Sulla SCIA dell’incertezza: la discutibile sentenza della Consulta in materia di tutela del terzo – di Enrica Pitino

Con sentenza n. 45 del 2019, la Corte Costituzionale si è pronunciata in materia di Scia e tutela del terzo controinteressato. A parer della Consulta, i termini di sollecitazione del terzo leso da una Scia illegittima, nonché i relativi poteri invocabili dinnanzi al giudice, corrisponderebbero a quelli previsti per l’amministrazione ai sensi dell’art. 19 della l. n. 241/1990. Ed infatti, secondo la Corte, “Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono […] quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies)”. In particolare, con ordinanza dell’11 maggio 2017, n. 667 il Tar Toscana sollevava questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 19 comma 6-terl. n. 241/90, “nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA”.Oggetto della presunta illegittimità costituzionale, dunque, il comma 6-terdell’art. 19 l. 241/1990, secondo il quale, non costituendo la Scia un provvedimento tacito direttamente impugnabile, i soggetti controinteressati “possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.

 

1. Brevi cenni sul comma 6-ter art. 19 l. n. 241/1990.

Il comma 6-ter, su cui si discute, è stato introdotto all’art. 19 l. n. 241/1990 per mezzo del d. l. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, al fine di sopperire all’annosa questione relativa alla natura giuridica della Scia e ai conseguenti rimedi giurisdizionali attribuibili al terzo controinteressato. Ed infatti, per lungo tempo, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla configurabilità della Scia quale provvedimento amministrativo, in quanto strumento di semplificazione dei procedimenti autorizzatori, o come atto del privato, frutto degli intenti di liberalizzazione delle attività economiche.

A dirimere la suddetta questione, l’intervento dell’Adunanza Plenaria che, con la nota sentenza n. 15 del 2011, ha statuito l’accoglimento della configurazione giuridica di matrice privatistica. Ed infatti, secondo la ricostruzione della Plenaria, all’inutile decorso del termine di 60 o 30 giorni, non conseguirebbe il prodursi di un provvedimento amministrativo tacito, bensì “un silenzio significativo di una scelta a contenuto negativo, ossia un provvedimento di diniego per silentium, a mezzo del quale l’Amministrazione riscontra che l’intervento oggetto di Dia è assistito dai presupposti di legge e che non richiede l’esercizio di poteri interdittivi”. La Scia, dunque, assumerebbe le connotazioni di un provvedimento di diniego all’esercizio del potere di controllo da parte dell’amministrazione: l’eventuale terzo che si assume leso dalla Dia/Scia avrebbe, di converso, la possibilità di impugnare il silenzio significativo “con l’ordinaria azione di annullamento”(azione avverso il silenzio).

Durante lo stesso anno e in sommaria continuità con quanto espresso dalla Plenaria, il d.l. n. 138/2011, introducendo in comma 6-ter in commento, ha confermato la natura privatistica della Scia. Tuttavia, il legislatore si è discostato dalla ricostruzione delle tecniche di tutela operata dai Giudici di Palazzo Spada, in quanto, anziché configurare l’inerzia dell’amministrazione quale “silenzio significativo”, l’ha delineata in termini di silenzio inadempimento successivo. Tra l’altro, secondo l’attuale impostazione del comma 6-ter, il terzo sarebbe sprovvisto di tutela diretta alcuna, in quanto non potrebbe impugnare la Scia ex se: esso avrebbe l’onere di sollecitare l’amministrazione a esercitare il proprio potere di controllo e, eventualmente, impugnare il silenzio serbato da quest’ultima.

 

2. L’ordinanza di rimessione e la questione di costituzionalità.

Nell’ordinanza di rimessione, il Tar Toscana individua la presenza di tre differenti termini nel procedimento di cui all’art. 19 l. n. 241/1990. In primo luogo, il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza di sollecitazione,decorso il quale si formerebbe il silenzio-inadempimento che, sebbene non espressamente menzionato al comma 6-ter, il Collegio ricollega all’art. 2 l. 241/1990: salvo diversa previsione normativa espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte si concludono allo scadere di 30 giorni decorrenti dal ricevimento della domanda dall’autorità competente. Inoltre, il Tar Toscana individua “Il termine entro il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio mantenuto dall’amministrazione sulla sua richiesta di provvedere”, confermando che il controinteressato possa impugnare il medesimo fintanto che perduri l’inadempimento e, comunque, entro un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento ex art. 31 c.p.a.

Quanto al “termine entro il quale il terzo deve sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione, presentando la relativa istanza”, il Collegio evidenzia la reiterata contraddittorietà della giurisprudenza amministrativa, riportando i principali orientamenti sul punto.

