Sull’annullamento del permesso di costruire di Fabio Cusano

TAR_AN_265_2023

 

Con la sentenza n. 265 del 22 aprile 2023, il TAR Marche (sez. I) ha ribadito che ai fini dell’annullamento del permesso di costruire in autotutela, per potersi parlare di falsa rappresentazione dello stato dei luoghi (che, ai sensi del comma 2-bis dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, consente l’annullamento oltre il termine di dodici mesi), è necessario che la falsità non sia evincibile dal progetto presentato al Comune ai fini del rilascio del titolo. In caso contrario si deve parlare di “un concorso di colpa” del Comune, concorso di colpa che però assorbe anche la colpa del privato, visto che il titolo viene rilasciato dall’amministrazione dopo aver verificato la sussistenza di tutti i presupposti di legge.

Con il ricorso introduttivo i coniugi proprietari di un appartamento impugnano:

– il provvedimento con cui il Comune di Montemarciano ha stabilito di annullare, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, il permesso di costruire e la successiva variante al medesimo.

Con l’atto di motivi aggiunti i ricorrenti impugnano invece l’ordinanza di demolizione adottata dal Comune in conseguenza dell’annullamento dei suddetti titoli edilizi.

Ad avviso del TAR Ancona, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti vanno accolti, anche se non tutte le censure risultano fondate.

Nel caso odierno esistono due differenti profili rispetto ai quali l’intervento edilizio assentito dal Comune risultava non autorizzabile nei termini di cui al p.d.c.

Il primo profilo riguardava le lievi differenze di superficie e volume riscontrate dalla Polizia Locale nel corso del primo sopralluogo e a tale problematica i ricorrenti hanno posto rimedio con la SCIA in variante.

Il secondo profilo di difformità, molto più grave, risiedeva invece nell’erroneità dei calcoli che il progettista di fiducia dei ricorrenti aveva posto a base del progetto presentato al Comune inizialmente e in parte qua non completamente “sanato” con la SCIA.

Come si può vedere, dunque, il progetto inizialmente presentato al Comune e in seguito ridimensionato leggermente con la SCIA in variante si fondava su dati errati non in quanto riferiti a difformità dell’esistente rispetto all’autorizzato (profilo che è stato sanato con la SCIA), ma in quanto difformi già in partenza dall’autorizzato. E questo rileva ai sensi e per gli effetti dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del T.U. n. 380/2001.

Rispetto a tale rilevante profilo a nulla valgono i richiami operati dai ricorrenti a principi ed istituti del T.U. n. 380/2001 che sono estranei alla questione qui controversa.

Nella specie, infatti, non viene in primo luogo in rilievo l’art. 34-bis del D.P.R. n. 380/2001, norma che si applica solo alle c.d. tolleranze di cantiere, ossia alle eventuali eccedenze volumetriche che si registrano a lavori ultimati e non anche ai casi in cui già il progetto iniziale si basa su dati superficiari e/o volumetrici errati.

I ricorrenti, invece, non hanno richiamato nell’atto di motivi aggiunti le uniche norme astrattamente applicabili alla loro situazione, ossia i commi 2 e 2-bis dell’art. 34 del T.U. Edilizia.

E nemmeno rileva l’entità dell’abuso, visto che a tal riguardo il T.U. n. 380/2001 non contiene alcuna deroga.

Il Comune, negli scritti difensivi, ha rimarcato in vario modo la legittimità del proprio operato alla luce del disposto dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, della L. n. 241/1990, evidenziando che il termine massimo previsto per l’esercizio dell’autotutela non opera laddove il titolo sia stato rilasciato sulla base di una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi. Ora, anche a prescindere dal fatto che il comma 2-bis non viene espressamente richiamato nel provvedimento impugnato con il mezzo introduttivo, è da osservare che la pur puntuale disamina della normativa di riferimento operata dall’amministrazione (e condivisa anche dai controinteressati) non tiene conto adeguatamente di due profili, entrambi dirimenti.

In primo luogo, rileva il fatto che, per potersi parlare nella specie di falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, sarebbe stato necessario che la falsità non fosse evincibile dal progetto presentato al Comune ai fini del rilascio del titolo. In caso contrario si deve parlare quantomeno, per usare un linguaggio penalistico, di “un concorso di colpa” del Comune, concorso di colpa che però assorbe anche la colpa del privato, visto che il titolo viene rilasciato dall’amministrazione dopo aver verificato la sussistenza di tutti i presupposti di legge.

Nella specie, poi, più che di falsa rappresentazione si deve parlare di “falsa interpretazione” del progettista, il quale, come è emerso in corso di causa, ha ritenuto di poter desumere le misure dell’edificio originariamente assentito dal Comune nel 1982 secondo un proprio metodo ricostruttivo fondato anche sull’applicazione di norme civilistiche (ed in particolare dell’art. 880 c.c.) ed ha inoltre ritenuto che una tettoia a suo tempo realizzata dai precedenti proprietari fosse inclusa nella sanatoria del 1995.

In casi del genere, e salvo che non sia provata dal Comune la mala fede del proprietario e/o del progettista, si discute dunque di una diversa interpretazione delle norme urbanistiche ed edilizie (ad esempio, come si calcola l’altezza di un edificio costruito su un terreno in pendenza; come si dimostra la consistenza originaria di un edificio diruto; etc.), e non certo di “falsità” della rappresentazione dello stato dei luoghi.

Comunque sia, la correttezza delle suddette conclusioni discende anche dall’art. 9-bis del T.U. n. 380/2001. Come si può agevolmente comprendere dalla sua piana lettura, l’art. 9-bis al primo comma onera il Comune di acquisire d’ufficio tutti i documenti necessari per l’istruttoria della pratica di rilascio del permesso di costruire che siano in possesso di altre amministrazioni pubbliche (per cui l’onere è vieppiù cogente con riguardo ai documenti detenuti dallo stesso Comune), mentre al comma 1-bis stabilisce che lo stato legittimo di un immobile è quello che risulta dai titoli abilitativi in forza dei quali esso è stato realizzato e poi eventualmente modificato mediante ristrutturazione, ampliamento, etc.

Ora, leggendo contestualmente i due commi dell’art. 9-bis in relazione alla vicenda per cui è giudizio, è abbastanza facile concludere nel senso che dalla mera visione delle planimetrie della originaria lottizzazione era agevole per il Comune avvedersi dell’errata interpretazione in cui era incorso il progettista di fiducia dei ricorrenti.

Nella specie, fra l’altro, si parla di un esubero volumetrico davvero esiguo, la cui eliminazione era tecnicamente possibile senza snaturare il progetto e/o rendere praticamente inutile l’ampliamento consentito dal Piano casa.

Da ciò consegue che non era applicabile nella specie il disposto del comma 2-bis dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 (visto che i ricorrenti hanno maturato il legittimo affidamento circa la correttezza dei calcoli eseguiti dal loro progettista, essendo stati tali calcoli validati dal Comune), per cui il provvedimento di autotutela – illegittimo in quanto adottato dopo il decorso del termine di 12 mesi dal rilascio del titolo – va annullato. Da ciò discende l’illegittimità derivata dell’ordinanza di rimessione in pristino stato dell’immobile, la quale anche va annullata.

In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti sono stati accolti.