I poteri di vigilanza del Comune sulla CILA, di Fabio Cusano

Con sentenza 2 ottobre 2023, n. 2192, il TAR Milano, sez. IV, ha ribadito che, considerata la specifica natura della CILA, anche laddove sia trascorso un rilevante lasso temporale dalla sua trasmissione al Comune, non è precluso all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori qualora ci si trovi al cospetto di interventi che, secondo la prospettazione della parte lesa, esulino dal regime della predetta comunicazione. L’utilizzo di un titolo inidoneo, difatti, rende abusivo l’intervento e impone al Comune l’adozione dei suoi poteri generali di vigilanza in ambito edilizio.

I ricorrenti hanno chiesto la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sull’istanza da essi presentata e datata 2023 al fine della adozione di provvedimenti ai sensi dell’art. 19 della L. 241/1990 in merito alla SCIA 2022 nonché di provvedimenti repressivi di abusi edilizi ai sensi degli art. 27 ss. D.P.R. 380/2001.

Il ricorrente è proprietario di un’unità immobiliare sita in un fabbricato condominiale ricompreso nella zona omogenea A del territorio comunale, riconosciuto come complesso edilizio con valore architettonico intrinseco. A partire dal 2020, la Società controinteressata ha avviato, presso un’unità immobiliare condotta in locazione e sita al primo piano del fabbricato, una attività ricettiva (non alberghiera) di foresteria lombarda, oggetto di SCIA del 2020. La presenza di tale attività avrebbe causato seri disagi sia all’intero condominio che ai singoli condomini, sotto il profilo della lesione della quiete, del decoro, della sicurezza e della destinazione dell’immobile. Con la CILA del 2021, avente a oggetto “manutenzione straordinaria interna con cambio di destinazione d’uso” e la successiva CILA in variante del 2022, la controinteressata ha inoltre avviato la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria presso un’altra unità immobiliare condotta in locazione e sita al secondo piano del medesimo edificio, al fine di avviarvi un’attività alberghiera. Con la SCIA del 2022, la predetta controinteressata ha segnalato al Comune di Milano la “nuova apertura di attività di albergo”. L’avvio di siffatta attività ha ulteriormente aggravato i disagi subìti dal condominio e dai suoi condomini. Pertanto, nel 2023, i ricorrenti hanno presentato al Comune di Milano una istanza finalizzata a sollecitare gli Uffici a verificare la legittimità sia degli interventi edilizi effettuati che dell’attività ricettiva avviata e ad adottare i conseguenti provvedimenti inibitori e repressivi. Tuttavia, decorsi i trenta giorni successivi alla presentazione della suddetta istanza, l’Amministrazione comunale ha comunicato di aver avviato un “procedimento amministrativo ai sensi degli artt. 7, 8 e 10 L.241/1990 finalizzato alla dichiarazione di inammissibilità della CILA” del 2022, sostitutiva della CILA del 2021.

Ritenendo tale comunicazione non idonea a superare l’inerzia dell’Amministrazione comunale e assumendo l’illegittimità del correlato silenzio, i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 19, commi 3, 4 e 6-ter, della legge n. 241 del 1990, nonché degli artt. 27 e ss. del D.P.R. n. 380 del 2001.

In via preliminare, con riguardo alla richiesta di intervento in materia di CILA, il Collegio aderisce all’orientamento secondo il quale, considerata la specifica natura della citata comunicazione, anche laddove sia trascorso un rilevante lasso temporale dalla sua trasmissione al Comune, non è precluso all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori qualora ci si trovi al cospetto di interventi che, secondo la prospettazione della parte lesa, esulino dal regime della predetta comunicazione (cfr. Consiglio di Stato, VII, 28 aprile 2023, n. 4327; II, 13 ottobre 2022, n. 8759; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 24 febbraio 2022, n. 462; T.A.R. Campania, Napoli, IV, 6 aprile 2020, n. 1338).

L’utilizzo di un titolo inidoneo, difatti, rende abusivo l’intervento e impone al Comune l’adozione dei suoi poteri generali di vigilanza in ambito edilizio: in particolare l’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.

