Il certificato di agibilità di un immobile non ne attesta la regolarità urbanistico-edilizia di Fabio Cusano

Cons Stato 2461 2023

 

Con la sentenza n. 2461 dell’8 marzo 2023, il Consiglio di Stato ha ribadito che il rilascio del certificato di agibilità di un immobile non attesta la regolarità edilizia ed urbanistica dello stesso. Si tratta di provvedimenti che presidiano interessi diversi: il primo è diretto ad attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità dell’edificio, mentre il titolo edilizio attesta la regolarità edilizia e urbanistica. La mancanza del titolo edilizio comporta la sanzionabilità dell’attività realizzata. Ne discende che il rilascio del certificato di agibilità non è sintomo di contraddittorietà della sanzione demolitoria irrogata; al contrario la mancanza del titolo edilizio depone per l’illegittimità del certificato di agibilità in quanto, attesa la specifica finalità di tale certificazione per come descritta dall’art. 24, comma 1, del D.P.R. 380/2001, non è possibile legittimamente rilasciare un certificato di agibilità se non sussiste la conformità ai parametri normativi di carattere urbanistico e/o edilizio.

Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del TAR Napoli con cui è stato respinto il ricorso proposto avverso l’ordinanza comunale di ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi relativamente ad abusi consistenti nel mutamento di destinazione d’uso da fabbricato rurale a locale ad uso commerciale, in particolare di ristorazione.

Il Consiglio ha preliminarmente affrontato la tematica della improcedibilità dell’appello. Gli appellanti sostengono che la SCIA autorizzerebbe sia la demolizione di parte delle opere di cui all’ordinanza impugnata, sia la sanatoria delle restanti opere, di cui alla stessa ordinanza. Il Comune, viceversa, osserva che la suddetta SCIA legittimerebbe soltanto la demolizione (peraltro già intimata con l’ordinanza impugnata) mentre per le restanti opere, solo dopo la demolizione potrebbe essere presentata l’istanza di concessione in sanatoria.

Il Consiglio ha condiviso le argomentazioni del Comune.

L’art. 23 del testo unico dell’edilizia si riferisce alle sole opere da eseguire e non già a quelle già eseguite; quindi, la SCIA ivi prevista non può essere presentata per sanare opere già realizzate, essendo a tal fine necessario un diverso procedimento che, nel caso di specie, gli appellanti non hanno attivato. Quindi correttamente il Comune ha evidenziato nella richiamata nota di chiarimenti che le uniche opere da eseguire sono quelle di demolizione, rilevando peraltro l’inutilità a tal fine della SCIA, atteso che le opere in questione sono da demolirsi già per effetto dell’ordinanza, rispetto alla quale il ripristino, non ancora effettuato, è in evidente ritardo né può essere ulteriormente procrastinato.

Non coglie nel segno la censura per cui il Comune non avrebbe esercitato nei termini il potere inibitorio e, quindi, il titolo “in sanatoria” si sarebbe consolidato, per l’evidente ragione che il consolidamento conseguente all’assenza di inibizione può legittimamente formarsi solo in presenza di una istanza ritualmente formulata.

Nel caso di specie, la SCIA presentata non è lo strumento idoneo per richiedere il titolo in sanatoria, sicché sulla stessa non può essersi consolidato alcun titolo abilitativo per le opere abusive delle quali è stata già intimata la demolizione. Ne discende che, stante la volontà della parte di procedere alla demolizione (parziale) delle opere, tanto da legittimarla con SCIA, l’appello proposto avverso l’ordinanza di demolizione, può considerarsi improcedibile solo limitatamente alle opere indicate nella SCIA come oggetto di demolizione.

Analoga sorte non segue, tuttavia, quanto alla parte dell’ingiunzione di demolizione che riguarda le restanti opere, le quali non sono affatto sanate, in forza della richiamata SCIA, come opina la parte appellante essendo necessaria, a tale fine, la presentazione di rituale istanza di accertamento di conformità. Relativamente a tali manufatti, pertanto, persiste l’interesse della parte appellante alla decisione del presente gravame.

Ad avviso del Consiglio, l’appello è, tuttavia, infondato.

Il Consiglio ha osservato che il rilascio del certificato di agibilità di un immobile non attesta la regolarità edilizia ed urbanistica dello stesso.

Si tratta di provvedimenti che presidiano interessi diversi: il primo è diretto ad attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità dell’edificio, mentre il titolo edilizio attesta la regolarità edilizia e urbanistica.

La mancanza del titolo edilizio comporta la sanzionabilità dell’attività realizzata. Ne discende che il rilascio del certificato di agibilità non è sintomo di contraddittorietà della sanzione demolitoria irrogata; al contrario la mancanza del titolo edilizio depone per l’illegittimità del certificato di agibilità in quanto, attesa la specifica finalità di tale certificazione per come descritta dall’art. 24, comma 1, del DPR n. 380/2001, non è possibile legittimamente rilasciare un certificato di agibilità se non sussiste la conformità ai parametri normativi di carattere urbanistico e/o edilizio (Cons. Stato, Sez. VII, 5 gennaio 2023, n. 180).

Quanto al presunto affidamento ingenerato negli appellanti sulla legittimità dell’avvenuto cambio di destinazione, del quale manca qualunque prova, se ne può statuire l’insussistenza anche per la significativa circostanza della richiesta di titolo abilitativo effettuata per il cambio di destinazione, cui non ha fatto seguito alcun provvedimento favorevole.

Deve aggiungersi che la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017, cui si è uniformata la giurisprudenza successiva (Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbraio 2021, n. 1552; id. 16 settembre 2022, n. 8044) ha espressamente affermato che «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».

La sentenza impugnata, diversamente da quanto opina la parte appellante, si colloca nel solco di tale giurisprudenza consolidata, laddove ha richiamato la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria.

In ragione della natura vincolata del provvedimento, pertanto, non era richiesto alcuno specifico onere motivazionale sulla preminenza dell’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, essendo sufficiente al riguardo il richiamo alla abusività delle opere contestate.

Conclusivamente, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.