invarianti conformative

individuate dai piani territoriali.

“Ciò naturalmente non può azzerare il potere pianificatorio dei Comuni, la cui

partecipazione deve essere quindi assicurata e non può essere puramente nominale, essendo

precluso a Regioni e Province trasformare i poteri comunali in ordine all’uso del territorio

in funzioni meramente consultive prive di reale incidenza, o in funzioni di proposta o

ancora in semplici attività esecutive” (ancora Tar Lombardia, Milano, II, 8 giugno 2021, n.

1395).

4 Sull’ambito del potere legislativo regionale in materia di PTCP si veda anche Corte cost., 5 aprile 2018, n. 68.

5 Corte cost., 16 luglio 2019, n. 179.

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Quindi secondo la giurisprudenza le riserva comunale sarebbe salva sia laddove venga

consentita una partecipazione effettiva dei comuni alla formazione dello strumento territoriale, sia

riconoscendo ai medesimi comuni una potestà esecutiva e di dettaglio.

5. In sede di considerazioni conclusive voglio svolgere alcune osservazioni sulle criticità,

sempre più palesi, che presenta il PTCP.

Il PTCP è, innanzitutto, legato al ruolo della Provincia, per cui riflette le criticità che riguardano

l’ente provinciale.

Come noto l’istituto della Provincia è sempre stato un campo divisivo, tra fautori ed avversari,

sull’utilità o l’inutilità di questo ente. In questo quadro, mi ricordo che ai tempi in cui ero studente, il

mio Maestro (Bruno Cavallo) andava dicendo a lezione che la previsione del PTCP, introdotta con la

l. 142 del 1990 (al tempo da poco approvata), serviva a giustificare un Ente, come la Provincia, che

altrimenti pareva inutile. Con la stagione del federalismo amministrativo le Province indubbiamente

hanno trovato una nuova collocazione istituzionale, essendo diventate sede del decentramento delle

funzioni regionali, con particolare riguardo a quelle territoriali ed ambientali. Ed in questo quadro, il

PTCP assurgeva al centro della dimensione territoriale, tant’è che lo stesso d.lgs. sul trasferimento

delle funzioni attribuiva al PTCP il ruolo di “piano dei piani”.

“La regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento

provinciale di cui all’articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n. 142, assuma il valore e gli

effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente,

delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la

definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le

amministrazioni, anche statali, competenti.

In mancanza dell’intesa di cui al comma 1, i piani di tutela di settore conservano il valore e

gli effetti ad essi assegnati dalla rispettiva normativa nazionale e regionale.

Resta comunque fermo quanto disposto dall’articolo 149, comma 6, del presente decreto

legislativo” (art. 57, d.lgs. 112/98).

La disposizione a quanto mi risulta non risulta essere stata mai attuata, in quanto l’istituto

dell’intesa non ha trovato pratica attuazione. Resta, però, il fatto che proprio con la stagione del

federalismo amministrativo il PTCP abbia assunto, dal punto di vista sistematico una centralità che

nel tempo, invece, si è andata a perdere.

Difatti, nel corso del nuovo secolo è di nuovo cresciuto quel sentimento avversivo nei confronti

delle Province che è sfociato, specie sotto il Governo Monti, nel dibattito sull’opportunità della loro

soppressione. Senza ripercorrere le tappe accidentate del percorso, che come noto si sarebbe dovuto

concludere con la loro soppressione per via costituzionale, basta a tal fine ricordare che l’attuale

conformazione istituzionale delle Province è delineato nella l. del Rio (l. 7 aprile 2014, n. 56).

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Le Province non sono più enti rette dal principio di rappresentanza politica, poiché sono state

trasformate in enti di secondo livello, cioè come un ente associativo obbligatorio dei Comuni. E molte

delle funzioni che precedentemente erano state attribuite o loro delegate sono state assegnate alle

Regioni, specie con riguardo alle funzioni di carattere ambientale e dello sviluppo economico.

Non sono più enti a fini generali: oggi le Province sostanzialmente esercitano solo due funzioni,

ovvero la gestione delle strade provinciali e l’edilizia scolastica per quanto concerne le scuole

superiori.

Questo cambiamento della natura dell’ente Provincia ed il contemporaneo svuotamento di

funzioni comporta certamente una crisi non solo dell’Ente provinciale, ma anche del suo principale

strumento di programmazione, ovvero il PTCP. Come fa il PTCP a porsi come strumento di

programmazione dello sviluppo economico se alla provincia non residuano queste funzioni.

Idem per quelle ambientali. In definitiva la debolezza della provincia determina una debolezza

del PTCP.

