Incostituzionale la disciplina lombarda sulle bonifiche e sul ripristino ambientale dei siti inquinati di Fabio Cusano

Corte Cost 50 2023

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 della L.R: Lombardia n. 9 del 2022, nella parte in cui, con la lettera a) del comma 1, ha sostituito il secondo periodo del comma 12 dell’art. 21 della L.R. Lombardia n. 26 del 2003.

Il citato comma 12, dopo aver previsto, al primo periodo, che le «discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica dei relativi siti contaminati» non sono soggetti ai comuni criteri di localizzazione delle discariche di rifiuti stabiliti a livello regionale, disponeva, al secondo periodo: «tale messa in sicurezza permanente deve essere realizzata secondo i criteri e le modalità previste dal D.Lgs. 36/2003». A seguito della novella legislativa impugnata, quest’ultima disposizione risulta così riformulata: «tale messa in sicurezza permanente deve essere realizzata in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale, fissati dal D.Lgs. 36/2003».

Ad avviso del ricorrente, la nuova formulazione della disposizione regionale, nella sua maggiore genericità, non assicurerebbe più l’applicazione automatica dei criteri e delle modalità previsti dal citato d.lgs. n. 36 del 2003, ponendosi così in contrasto con l’art. 3 dello stesso decreto, che definisce l’ambito applicativo della relativa disciplina in termini comprensivi degli interventi oggetto della normativa regionale.

La disposizione impugnata violerebbe, di conseguenza, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», entro la quale si colloca la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati.

Nel merito, ad avviso della Consulta, la questione proposta con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è fondata.

Per meglio intendere i termini della questione, giova premettere che l’istituto della messa in sicurezza permanente, nella sua originaria configurazione, consisteva, secondo la definizione offerta dall’art. 2, lettera i), del DM 25 ottobre 1999, n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni), in un insieme di interventi, posti in essere nel corso della bonifica di un sito inquinato, atti ad isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti, qualora le fonti inquinanti fossero costituite da rifiuti stoccati e non fosse possibile procedere alla rimozione degli stessi a costi sopportabili, pur applicando le migliori tecnologie disponibili. La messa in sicurezza permanente era, dunque, originariamente riferita ai soli materiali, presenti in un sito inquinato, qualificabili come rifiuti.

Fra le misure che contraddistinguevano i richiamati interventi di isolamento vi era, in particolare, quella della realizzazione di discariche per la messa in sicurezza permanente e di impianti di trattamento dei rifiuti prodotti in corso di bonifica; operazione da effettuare seguendo i criteri e le modalità prescritti dal d.lgs. n. 36 del 2003, di attuazione della direttiva 1999/31/CE. Secondo l’art. 3, comma 1, dello stesso decreto legislativo, infatti, «le disposizioni del presente decreto si applicano a tutte le discariche, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera g)», ossia alle «aree adibite a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno». Dal combinato disposto di queste previsioni normative emerge, dunque, che le discariche per la messa in sicurezza permanente sono ricomprese nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 36 del 2003 e che ad esse si applicano criteri e modalità ivi previsti.

Più di recente, il d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 240, comma 1, lettera o), ha ridefinito la messa in sicurezza permanente in termini maggiormente comprensivi, stabilendo che essa si concreta nell’«insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente». Attualmente, pertanto, gli interventi in questione, in aggiunta a quelli già sopra delineati, possono riguardare anche fonti inquinanti non qualificabili come rifiuti, come, ad esempio, il suolo contaminato (art. 185, comma 1, lettera b, cod. ambiente) o matrici materiali di riporto (art. 3, comma 1, del d.l. n. 2 del 2012, come convertito).

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, possono meglio comprendersi le diverse opzioni interpretative proposte dallo Stato e dalla Regione con riguardo al rapporto intercorrente fra il primo e il secondo periodo dell’art. 21, comma 12, della L.R: Lombardia n. 26 del 2003, come modificato dall’impugnato art. 12, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 9 del 2022. Il primo periodo del menzionato comma 12, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera i), della L.R. Lombardia 29 giugno 2009, n. 10 (Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale – Collegato ordinamentale), tuttora immodificato, stabilisce che le «discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica e destinati esclusivamente alle operazioni di bonifica dei relativi siti contaminati, approvati ed autorizzati ai sensi delle procedure previste dal titolo V, parte VI [recte: IV], del D.lgs. 152/2006» restano esclusi dall’ambito di applicazione dei criteri generali di localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti fissati dall’art. 8, comma 7, della L.R. Lombardia n. 12 del 2007.

