Sulle condizioni di ammissibilità della cessione di cubatura, di Paolo Urbani

Il CGARS, 24 aprile 2024, n. 319 ha ribadito che con riferimento all’istituto della cessione di cubatura, il presupposto logico del c.d. “asservimento” del fondo, c.d. “di decollo”, che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo, c.d. “di atterraggio”, che la riceve, consiste nell’interesse della pubblica amministrazione affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti. La possibilità di trasferire la cubatura è sottoposta a condizioni: l’omogeneità di destinazione d’uso; la contiguità territoriale dei fondi; la possibilità che gli strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo.

Con il primo motivo gli appellanti sostengono che la originaria destinazione a verde pubblico attrezzato dell’area in parola è da tempo venuta meno per effetto di atti formali e dell’antropizzazione e dell’edilizia intensiva che l’ha riguardata.

Ciò posto, gli appellanti affermano che l’area è ormai una “zona bianca”, regolata, in quanto tale, dall’art. 9 del d.P.R. 380/2001 siccome recepito dall’art. 4 della l.r. Sicilia 16/2016.

Osserva il Collegio che il gravato provvedimento di reiezione della istanza di sanatoria degli abusi edilizi menziona espressamente la sussistenza della condizione invocata nel motivo.

Il diniego, infatti, dopo avere esposto che l’immobile interessato dagli abusi ricade all’interno del piano regolatore vigente in area a “verde pubblico attrezzato”, nel cui ambito l’art. 19 della norme tecniche attuative vieta la costruzione di qualsiasi tipo di edificio (salvo quelli strettamente coerenti con la predetta destinazione), precisa che “a vincolo scaduto tale area viene considerata ‘zona bianca’ nella quale è consentita l’edificazione con un indice di edificabilità pari a 0,03 mc/mq, da computarsi su intero lotto o lotti contigui aventi zona territoriale omogenea”.

A fronte di una siffatta motivazione, il Tar ha rilevato che l’atto era fondato su una “pluralità di ragioni”, tra le quali ha privilegiato la destinazione di zona, ritenendo dirimente il carattere conformativo (e non espropriativo) della destinazione stessa e, al contempo, ultronea l’eventualità della sua decadenza.

Tanto chiarito, il Collegio rileva che anche l’accertamento dell’effettivo inverarsi della decadenza del vincolo conformativo di cui si discute non potrebbe condurre, da solo, alla declaratoria di illegittimità del diniego di sanatoria e dell’ordine demolitorio, dovendosi comunque verificare se le opere abusive di cui trattasi rientrino o meno nell’indice di edificabilità della “zona bianca” che ne è conseguita, pure opposto dal diniego gravato.

E alla questione, su cui si incentra il secondo e ultimo motivo di appello, va data risposta negativa.

Gli appellanti sostengono di poter raggiungere l’indice di fabbricabilità previsto per le “zone bianche” [0,03 mc/mq, in analogia a quello delle zone agrarie: art. 4, ultimo comma, l. 10/1977; ora, art. 9, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001], avvalendosi di un trasferimento di volume rinveniente da una zona territoriale omogenea (agricola), ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. c) del d.-l. 70/2011, che ha tipizzato il relativo istituto, poi richiamato e regolato dalla l.r. Sicilia 16/2016 e in particolare dall’art. 22, che stabilisce che “Ai fini della cessione dei diritti edificatori, di cubatura e di trasferimento di volumetrie, si applica quanto previsto dall’articolo 5 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito con modificazioni dall’articolo 1 della legge 12 luglio 2011, n. 106, per la delocalizzazione delle volumetrie in aree e zone diverse ma comunque compatibili per destinazione urbanistica e tipologia edilizia”.

Si tratta della c.d. “cessione di cubatura” (su cui, da ultimo, C.G.A., Sez. giur., 20 settembre 2023, n. 903; Cons. Stato, IV, 31 maggio 2022, n. 4417), istituto che costituisce il frutto di una elaborazione della giurisprudenza, in specie amministrativa, che, dopo l’introduzione dei limiti inderogabili di densità edilizia (art. 17, l. 6 agosto 1967, n. 765, che ha aggiunto l’art. 41-quinquies alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), e degli standard edilizi di cui al d.m. Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, pur in mancanza di una espressa disposizione, ha riconosciuto che i diritti edificatori posseduti da un terreno, quali utilità separata, potessero essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del terreno (Cons. Stato, V, 28 giugno 1971, n. 632; 23 febbraio 1973, n. 178; 19 marzo 1991, n. 291; 26 novembre 1994, n. 1382; 1° aprile 1998, n. 400; 28 giugno 2000, n. 3637; Cass. civ., II, 29 giugno 1971, n. 4245).

Il presupposto logico del c.d. “asservimento” del fondo, c.d. “di decollo”, che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo, c.d. “di atterraggio”, che la riceve, consiste nell’interesse della pubblica amministrazione affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti (Cons. Stato, V, 22 ottobre 2007, n. 5496; IV, 4 maggio 2006, n. 2488; V, 3 marzo 2003, n. 1172; 11 aprile 1991, n. 530; IV, 19 dicembre 1987, n. 795).

La possibilità di trasferire la cubatura è sottoposta a condizioni: l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, IV, 4 maggio 2006, n. 2488; V, 30 ottobre 2003, n. 6734; 30 aprile 1994, n. 193; 4 gennaio 1993, n. 26; 19 marzo 1991, n. 291); la contiguità territoriale dei fondi (Cons. Stato, V, 10 marzo 2003, n. 1278); la possibilità che gli strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cons. Stato, n. 4417 del 2022, cit.).

La materia ha trovato disciplina di diritto positivo nell’art. 2643, primo comma, n. 2-bis, Cod. civ., introdotto dall’art. 5, comma 3, del d.-l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, il quale, a tutela dei terzi – e sebbene anche prima il trasferimento di cubatura fosse ritenuto loro opponibile, in quanto qualità obiettiva del fondo, opponibile anche al terzo acquirente: C.G.A. 19 ottobre 1989, n. 415; Cons. Stato, V, 28 giugno 2000, n. 3637; 30 marzo 1998, n. 387 – prevede che siano resi pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.

A seguito della norma, la giurisprudenza (Cass., Sez. un., 9 giugno 2021, n. 16080) ha rivalutato il “sostrato privatistico” della cessione di cubatura, “ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti” piuttosto che nell’ambito pubblicistico, costituito dai provvedimenti dell’Amministrazione che di essa danno conto.

Ai principi di cui si è fatta rassegna non fa eccezione l’art. 22 della l.r. Sicilia n. 16/2016 invocata dagli appellanti, la cui formulazione conferma il limite costituito dalla densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico nell’area e nella zona in cui viene aggiunta la cubatura.

Deve aggiungersi, quanto, più specificamente, al requisito della contiguità territoriale, che se la giurisprudenza ammette che esso non implica necessariamente che i terreni siano tra loro confinanti, nondimeno richiede che gli stessi, se non precisamente contermini, siano quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l’utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei e, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio. Ai fini in discorso, deve quindi potersi apprezzare una effettiva e significativa vicinanza dei fondi interessati dalla cessione di cubatura, e comunque la loro continuità non può predicarsi quando tra questi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione (così, Cons. Stato, II, 27 giugno 2022, n. 5305 e giurisprudenza ivi richiamata).

In definitiva, la sentenza impugnata va confermata, mentre l’appello deve essere respinto.