Il permesso di costruire per cambio d’uso dei locali accessori, di Fabio Cusano

Con sentenza 3 novembre 2023, n. 16323, il TAR Roma, sez. II stralcio, ha ribadito che la circostanza che l’abuso sia anche oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo penale non inficia la legittimità dell’ordine di demolizione, in quanto non incide su alcuno dei presupposti previsti dalla legge per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’amministrazione. Il provvedimento di sequestro di cui all’art. 321 c.p.p. è invero finalizzato a impedire l’ulteriore protrazione del reato e non preclude affatto l’ottemperanza all’ordine di ripristino adottato in via amministrativa, la quale deve quindi considerarsi sempre possibile, previa espressa autorizzazione del giudice penale competente. Non può dunque configurarsi alcuna impossibilità giuridica dell’ottemperanza, giacché la parte colpita dall’ingiunzione, siccome tenuta a eseguire l’ordine amministrativo, ha l’onere di richiedere tempestivamente il dissequestro del manufatto finalizzato all’esecuzione dell’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, nell’ambito di una unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi “accessori” che, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire: autorimesse, cantine e locali di servizio rientrano, di norma, in questa categoria. Perciò non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage, di un magazzino o di una soffitta in un locale abitabile; senza considerare i profili igienico-sanitari di abitabilità del vano, in ogni caso si configura, infatti, un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire. Quindi, deve ritenersi che il cambio di destinazione d’uso tra locali accessori e vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire e ciò indipendentemente dall’esecuzione di opere.

L’odierno ricorrente ha impugnato il provvedimento di sospensione dei lavori in corso e la successiva ordinanza di demolizione.

L’Amministrazione contesta una serie di difformità dei lavori in corso di realizzazione rispetto a quelli comunicati a mezzo DIA ritenute tali da incidere sul titolo edilizio necessario per la loro realizzazione in quanto incidenti sul carico urbanistico.

Il TAR ritiene che il ricorso sia infondato e debba, pertanto, essere rigettato.

In via preliminare, l’orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene che la circostanza che l’abuso sia anche oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo penale non inficia la legittimità dell’ordine di demolizione, in quanto non incide su alcuno dei presupposti previsti dalla legge per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Amministrazione. Il provvedimento di sequestro di cui all’art. 321 c.p.p. è invero finalizzato a impedire l’ulteriore protrazione del reato e non preclude affatto l’ottemperanza all’ordine di ripristino adottato in via amministrativa, la quale deve quindi considerarsi sempre possibile, previa espressa autorizzazione del giudice penale competente. Non può dunque configurarsi alcuna impossibilità giuridica dell’ottemperanza, giacché la parte colpita dall’ingiunzione, siccome tenuta a eseguire l’ordine amministrativo, ha l’onere di richiedere tempestivamente il dissequestro del manufatto finalizzato all’esecuzione dell’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi (cfr. ex multis TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 4 gennaio 2019, n. 139; T.A.R., Palermo, sez. III, 04/07/2017, n. 1776).

Per quanto concerne gli interventi che, nella prospettazione dell’Amministrazione, hanno determinato il cambio di destinazione d’uso del locale garage, gli stessi non possono essere singolarmente considerati come vorrebbe parte ricorrente ma vanno valutati, come correttamente rilevato dall’amministrazione comunale, complessivamente ai fini dell’individuazione del titolo edilizio necessario alla loro esecuzione.

La giurisprudenza ritiene, infatti, che per il cambio di destinazione d’uso di locali accessori in vani ad uso residenziale, ipotesi ricorrente nel caso di specie, sia necessario il permesso di costruire: “Nell’ambito di una unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi « accessori » che, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire: autorimesse, cantine e locali di servizio rientrano, di norma, in questa categoria. Perciò non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage, di un magazzino o di una soffitta in un locale abitabile; senza considerare i profili igienico-sanitari di abitabilità del vano, in ogni caso si configura, infatti, un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire. Quindi, deve ritenersi che il cambio di destinazione d’uso tra locali accessori e vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire e ciò indipendentemente dall’esecuzione di opere” (ex multis, T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 14/05/2018, n. 742).

Peraltro, una volta appurata l’esecuzione di opere in assenza di permesso di costruire, non costituisce onere dell’Amministrazione Comunale verificare la sanabilità delle stesse (a seguito di accertamento di conformità) in sede di vigilanza sull’attività edilizia, essendo per legge rimessa ogni iniziativa in merito all’impulso del privato interessato.

Sotto altro profilo, nessuna rilevanza nella fattispecie può essere attribuita alle valutazioni sulla consistenza dell’abuso che sono state effettuate nell’ambito del procedimento penale in ragione dell’autonomia e della separazione tra giudizio penale e giudizio amministrativo.

Nel caso di specie, d’altro canto, il giudice penale avrebbe ritenuto la tenuità dei fatti contestati e non accertato la loro insussistenza. Il giudicato penale, in ogni caso, non determina un vincolo assoluto all’amministrazione per l’accertamento dei fatti rilevanti nell’attività di vigilanza edilizia e urbanistica.

Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso è stato rigettato.