Tale ultima disposizione richiede che la Giunta regionale, nella delibera di approvazione del programma di gestione dei rifiuti, preveda per tali impianti una distanza minima dalle discariche già in esercizio, esaurite o da bonificare, dalle zone di protezione speciale, dai siti di importanza comunitaria e dalle aree protette, tenendo conto, altresì, che «nelle aree di pregio agricolo e, in particolare, per quelle DOC, DOCG, per quelle coltivate a riso e in quelle limitrofe, non possono essere autorizzate discariche». Ne consegue che, a norma del primo periodo del citato art. 21, comma 12, le discariche per la messa in sicurezza permanente e gli impianti di trattamento dei rifiuti prodotti in corso di bonifica possono essere collocati anche in aree particolarmente “sensibili”.

Il secondo periodo, oggetto dell’intervento di modifica oggi impugnato, prevede poi che «tale messa in sicurezza permanente» debba essere realizzata «in coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale» fissati dal d.lgs. n. 36 del 2003, mentre in precedenza stabiliva che essa dovesse aver luogo «secondo i criteri e le modalità» previste dallo stesso decreto.

Il ricorrente, movendo dal presupposto interpretativo per cui il secondo periodo della disposizione in questione verte sullo stesso oggetto del primo (ossia: le «discariche per la messa in sicurezza permanente» e «gli impianti di trattamento dei rifiuti realizzati nell’area oggetto di bonifica»), ritiene che la novella legislativa restringa il campo di applicazione del d.lgs. n. 36 del 2003, come definito dal suo art. 3. La genericità dell’attuale formulazione della disposizione – che si limita a richiedere la «coerenza con gli obiettivi di tutela ambientale» di cui al menzionato decreto legislativo – consentirebbe, infatti, di sottrarre le discariche e gli impianti in parola alla osservanza del citato decreto legislativo in ogni sua prescrizione. Di qui, la denunciata lesione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

La Regione Lombardia, invece, sostiene che il secondo periodo della disposizione modificata abbia una sfera applicativa differente da quella del primo: mentre il primo periodo riguarderebbe discariche e impianti di trattamento di rifiuti realizzati nell’ambito di una messa in sicurezza permanente, il secondo riguarderebbe soltanto i cosiddetti “volumi confinati in sito” contenenti matrici ambientali (in particolare terreni), ossia impianti per i quali non sarebbe necessario osservare le modalità e i criteri previsti dal d.lgs. n. 36 del 2003.

Ad avviso della Corte, gli argomenti prospettati dalla difesa regionale a sostegno dell’ipotesi interpretativa della distinzione di oggetti fra primo e secondo periodo del modificato art. 21, comma 12, della L.R. Lombardia n. 26 del 2003 non sono persuasivi.

Come più volte sottolineato dalla Corte, «“vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative”, a maggior ragione quando “l’ambiguità semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi interpretativi”» che rendono concreto il rischio di una lesione della competenza legislativa statale (ex multis, sentenze n. 231 del 2019 e n. 107 del 2017).

A partire dal presupposto interpretativo così precisato, occorre infine ricordare che, per costante giurisprudenza, la disciplina dei rifiuti va ricondotta alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», affidata dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 191 del 2022, n. 227 del 2020, n. 289, n. 231, n. 142, n. 129 e n. 28 del 2019, n. 215 e n. 151 del 2018). Pertanto, l’attenuazione del vincolo al rispetto del d.lgs. n. 36 del 2003, operata dalla norma impugnata, costituisce una violazione di tale competenza esclusiva.

Ciò, a prescindere da ogni rilievo circa la correttezza delle conseguenze che la Regione resistente fa discendere dalla propria opposta prospettiva ermeneutica e, in particolare, circa la possibilità per essa di prevedere una disciplina più rigorosa in relazione alla tutela dell’ambiente, in vista della tutela della salute umana, ove gli interventi di messa in sicurezza permanente non abbiano ad oggetto rifiuti. La Corte ha, infatti, costantemente inquadrato nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» anche, e in modo specifico, la disciplina della bonifica dei siti contaminati (sentenze n. 251 del 2021, n. 126 del 2018, n. 247 del 2009 e n. 214 del 2008), negando fondamento alla rivendicazione, in tale ambito, di una competenza legislativa della regione in relazione alla tutela della salute (sentenza n. 247 del 2009) e rilevando come spetti «alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell’ambiente» (sentenza n. 214 del 2008).

La Consulta ha, pertanto, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 12, comma 1, lettera a), della L.R. Lombardia n. 9 del 2022, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.