Sulla proroga del permesso di costruire di Fabio Cusano

 

Cons St 2757 2023

Con la sentenza n. 2757 del 16 marzo 2023, il Consiglio di Stato ha ribadito che ai sensi dell’art. 15, commi 2 e 2-bis, D.P.R. 380/2001 la proroga del permesso di costruire deve essere richiesta prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori. A differenza della proroga, che opera uno spostamento in avanti del termine finale di efficacia del permesso, il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, in tal modo presupponendo la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo.

L’oggetto del giudizio è rappresentato dal provvedimento comunale di annullamento della proroga della concessione edilizia. L’istante ha proposto ricorso dinanzi al TAR Latina, il quale ha respinto il ricorso.

L’originaria ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario.

Il Consiglio ha rilevato, in primo luogo, che l’atto impugnato, con cui è stato disposto l’annullamento dell’atto di proroga della concessione edilizia, deve essere qualificato – tenuto conto del contenuto del potere in concreto esercitato dal Comune – come decadenza del titolo edilizio, ai sensi dell’art. 15 TU Edilizia, nonché quale esercizio del potere di autotutela sulla pregressa concessione della proroga dei termini.

In punto di diritto, il Consiglio ha rilevato l’infondatezza del motivo incentrato sulla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, alla luce dei principi dettati in materia della recente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3385 del 2021; Cons. giust. amm. reg. sicil., n. 116 del 2022), secondo cui:

  1. a) “nei procedimenti amministrativi la partecipazione è funzionale ad una più compiuta istruttoria e alla migliore rappresentazione degli interessi privati destinati ad essere incisi, ma non si spinge sino a identificarsi con il contraddittorio, tipico del processo, in cui ogni valutazione è sottoposta all’altra parte perché la stessa possa replicare nell’esercizio del proprio diritto di difesa in vista della decisione del giudicante” (Cons. Stato, sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177);
  2. b) “del difetto di partecipazione può segnatamente discorrersi quando l’amministrazione da avvio ad un procedimento, per un motivo, e lo concluda per un motivo diverso in assenza di garanzie procedimentali integrative, non già quando essa, in relazione al preannunciato motivo, e sulla base di un’istruttoria trasparente, addivenga alle proprie conclusioni senza avere previamente sentito l’opinione del partecipante” (Cons. St., sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177);
  3. c) “le norme in materia di partecipazione procedimentale, non devono essere lette in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione” (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081);
  4. d) del resto l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato”, “attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, mira a garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato” (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081).

Nella fattispecie risulta evidente come l’impugnato provvedimento di annullamento d’ufficio abbia rappresentato per l’amministrazione un atto vincolato, così come nessun apporto concreto sia stato provato in sede processuale dal privato ricorrente.

L’applicazione al caso di specie del richiamato art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 rende pertanto irrilevante, ai fini della valutazione di legittimità dell’atto impugnato, il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento.

In ordine ai caratteri del provvedimento di decadenza, il Consiglio ha rilevato, sulla base dei principi ritraibili dai precedenti del Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 7373 del 2021; id., n. 4648 del 2021; id., sez. IV, n. 2078 del 2020; id., sez. II, n. 2206 del 2020), che:

  1. a) in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, è sempre richiesto che l’amministrazione si pronunci con provvedimenti espressi, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge, sicché risulta necessaria l’adozione di un formale provvedimento in relazione all’esercizio del potere attribuito dall’art. 15 TU Edilizia;
  2. b) alla luce del tenore testuale delle norme sancite dall’art. 15, commi 2 e 2-bis, del TU Edilizia, non può dirsi irrilevante la tardività della istanza di proroga, essendo necessario che essa venga richiesta prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori;
  3. c) invero, risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi; la presentazione della richiesta di proroga è infatti funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria;
  4. d) diversamente dalla proroga dei termini – intesa quale provvedimento di secondo grado che modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, accedendo all’originaria concessione ed operando uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia – il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, in tal modo presupponendo la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo.

Alla luce di tali coordinate, deve quindi ritenersi infondata la tesi di parte ricorrente secondo cui al momento della richiesta di proroga non si sarebbe potuta ritenere già decaduta la concessione, considerato che, a tal fine, la presentazione di tale istanza avveniva in un momento di gran lunga successivo alla scadenza del termine per l’avvio dei lavori.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.