Ciò è in linea con un condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, pur in presenza di sempre maggiori spazi di semplificazione procedimentale anche in ambito edilizio, «esistono tuttavia dei limiti insormontabili che non consentono di derubricare gli interventi “maggiori” al titolo “minore”. Se pertanto il privato ha sempre la possibilità di optare per il permesso di costruire, laddove gli sarebbe possibile agire tramite semplice d.i.a. (oggi s.c.i.a.) non vale il reciproco, per cui nei casi in cui è ritenuto necessario l’avallo esplicito dell’intervento, l’utilizzo di qualsivoglia altra forma di comunicazione, ivi comprese quelle nuove introdotte nel tempo (si pensi alla c.d. comunicazione inizio lavori -C.I.L.- o comunicazione inizio lavori asseverata -C.I.L.A.) appare sostanzialmente inutile. Esso, cioè, si palesa tamquam non esset ai fini della legittimazione dell’intervento, che resta abusivo. Al riguardo, la Sezione ritiene utile richiamare gli orientamenti della Suprema Corte relativi alla disciplina sanzionatoria ritenuta applicabile, laddove ha ribadito che integra il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire la realizzazione di interventi edilizi su un preesistente manufatto, comportanti modifiche alla sagoma ed incrementi di superficie o volumetrici, non essendo gli stessi inquadrabili nella categoria delle varianti minori o leggere, soggette a mera segnalazione certificata di inizio attività (cfr. ex plurimis Cass. Pen., sez. IV, 18 settembre 2019, n. 38611). L’utilizzo, infatti, di un titolo edilizio completamente inadeguato a “coprire” l’intervento realizzato, non elide la natura illecita dello stesso, sì da poter comunque scongiurare l’intervento sanzionatorio del Comune nell’ambito del proprio generico potere di vigilanza (art. 27 del T.U.E.)» (Consiglio di Stato, II, 15 dicembre 2020, n. 8032; con riguardo all’uso improprio della c.i.l.a., cfr. T.A.R. Campania, Napoli, VII, 25 febbraio 2021, n. 1273; anche T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 giugno 2022, n. 1508).

A supporto di tale conclusione deve essere altresì richiamato l’orientamento giurisprudenziale che assume la doverosità – in via derogatoria – dell’intervento in “autotutela” (sebbene sui generis) dell’Amministrazione sulla s.c.i.a., in presenza di una sollecitazione del terzo che si assume leso dalla predetta segnalazione (cfr. Consiglio di Stato, II, 7 marzo 2023, n. 2371; VI, 8 luglio 2021, n. 5208), da ritenersi applicabile, a fortiori, pure agli interventi effettuati previa presentazione della c.i.l.a., soprattutto nel caso se ne contesti un utilizzo improprio (sulla sussistenza, in via generale, dell’obbligo comunale di provvedere comunque sull’istanza di repressione di abusi edilizi, presentata dal proprietario dell’area confinante a quella di realizzazione delle opere abusive, cfr. Consiglio di Stato, VI, 27 aprile 2021, n. 3430).

Ne discende il rigetto dell’eccezione di tardività dell’azione proposta dai ricorrenti avverso il silenzio comunale in ordine alla verifica della legittimità della CILA del 2022 (sostitutiva della CILA del 2021).

Tuttavia, con il provvedimento del Comune di Milano del 2023 è stata dichiarata, in via definitiva, l’inammissibilità della CILA presentata dalla controinteressata ed è stato ordinato il ripristino dello stato dei luoghi; pertanto, la parte del ricorso avente a oggetto il silenzio sulla richiesta di verifica della legittimità della predetta CILA è divenuta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, essendo intervenuto il provvedimento conclusivo del procedimento.

Quanto alla dedotta tardività dell’azione anche rispetto alla SCIA ricettiva datata 2022, la stessa non si ritiene sussistente, visto che il termine ultimo per l’intervento in “autotutela” scadeva il 2023 (dovendo effettuarsi entro dodici mesi, ai sensi dell’art. 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990), iniziando a decorrere lo stesso dalla scadenza del termine per l’esercizio degli ordinari poteri di verifica (stabilito in sessanta giorni dall’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990). I ricorrenti hanno presentato la propria istanza all’Amministrazione nel 2023 e hanno depositato il ricorso oggetto di scrutinio nella presente sede nel 2023.