In primo luogo, secondo un orientamento minoritario, vi sarebbe una coincidenza tra il termine concesso al soggetto leso per presentare la sollecitazione e quello assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio e conformativo: il terzo avrebbe l’onere di sollecitare i poteri dell’amministrazione entro i 60 o 30 giorni fissati dall’art. 19 l. 241/1990 [1]. Nell’ordinanza di rimessione del Tar Toscana, questa tesi viene qualificata come manifestamente illogica, in quanto lascerebbe privo di protezione il controinteressato che apprende la lesività dell’attività a termini già scaduti.

Un secondo filone, al contrario, si orienta nel senso di accordate al terzo una tutela notevolmente rafforzata, ritenendo che, nel silenzio della legge, il soggetto terzo titolare di un interesse qualificato e differenziato potrebbe intervenire in ogni momento, ossia senza alcun limite di tempo. Sul punto, il Tar Piemonte si era già espresso nel senso che il legislatore “non ha fissato al terzo alcun termine per esercitare la facoltà di sollecitare le Amministrazioni a procedere alle ‘verifiche’ loro spettanti, ed è quindi necessario indagare se questa assenza di termini abbia un significato particolare, essendo stata voluta dal legislatore. Ebbene: ad avviso del Collegio una simile previsione, che sarebbe stata così essenziale per la tutela del privato, non può che leggersi, in applicazione del noto canone di interpretazione ‘ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit’, nel senso che il legislatore non ha inteso limitare nel tempo questa facoltà riconosciuta al terzo, evidentemente titolare di una posizione soggettiva qualificata tale da consentirgli di esperire l’azione ex art. 31 c.p.a.”[1]. Ad avvalorare tale tesi, prosegue il Collegio toscano, sarebbe la stessa ratio dell’istituto, la quale mira ad incentivare l’autoresponsabilità del soggetto segnalante.

A stemperare il suddetto orientamento, una pronuncia del Tar Lombardia che, nel tentativo di proteggere la stabilità dei titoli privati e di rafforzare la ratio di liberalizzazione, ritiene inammissibile la proponibilità dell’istanza sine die [2]. Secondo tale impostazione, il termine potrebbe essere ricavato, in via analogica, da quello previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi ex art. 29 c.p.a.: 60 giorni decorrenti dal momento della conoscenza della lesività dall’attività intrapresa a mezzo di Scia. Alla decorrenza del termine ordinario, il terzo manterrebbe comunque il potere di diffida nei confronti dell’amministrazione all’adozione di atti di autotutela.

Un ulteriore filone giurisprudenziale richiama invece il termine annuale previsto dall’art. 32, comma 2, c.p.a., prospettando quindi che il terzo debba sollecitare l’amministrazione entro un anno dal deposito della Scia all’autorità competente. Il Giudice rimettente, tuttavia, ritiene che detta impostazione sia “ortopedica”, atteso che il termine richiamato non sarebbe concesso al terzo per sollecitare un intervento dell’amministrazione, bensì per la successiva proposizione dell’azione avverso il silenzio eventualmente formatosi sulla medesima istanza.

La suddetta tesi è stata recepita dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale tuttavia individua la decorrenza del termine annuale nella data di acquisita “piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica” [3]. A tale ricostruzione, il Collegio toscano contesta che viene ad essere contraddetta la natura propria del ricorso disciplinato all’art. 31 c.p.a, poiché esso presuppone l’avvenuta presentazione di un’istanza di avvio del procedimento amministrativo e la successiva eventuale formazione del silenzio-inadempimento.

Pertanto, il Tar Toscana conclude nel senso che non solo il comma 6-ter non prevede espressamente un termine entro cui presentare istanza di sollecitazione, ma quest’ultimo non sarebbe nemmeno ricavabile da una lettura del sistema normativo nel suo complesso. In guisa di ciò, in accoglimento del secondo orientamento prospettato, da una parte, l’impostazione normativa del comma in esame permetterebbe al terzo controinteressato di presentare istanza sollecitatoria sine die, dall’altra, il potere stimolato dal controinteressato non sembrerebbe essere limitato a quello discrezionale di autotutela, ma si estenderebbe a quello di tipo inibitorio, a carattere doveroso e vincolato. Pertanto, visto l’“evidente contrasto con l’esigenza di tutelare l’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa”, con ordinanza dell’11 maggio 2017, n. 667, il Collegio sollevava questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 19 comma 6-ter l. n. 241/90, “nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA”.

