Non è necessario il perfezionamento della Scia per la formazione del silenzio-assenso di Fabio Cusano

Cons St 2661 2023

Con la sentenza n. 2661 del 14 marzo 2023, il Consiglio di Stato ha ribadito che, affinché il potere di intervento tardivo sulla DIA possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21 nonies, L. 241/1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

A tal fine risulta irrilevante la presunta non completezza e non veridicità della DIA, si tratta infatti di elementi non idonei ad escludere l’obbligo sopra indicato ove si consideri che il dispositivo tecnico denominato silenzio-assenso risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento.

Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo, con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge.

Gli appellanti sono proprietari di un terreno, ove è collocato un fabbricato interrato, adibito in passato ad uso deposito di materiali e stivaggio di prodotti agricoli. I medesimi avevano ottenuto il permesso di costruire per la realizzazione di opere di risanamento conservativo; dopo la concessione del titolo il Comune aveva eseguito un sopralluogo, accertando l’intervenuta demolizione e ricostruzione del fabbricato ed ordinando la sospensione dei lavori. Gli appellanti avevano depositato una DIA in variante rispetto al titolo, finalizzata alla demolizione e alla ricostruzione della muratura perimetrale, alla realizzazione di una rampa di accesso e al cambio di destinazione d’uso dell’immobile da deposito ad autorimessa. A seguito di ulteriore sopralluogo l’Amministrazione aveva riscontrato l’avvenuta esecuzione di parte delle opere, ordinando la sospensione dei lavori anche al fine di operare una compiuta verifica della conformità urbanistica ed edilizia delle opere. L’Amministrazione aveva richiesto, inoltre, delle integrazioni documentali e, successivamente, aveva comunicato il diniego al rilascio del titolo.

Gli odierni appellanti hanno proposto ricorso dinanzi al TAR Milano deducendo:

  1. i) la violazione della previsione di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 per avere il Comune atteso quasi 10 mesi dall’ultimo adempimento documentale prima di comunicare il provvedimento di diniego;
  2. ii) la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;

iii) la violazione di legge o comunque il difetto dei presupposti a fondamento del provvedimento, in quanto l’eventuale contrarietà dell’intervento agli strumenti urbanistici, stante il lungo decorso del tempo, non si sarebbe potuta manifestare con una comunicazione di diniego ma, al limite, attraverso un provvedimento di annullamento in autotutela, munito di peculiare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla base della decisione;

  1. iv) la conformità dell’intervento edilizio allo strumento urbanistico.

Successivamente gli odierni appellanti hanno proposto ricorso per motivi aggiunti avverso l’ordinanza con la quale si era ingiunta la demolizione delle opere. Il TAR Milano ha respinto il ricorso, osservando che:

  1. i) l’istanza non poteva qualificarsi come DIA in variante al permesso di costruire in quanto, trattandosi di variazioni essenziali, si sarebbe dovuto applicare il regime giuridico previsto per un nuovo titolo e, pertanto, “necessariamente” tale istanza doveva presentarsi “prima della realizzazione dei lavori oggetto delle stesse, data l’incisività delle opere da eseguire”;
  2. ii) le opere di demolizione e ricostruzione realizzate rientravano nel novero delle c.d. “varianti essenziali”, e, inoltre, l’istanza era inoltrata dopo l’esecuzione di parte delle opere;

iii) in sostanza, i ricorrenti prima avevano realizzato opere di demolizione e ricostruzione senza un valido titolo a supporto e poi avevano presentato una DIA “in variante” all’originario permesso di costruire, attinente, in realtà, ad opere già eseguite e senza alcuna istanza di sanatoria per le stesse;

  1. iv) l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza non rendeva illegittimo l’operato dell’Amministrazione che aveva, comunque, rappresentato più volte i profili di criticità dell’intervento;
  2. v) in ogni caso, l’interlocuzione procedimentale non avrebbe determinato un diverso esito della decisione risultando legittime le ragioni a fondamento del diniego;
  3. vi) non poteva condividersi il motivo relativo alla tipologia di provvedimento adottato atteso che l’istanza, erroneamente qualificata come una DIA in variante al permesso di costruire e riguardante opere già eseguite (denunciate come da realizzare ex novo), non aveva dato vita ad un permesso edilizio produttivo di effetti;

vii) i lavori di demolizione e ricostruzione della muratura perimetrale (insieme all’inserimento di una rampa di accesso) non sarebbero potuti rientrare nella categoria di interventi ammissibili in relazione alle costruzioni esistenti, ossia “manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo”, così come espressamente previsto dalle NTA;

viii) la reiezione delle censure del ricorso introduttivo determinava, inoltre, la reiezione del ricorso per motivi aggiunti, sorretto da motivi di invalidità derivata;

