Ancora sul principio di indifferenza del titolo negli abusi edilizi in zone paesaggistiche, di Fabio Cusano

Con sentenza 16 agosto 2023, n. 7778, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l’esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio nella zona vincolata (DIA/SCIA o permesso di costruire); ciò che rileva, ai fini dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico.

Il giudizio ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del TAR Napoli con la quale il TAR ha respinto il ricorso proposto dalla ricorrente al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione adottata dal Comune.

In primo luogo, non può revocarsi in dubbio che le opere realizzate abbiano una rilevante consistenza, per dimensione e tipologia e insistano su un’area paesaggisticamente vincolata.

In caso di vincolo paesaggistico qualsiasi intervento idoneo ad alterare il pregresso stato dei luoghi, come quelli di specie, deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica e, in sua assenza, è soggetto ad ordinanza demolitoria. Inoltre, in tali casi è sufficiente che si tratti di opere realizzabili anche mediante D.I.A. (ma il caso odierno sfugge a tale possibilità semplificatoria per la consistenza e la tipologia delle opere realizzate), atteso che l’art. 32, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2002, n. 380 impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico, pur se qualificabili non come nuove costruzioni ma come variazioni essenziali di manufatti preesistenti. Si è infatti, in più occasioni, precisato che le opere in aree assoggettate a vincolo paesaggistico, comportanti la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria, non possono essere condonate (Cons. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2023 n. 4663).

Infatti, per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l’esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio nella zona vincolata (DIA o permesso di costruire); ciò che rileva, ai fini dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico.

In conclusione, la realizzazione di volumetria aggiuntiva senza alcun titolo legittimante comporta la violazione degli artt. 3, comma 1, lettera e. 1 (che configura espressamente come intervento di nuova costruzione anche l’ampliamento dei manufatti esistenti all’esterno della sagoma esistente), 10 comma 1, lettera a) (che subordina al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione) e 31, comma 2, d.P.R. 380/2001 (che prevede la sanzione della demolizione per gli interventi edilizi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire), dal che si desume che l’Amministrazione ha correttamente ordinato la demolizione delle opere in questione, trattandosi di un intervento edilizio abusivo che ha determinato la realizzazione di nuovi volumi e nuove superfici, peraltro di rilevanti dimensioni (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2023 n. 3001).

Non si evincono inoltre, nella descrizione delle opere realizzate abusivamente, le caratteristiche invocate per poter riconoscere un collegamento pertinenziale tra le stesse e i manufatti preesistenti, tenuto conto che le opere eseguite devono essere considerate unitariamente e nel loro complesso, non essendo consentita una valutazione atomistica delle stesse. Ciò esclude che, nella specie, possa assumere rilievo la nozione di pertinenza urbanistica, per come definita dalla giurisprudenza, alla quale può farsi rinvio (cfr., ad esempio, Cons. Stato, Sez. VI, 25 marzo 2020 n. 2084), attesa la creazione di una nuova non irrilevante volumetria.

Inoltre, va ribadito che la creazione di volumetria abusiva in zona soggetta a vincolo paesaggistico, anche laddove interrata, non consente la sanatoria, con ciò restando ininfluente l’eventuale coerenza dei lavori eseguiti con la disciplina (urbanistico-edilizia) di zona, né, in tale contesto, sarebbe stato possibile dettare prescrizioni per rendere le contestate opere compatibili con il paesaggio (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022 n. 8848).

Con riferimento agli ulteriori versanti contestativi espressi dalla odierna appellante va riferito quanto la costante giurisprudenza ha graniticamente affermato sulle questioni sottoposte al Consiglio, posto che non si vedono ragioni per esprimersi in modo difforme, e in particolare:

– l’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato sicché non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2022 n. 3707, secondo la quale “L’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”);

– il mero decorso del tempo non fa sorgere alcun legittimo affidamento meritevole di tutela che sarebbe leso dall’operato dell’amministrazione che, a distanza di anni, reprime un abuso edilizio. Infatti nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. In definitiva, non si può applicare ad un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Più in particolare “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. pl., 17 ottobre 2017 n. 9);

– nello stesso solco interpretativo si è poi aggiunto che “l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 luglio 2023 n. 6555).

A ciò vanno aggiunte alcune ultime considerazioni, per completezza espositiva:

– sotto un primo versante, la puntuale rappresentazione delle disposizioni settoriali che impongono un regime vincolistico all’area in questione, recata nel corpo della motivazione dell’ordinanza demolitoria impugnata, escludono che le supposizioni oppositive espresse nell’atto di appello con riferimento ad altrettante previsioni normative, apparentemente idonee a consentire la sanatoria delle opere oggetto di contestazione, possano avere fondamento;

– sotto un secondo versante, oltre ad essere superfluo, al fine di poter considerare illegittimo il provvedimento sanzionatorio impugnato, affermare che l’area in questione è ampiamente urbanizzata (ciò non esclude, ovviamente, la illegittimità della realizzazione di opere senza titolo);

– sotto un terzo e ultimo versante, l’acclaramento della realizzazione di opere senza titolo, dal momento che rende illegittima tale realizzazione, esclude che per disporne la demolizione sia necessario acquisire il parere della Commissione edilizia integrata, atteso che la eventuale compatibilità paesaggistica (con considerare solo per “pura ipotesi”, nel caso di specie) non escludere l’incompatibilità sotto il profilo della disciplina edilizia delle opere realizzate;

– posto che le opere in questione costituiscono ampliamenti volumetrici realizzati senza titolo e, come tali, correttamente assoggettati all’ordine di demolizione, del tutto vincolato, l’omessa esecuzione di un preventivo accertamento tecnico circa la praticabilità della sanzione demolitoria, nonché della mancanza della valutazione tecnico-economica della Giunta municipale, come del parere della Commissione integrata e del consenso della Soprintendenza, costituiscono adempimenti non necessari ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione (cfr., in argomento e tra le ultime, Cons. Stato, Sez. VII, 9 gennaio 2023 n. 238). Infatti tali adempimenti, semmai, possono risultare necessari – e non sempre – solo in esito all’istruttoria che segue l’accertamento della inosservanza all’ordine demolitorio. Come è noto, infatti, “le disposizioni dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell’originario ordine di demolizione” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2021 n. 3666).

Ne deriva che l’Amministrazione ha provveduto legittimamente, nel caso di specie, a disporre la demolizione delle opere accertate come abusive, tenuto conto – in conclusione – che la motivazione alla base dell’ordinanza di demolizione risulta adeguata a permettere alla parte privata di percepire l’iter logico giuridico seguito per pervenire all’adozione della decisione lesiva.

In ragione di quanto si è fin qui illustrato, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.