In merito a ciò, con sentenza n. 45 del 2019, la Corte Costituzionale si è espressa nel senso che “Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies)”. Di conseguenza, i termini di sollecitazione del terzo leso da una Scia illegittima, nonché i relativi poteri invocabili dinnanzi al giudice, corrisponderebbero a quelli previsti per l’amministrazione ai sensi dell’art. 19 della l. n. 241/1990: il potere conformativo e il potere inibitorio, da esercitarsi nei termini di 60 giorni (30 in materia edilizia) dalla data di presentazione della segnalazione, nonché, scaduti i medesimi, del successivo potere di autotutela (atecnica), da esercitarsi entro un termine ragionevole non superiore a 18 mesi. Tale interpretazione, a detta della Consulta, rappresenta la conseguenza della scelta operata dal legislatore con il d.l. n. 138/2011, il quale ha inteso liberalizzare, sull’onda della Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein), le attività oggetto di Scia. Dunque, la necessaria delimitazione temporale della fase amministrativa.

 

3. Criticità dell’interpretazione prospettata dalla Consulta.

Pur non contestando l’autorevolezza della Corte Costituzionale, la soluzione interpretativa proposta dalla medesima nei confronti del comma 6-ter si presta a non irrilevanti critiche. Ed infatti, in disparte i casi di dichiarazioni false e mendaci, tale ricostruzione avrebbe l’effetto di impedire ai terzi lesi da una Scia edilizia illegittima di ottenere una tutela satisfattiva quando i termini di cui all’art. 19 siano già spirati per l’amministrazione.

Nello specifico, decorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della segnalazione, il terzo potrebbe sollecitare il solo potere di autotutela dell’amministrazione, che è discrezionale nonché esercitabile in presenza di un interesse pubblico. Tra l’altro, qualora il controinteressato dovesse impugnare l’eventuale silenzio-inadempimento dell’amministrazione con l’azione di cui all’art. 31 c.p.a., il giudice adito non avrebbe la possibilità di accertare la fondatezza dedotta in giudizio e condannare l’amministrazione all’adozione di un provvedimento conformativo o inibitorio, pur in presenza di una Scia illegittima. Infatti, sarebbe precluso al Tar di predeterminare il contenuto del futuro provvedimento, con la conseguenza che quest’ultimo rimarrebbe comunque sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione. In tale contesto, si rappresenta che l’inefficacia dello strumento giurisdizionale in commento, incapace di accordare una tutela effettiva al soggetto leso, è stata altresì riscontrata dal Tar Parma che, con ordinanza 22 gennaio 2019, n. 12 ha sollevato nuovamente la questione di costituzionalità del comma 6-ter “nella misura in cui impedisce ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di ottenere dal Giudice amministrativo una pronuncia di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, con conseguente condanna o comunque effetto conformativo all’adozione dei corrispondenti provvedimenti, anche nel caso in cui sia decorso il termine concesso all’amministrazione per azionare il potere inibitorio di cui al comma 3 dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990”. A destare ulteriori perplessità, la preclusione di qualsivoglia forma di tutela del terzo nel caso in cui il medesimo venga a conoscenza degli abusi edilizi solo quando sia già spirato per l’amministrazione il termine di diciotto mesi entro cui agire in autotutela. Dunque, nel caso in cui non sia possibile per il controinteressato accorgersi tempestivamente dell’abuso e attivare il meccanismo per cui si discute, non solo il medesimo verrebbe totalmente pretermesso, a monte, dall’iter amministrativo avviato dal segnalante, ma non disporrebbe nemmeno di alcuno strumento postumo di tutela giurisdizionale.

Tra l’altro, le sopraesposte ipotesi sarebbero assai frequenti nella prassi, in quanto il procedimento di cui all’art. 19 non disciplina forma di comunicazione, di notificazione o di partecipazione alcuna, con il concreto rischio che, per ragioni a lui non imputabili, il controinteressato non si accorga tempestivamente dell’illegittimità dei lavori eseguiti dal segnalante, rimanendo sprovvisto di tutela. D’altronde, la suddetta patologia del sistema è stata altresì indirettamente richiamata dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento, laddove “non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere”.

Sebbene non si contestino gli intenti di liberalizzazione della Scia, alla luce di quanto riscontrato in narrativa e vista l’attuale impostazione dell’art. 19, l’interpretazione della Corte Costituzionale in merito al comma 6-ter non convince. Ed infatti, il presunto eccessivo pregiudizio arrecato al segnalante – posto a fondamento della questione di costituzionalità – si è trasformato nell’acclarata precarietà della tutela del terzo controinteressato.

Insomma, una SCIA sulla scia dell’incertezza.

        Enrica Pitino            

[1]Tar Torino, (Piemonte), sez. II, 01 luglio 2015, n. 1114; così Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 30.11.2016, n. 2274; id., 15.4.2016, n. 735; id., 21.1.2014, n. 2799; Tar Campania, Napoli, Sez. III, 5.3.2015, n. 1410; Tar Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039.

[2]Tar Lombardia Milano, Sez. II, 15 aprile 2016, n. 735.

[3]Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610.

Corte Costituzionale n. 45/2019