Il cambio di destinazione d’uso in area vincolata, di Fabio Cusano

Con sentenza 8 novembre 2023, n. 16569, il TAR Roma, sez. IV ter, ha ribadito che nelle aree soggette a vincolo possono ritenersi suscettibili di sanatoria solo le opere di minore rilevanza, integrate dalle opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria. Il cambio di destinazione d’uso di un immobile tra categorie non omogenee è riconducibile invece agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. d), non potendo qualificarsi né come nuova costruzione, né come attività di manutenzione straordinaria, né tanto meno come attività di restauro o risanamento conservativo.

Le ricorrenti espongono di essere comproprietarie, iure successionis, dell’immobile; in relazione a detto immobile presentavano domanda di condono edilizio per modesti interventi di risanamento conservativo e ripristino dell’uso residenziale; tale domanda veniva rigettata per la presenza di vincoli sull’area con conseguente insanabilità dell’opera.

Sulla base delle previsioni dettate dall’art. 32, commi 26 e 27, del decreto legge n. 269 del 2003 e dagli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della LR del Lazio n. 12 del 2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del decreto legge n. 269 del 2003, integrate dalle opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (ex plurimis, in termini: Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705; 4 aprile 2017 n. 4225; 13 ottobre 2017, n. 10336; 11 luglio 2018, n. 7752; 24 gennaio 2019, n. 931; 9 luglio 2019, n. 9131; 13 marzo 2019, n. 4572; 2 dicembre 2019 n. 13758; 7 gennaio 2020, n. 90; 2 marzo 2020, n. 2743; 26 marzo 2020 n. 2660; 7 maggio 2020, n. 7487; 18 agosto 2020, n. 9252; Sez. Stralcio, 7 giugno 2022 n. 7384; 15 luglio 2022, n. 10072; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425), mentre per le altre tipologie di abusi, riconducibili alle tipologie di illecito di cui ai nn. 1, 2 e 3, del menzionato Allegato, interviene una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive.

Secondo la consolidata giurisprudenza, il cambio di destinazione d’uso di un immobile tra categorie non omogenee è riconducibile alla tipologia di abuso n. 3, e cioè agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380 del 2001, non potendo essi qualificarsi né come nuove costruzioni, né come attività di manutenzione straordinaria, né tanto meno come attività di restauro o risanamento conservativo (cfr. Tar Lazio, II sez. stralcio, 19 giugno 2023, n. 2023); le considerazioni che precedono risultano vieppiù confermate dall’ormai consolidata giurisprudenza amministrativa a rigore della quale il cambio di destinazione d’uso da abitazione ad ufficio, anche se eseguito senza opere, soggiace ormai al permesso di costruire, e ciò al pari della ristrutturazione edilizia c.d. “pesante”.

In proposito, la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato ha affermato quanto segue (cfr. Cons. St., Sez. VI, 20 novembre 2018, n. 6562): “Non può condividersi dunque quanto talora affermato dalla giurisprudenza più risalente, secondo cui il cambio d’uso da abitazione ad ufficio, anche se eseguito senza opere, non sia mai soggetto a permesso di costruire, e ciò anche perché un immobile destinato ad attività professionale presuppone un traffico di persone e la necessità di servizi e, quindi, di “carico urbanistico” superiore a quello di una semplice abitazione. Pertanto, il mutamento di destinazione d’uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con l’ovvia conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d’uso che alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità a vario titolo, che può e anzi deve essere rilevata dall’Amministrazione nell’esercizio del suo potere di vigilanza. Ed infatti, l’art. 7 della legge regionale Lazio 2 luglio 1987, n. 36 modificato dall’articolo 35 della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15, stabilisce che “le modifiche di destinazione d’uso con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposito permesso di costruire mentre quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria sono soggette a denuncia di attività da parte del sindaco. Nei centri storici, come definiti dall’ articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, è di norma vietato il mutamento delle destinazioni d’uso residenziali”. 6. Soltanto il cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incidente sul carico urbanistico) mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere. Dunque, il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti”.

Nel provvedimento gravato l’Amministrazione, dopo aver fatto riferimento sia in parte motiva che in parte dispositiva alle caratteristiche dell’abuso (opere di risanamento conservativo e cambio d’uso da attività commerciale ad abitazione così come indicato nella domanda di condono), ha concluso per l’insanabilità dell’opera in quanto posta in area vincolata, con ciò conformandosi alla giurisprudenza di cui al punto che precede; al riguardo la giurisprudenza ha altresì chiarito che “il richiamo al vincolo paesaggistico insistente sull’area su cui sono stati realizzati gli abusi edilizi e alle caratteristiche di questi ultimi costituisce in primo luogo motivazione sufficiente a fondare i dinieghi di condono impugnati” (cfr. Cons. di Stato, sez. VII, 29 novembre 2022, n. 10495). In questo senso appare evidente che l’Amministrazione abbia ricondotto le opere ai c.d. abusi maggiori qualificando correttamente la domanda di condono che conteneva, invece, il riferimento ad un abuso minore (qualificazione che sarebbe stata corretta soltanto in caso di risanamento conservativo senza mutamento della destinazione d’uso).

Perdono quindi rilievo le considerazioni dei ricorrenti in ordine alla mancata notifica del preavviso di rigetto, posto che in caso di procedimenti vincolati, quale quello di condono edilizio, grava sull’istante l’onere di dimostrare che l’apporto fornito in sede procedimentale avrebbe potuto influire sul provvedimento finale (Consiglio di Stato sez. VI, 01/03/2018, n.1269 e Consiglio di Stato, sez. VI, 27/04/2020, n.2676); in questo senso l’art. 21 octies della l. n. 241/90 introduce un onere di allegazione e probatorio “rafforzato” a carico del privato che intende far valere la violazione delle garanzie partecipative offerte dall’art. 10 bis (Consiglio di Stato sez. VI, 30/04/2018, n.2585).

Nel caso in esame i ricorrenti non hanno fornito elementi in grado di incidere sulla determinazione finale dell’Amministrazione, insistendo per la riconducibilità delle opere alla categoria degli abusi, come detto smentita dalla giurisprudenza citata, con conseguente operatività nel caso in esame della particolare sanatoria prevista dall’art. 21 octies della l. 241/90 nella parte in cui stabilisce che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Il TAR ha pertanto rigettato il ricorso.