Nelle aree metropolitane le Province, inoltre, non esistono più e sono state sostituite dalle Città

metropolitane e da un nuovo strumenti di pianificazione denominato “Piano territoriale

metropolitano” (art. 1, comma 44, lett. b, l. 56/2014).

La crisi delle Province è sicuramente uno degli aspetti critici del PTCP, ma non il solo.

Una seconda problematica riguarda l’assetto della pianificazione territoriale. A partire dalle

modifiche del 2008, la centralità della pianificazione territoriale è oggi incardinata sulla

pianificazione paesaggistica voluta dagli artt. 143 e ss. del Codice dei beni culturali. Il piano

paesaggistico, realizzato in forza di un’intesa tra Stato (Ministero della cultura e Ministero della

transizione ecologica) e Regioni, tende ad individuare quelle invarianti urbanistiche che tutti i piani

devono rispettare, compreso quello provinciale. Il ruolo del PTCP in questo nuovo quadro è molto

limitato, poiché le leggi regionali possono, ma non devono, prevedere misure di coordinamento con

i piani territoriali, ma, soprattutto, le province sono tenute ad adeguarsi e conformarsi alle previsioni

del piano paesaggistico che, comunque, sono prevalenti (art. 145, d.lgs. 42/2004).

Ad oggi solo 5 regioni si sono dotate del piano paesaggistico (Friuli Venezia Giulia, Lazio,

Piemonte, Puglia, Toscana). Nelle altre regioni la funzione di tutela paesaggistica risente

dell’impostazione pre 2008, per cui in molte di esse è stata affidata al PTCP, che però nel tempo è

destinato a perdere questa sua sorta di ultrattività.

Una terza problematica riguarda la progressiva espansione delle tutele differenziate. Il PTCP,

specie nel disegno di fine del secolo scorso, doveva contrapporsi alla tendenza inarrestabile a rompere

la gerarchia dei piani a favore di pianificazioni differenziate a tutela di singoli interessi, come nel

caso dei piani di bacino ed altre tutele ambientali differenziate. Il PTCP come piano dei piani doveva

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costituire una risposta a questa tendenza: si è visto peraltro che anche questo disegno è fallito e le

tutele differenziate continuano a spadroneggiare.

A mio modo di vedere occorre, pertanto, procedere ad un ripensamento della funzione

provinciale in materia urbanistica.

Secondo me la strada da seguire è capovolgere la logica del piano provinciale, non più dall’alto

verso il basso, ma dal basso verso l’alto. Se le Province sono enti associativi di secondo livello,

espressione dei Comuni, analogamente il piano provinciale deve rispecchiare questa nuova natura

dell’ente provinciale. Cioè dovrebbe assumere la veste di piano di coordinamento dei piani regolatori,

che agevoli i nessi di interdipendenza, come ad es. una perequazione generalizzata che individui

regole comuni di trasferibilità dei diritti edificatori a livello sovracomunale. Senza tralasciare la

possibilità di renderli dei piani, una volta definiti, comprensoriali, cioè con una efficacia conformativa

della proprietà per una pluralità di territori comunali. Quindi bisognerebbe completare la

trasformazione in atto in modo da renderli, più che piani direttori (natura ormai persa), dei piani

conformativi della proprietà a livello sovracomunale.

Non è questa, peraltro, la via seguita dalla prima legge regionale urbanistica successiva alla

legge del Rio, ovvero quella dell’Emilia Romagna del 21 dicembre 2017, n. 24 6.

Da segnalare è, innanzitutto, la scelta terminologica di mutare il nomen iuris del piano, cioè da

PTCP a PTAV (Piano territoriale di area vasta): in tal senso l’art. 42 della l.r. cit.

Il PTAV ha la

“funzione di pianificazione strategica d’area vasta e di coordinamento delle scelte

urbanistiche strutturali dei comuni e loro Unioni che incidono su interessi pubblici che

esulano dalla scala locale” (art. 42, primo comma, l.r. cit.).

E’ essenzialmente un piano di indirizzi strategici, e, dunque non ha natura conformativa della

proprietà: in particolare

definisce “gli indirizzi strategici di assetto e cura del territorio e dell’ambiente, in coerenza

con gli obiettivi strategici territoriali” (art. 42, terzo comma, lett. a), l. cit.).

La legge della regione Emilia-Romagna, dunque, non fa altro che prendere atto della crisi del

PTCP, rendendolo uno strumento di dettaglio degli indirizzi della pianificazione territoriale regionale.

ANTONIO BARTOLINI

Ordinario di diritto amministrativo

Università di Perugia

6 Sulla disposizione in esame v. T. BONETTI, La pianificazione territoriale nella nuova legge urbanistica dell’Emilia-

Romagna tra innovazioni e continuità, in Riv. giur. urb., 2020, 382 ss. ed in particolare 388 ss.