  1. ix) in ogni caso l’ordine di demolizione non doveva essere preceduto da comunicazione di avvio del procedimento, né da sorretto da una specifica motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico alla demolizione delle opere, né, in ultimo, poteva ritenersi generico.

Contro la sentenza hanno proposto appello i ricorrenti.

Parte appellante evidenzia che la non riconducibilità dei lavori alla previsione di cui all’art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 (nel testo vigente ratione temporis) sia rilevata dal Giudice ex officio in quanto non contestata dall’Amministrazione.

Ad avviso del Consiglio, il rilievo è fondato ove si consideri che la qualificazione della variante non è aspetto che sorregge la decisione comunale, la quale si sostiene, invece, sulla ritenuta non conformità delle opere alle regole di cui alle NTA e del cambio di destinazione d’uso alle prescrizioni generali delle NTA. In sostanza, l’Amministrazione comunale non articola alcun rilievo sul tema relativo alla qualificazione della variante e alla necessità di ricorrere a un titolo diverso da una DIA ex art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, nel testo vigente ratione temporis. La statuizione del Giudice di primo grado termina, quindi, per individuare una ragione ostativa diversa e ulteriore rispetto al provvedimento comunale.

Inoltre, occorre considerare come il Giudice di primo grado ritenga insussistenti alcuni presupposti imprescindibili del titolo. Tale statuizione non soltanto integra la motivazione del provvedimento ma termina erroneamente per ritenere legittima un’azione amministrativa non tempestiva e non conforme ai canoni legali di riferimento.

Dalla disamina della documentazione in atti è emersa la tardività del diniego comunale che interviene dopo circa due anni dalla presentazione della DIA. Pur considerando le interruzioni e le sospensioni dei termini, il diniego comunale interviene, comunque, dopo oltre nove mesi dall’adempimento documentale richiesto agli appellanti senza, inoltre, evidenziare ulteriori carenze. In questa situazione l’Amministrazione avrebbe dovuto agire con le modalità e le garanzie previste dalla previsione di cui all’art. 21 nonies della L. n. 241/1990 al fine di rimuovere gli effetti di una DIA medio tempore consolidatisi proprio per l’inerzia del Comune. Tale circostanza non è meramente formale ma, al contrario, implica l’operatività delle regole di garanzia invocate dagli appellanti e l’obbligo per l’Amministrazione di calibrare la motivazione sulle ragioni di interesse pubblico alla rimozione del titolo.

Come evidenziato dal Consiglio, costituisce jus receptum il principio per cui “affinché il potere di intervento “tardivo” sulla DIA possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati” (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5018).

In ultimo non può ritenersi non necessaria l’attivazione dello specifico procedimento di cui all’art. 21 nonies L. n. 241/1990 assumendo la non completezza e non veridicità della DIA. Invero, si tratta anche in tal caso di elementi non contestati dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato e, comunque, non idonei ad escludere l’obbligo sopra indicato ove si consideri che, secondo la giurisprudenza del Consiglio, il dispositivo tecnico denominato silenzio-assenso risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo.

Con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge. Reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l’altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe in dipendenza del comportamento attivo o inerte della p.a.

Inoltre, l’impostazione di convertire i requisiti di validità della fattispecie silenziosa in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda.

L’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore – rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini, senza sottrarre l’attività al controllo dell’amministrazione – viene realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la solo possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi silenziosamente.

L’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe in contrasto con il principio di collaborazione e buona fede (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della L. n. n. 241 del 1990) (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746). Inoltre, nel caso di specie, non è neppure asseribile la sussistenza di una radicale inconfigurabilità della DIA che, anche nella tesi del Comune, contrasta con le prescrizioni urbanistiche di zona ma non è considerata priva di integrale aderenza al modello normativo astratto prefigurato dal legislatore.

In ragione di quanto esposto, il ricorso in appello è fondato.