Nemmeno può ritenersi idoneo a determinare l’inammissibilità (e/o l’improcedibilità) del ricorso in tale parte (ovvero sulla SCIA ricettiva) l’intervenuto avvio, sia da parte del Comune di Milano che della Città Metropolitana di Milano, del procedimento finalizzato a vietare la prosecuzione dell’attività ricettiva alberghiera ed extralberghiera svolta dalla controinteressata nell’immobile, tenuto conto che l’obbligo di provvedere “non può considerarsi assolto mediante l’adozione di atti meramente interlocutori, finalizzati a stimolare il contraddittorio infraprocedimentale, per propria natura non idonei a manifestare la volontà dispositiva dell’ente procedente e, dunque, a configurare una decisione provvedimentale sulle questioni oggetto del procedimento” (Consiglio di Stato, VI, 27 aprile 2021, n. 3430; anche, T.A.R. Sicilia, Catania, I, 19 maggio 2022, n. 1384; T.A.R. Veneto, II, 29 gennaio 2020, n. 101; T.A.R. Lombardia, Milano, I, 16 settembre 2019, n. 1979).

Passando all’esame della parte del ricorso relativa alla dedotta inerzia dell’Amministrazione comunale in ordine alla richiesta di repressione dell’attività ricettiva avviata con la SCIA del 2022, la stessa è fondata.

Va premesso che «l’autotutela di cui al comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990 presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l’intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio, a fronte di un’istanza di intervento ai sensi dell’articolo 19, comma 4, l’Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’articolo 21-nonies (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 611; id., sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610)» (Consiglio di Stato, IV, 11 marzo 2022, n. 1737; anche VI, 8 luglio 2021, n. 5208).

Infatti, «non può dubitarsi della sussistenza dell’obbligo comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi, presentata dal proprietario dell’area confinante a quella di realizzazione delle opere abusive, “il quale, appunto per tal aspetto che s’invera nel concetto di vicinitas, gode d’una legittimazione differenziata rispetto alla collettività subendo gli effetti (nocivi) immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà (arg. ex Cons. St., IV, 29 aprile 2014 n. 2228), onde egli è titolare d’un interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 c.p.a. (cfr. così Cons. St., IV, 2 febbraio 2011 n. 744; id., VI, 17 gennaio 2014 n. 233), che segue il rito di cui ai successivi artt. 112 e ss.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5087)» (Consiglio di Stato, VI, 27 aprile 2021, n. 3430).

Come già rilevato in precedenza, tale obbligo di provvedere persiste fino a quando non viene adottato il provvedimento finale, che supera lo stato di inerzia e assicura al privato una decisione che investa la fondatezza o meno della sua pretesa, non potendo a tal fine ritenersi satisfattivi atti endoprocedimentali meramente preparatori, ivi compresi il preavviso di rigetto o la comunicazione di avvio del procedimento di “autotutela”, visto che tali atti non definiscono in via conclusiva la questione oggetto di contestazione. Pertanto, il rilievo formulato dalla difesa comunale in ordine all’avvenuta instaurazione, nel 2023, del procedimento finalizzato a vietare la prosecuzione dell’attività ricettiva alberghiera ed extralberghiera svolta dalla controinteressata nell’immobile non può determinare l’improcedibilità della domanda con riguardo alla SCIA ricettiva.

Deve aggiungersi, peraltro, che l’obbligo di provvedere non riguarda il merito della vicenda e quindi non impone all’Amministrazione di aderire alla prospettazione del terzo denunciante, spettando soltanto all’Ente comunale il compito di stabilire la legittimità o meno dell’intervento edilizio contestato (cfr. Consiglio di Stato, IV, 11 marzo 2022, n. 1737); ove, in sede di verifica, si accertasse la regolarità dell’intervento, da formalizzare poi in un provvedimento espresso, sarebbe onere del privato asseritamente leso contestare tale determinazione, instaurando una ordinaria azione impugnatoria ex art. 29 cod. proc. amm.

Di conseguenza, il ricorso, nella parte in cui si riferisce al silenzio comunale in ordine alla SCIA ricettiva del 2022, deve essere accolto, ordinando al Comune di Milano di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nel termine di trenta giorni dalla notifica o comunicazione della sentenza.