Sulla motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica, di Paolo Urbani

Il Cons. Stato, sez. VI, 14 febbraio 2024, n. 1504, ha ribadito che in tema di determinazioni paesaggistiche, l’amministrazione è tenuta ad esternare adeguatamente l’avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall’altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto. Conseguentemente, il diniego di autorizzazione paesaggistica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, dovendo specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta (sia in relazione al vincolo che ai caratteri del manufatto), ovvero – previo l’esame delle sue caratteristiche concrete e l’analitica individuazione degli elementi di contrasto con il vincolo da tutelare – esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo mediante l’esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea a inserirsi nell’ambiente circostante.

Il Comune ha impugnato la sentenza del TAR con la quale è stato accolto il ricorso della società con il quale tale società aveva chiesto l’annullamento del provvedimento del Comune di «Diniego richiesta di autorizzazione paesaggistica per: Installazione di nuovo impianto di telefonia mobile».

Il TAR ha accolto il ricorso in quanto ha ritenuto che:

– è illegittimo il diniego comunale nella parte in cui ha assunto – quale unico criterio di limitazione all’installazione degli impianti di telefonia – la presenza di un vincolo paesaggistico sull’intero territorio (frazione del Comune), senza operare alcuna valutazione concreta sulla compatibilità dell’opera con il territorio e sulla possibilità di raggiungere diversamente la copertura di rete;

– il provvedimento comunale si sostanzia in un generalizzato divieto di installazione, che si pone in contrasto con l’orientamento di consolidata giurisprudenza, secondo la quale alle Regioni ed ai Comuni è consentito individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei;

– la normativa vigente attribuisce carattere prioritario all’esigenza di assicurare la realizzazione di infrastrutture di telefonia mobile, tanto che, ai sensi del d.lgs. n. 259 del 2003, le stesse sono considerate opere di “pubblica utilità” e “sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria” (artt. 86, comma 3, e 90, comma 1), potendo essere collocate in qualsivoglia zona del territorio comunale e a prescindere dalla sua destinazione funzionale, in modo che sia realizzato un servizio capillare;

– nel caso di specie, il diniego del Comune è inammissibilmente volto a introdurre un divieto generalizzato di installazione delle antenne in tutta l’ampia porzione di territorio comunale paesaggisticamente vincolata, e ciò solo in ragione dell’esistenza del vincolo senza che venga effettuata alcuna valutazione concreta sulla compatibilità dell’opera col territorio, né senza alcuna considerazione delle esigenze di realizzazione di un servizio capillare sul territorio e dell’esistenza (allegata dalla ricorrente) di strutture analoghe a quella oggetto di richiesta nella zona in questione e senza l’individuazione di specifici divieti localizzativi da un punto di vista regolamentare;

– l’esistenza di un vincolo paesaggistico non preclude per ciò solo l’installazione di un impianto, bensì impone una valutazione più rigorosa (che deve tradursi in una motivazione effettiva e non tautologica) degli aspetti di compatibilità paesaggistica; sotto tale profilo le censura in esame sono dunque fondate;

– la motivazione del provvedimento impugnato non soddisfa l’onere di una puntuale giustificazione dell’incompatibilità dell’opera con il contesto paesaggistico.

Avverso la decisione del TAR il Comune ha proposto appello con il quale ha sostenuto, formulando un unico motivo complessivo, l’erroneità della sentenza impugnata sotto diversi aspetti.

Nel merito l’appello è infondato.

Il Collegio osserva che da un attento esame del provvedimento impugnato, e del parere della commissione del paesaggio, si ricava l’infondatezza delle censure dedotte.

Infatti, sia il provvedimento di diniego (ed il relativo preavviso di diniego), sia i pareri della commissione del paesaggio non contengono alcuna valutazione descrittiva del progetto presentato dalla quale l’odierna parte appellante avrebbe potuto dedurre la motivazione tecnico professionale sul contenuto del progetto, rispettivamente avrebbe potuto ricavare delucidazioni sulle cause dell’impatto negativo del progetto sul contesto tutelato.

Sia la commissione del paesaggio che il Comune tacciono sulla questione se sia stata effettuata o meno una valutazione approfondita sul contenuto del progetto, ossia sulle opere ivi previste, sulla precisa collocazione proposta per l’antenna, sulle misure della stessa, soffermandosi invece su generali affermazioni in merito all’esistenza del vicolo in base al D.M. 22.7.1968 e alla descrizione del vincolo, nonché sulla generica osservazione che l’intervento non sarebbe armonizzabile con il contesto storico/ambientale e che l’intervento sarebbe intrusivo rispetto ai valori del contesto (verbale della commissione); nulla si ricava dagli atti impugnati sul contenuto del progetto esaminato e sulle concrete criticità dello stesso rilevate in relazione alla zona in cui dovrebbe essere integrato.

Pertanto, sulla base delle considerazioni svolte il Collegio non condivide l’assunto del Comune appellante secondo il quale, nel caso concreto, la motivazione del parere negativo dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico sarebbe stata sinteticamente resa con riferimento alla descrizione delle opere e alle concrete circostanze nelle quali le stesse sono collocate, in quanto, negli atti impugnati, come rilevato, manca invece ogni minima descrizione dell’opera realizzanda.

L’esistenza di un vincolo paesaggistico non sancisce in modo automatico l’incompatibilità di un qualunque intervento sul territorio con i valori oggetto di tutela, ma richiede comunque un controllo dell’amministrazione preposta alla sua tutela. Pertanto, non è sufficiente, come avvenuto nel caso concreto, la motivazione del diniego fondata su una generica incompatibilità, in quanto l’Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2021, n. 2858; 4 febbraio 2019, n. 853; 30 ottobre 2017, n. 5016), per cui viene pienamente confermata la conclusione raggiunta dal Giudice di prime cure che la motivazione del provvedimento impugnato non soddisfa l’onere di una puntuale giustificazione quanto all’incompatibilità dell’opera con il contesto paesaggistico.

In linea di diritto va ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di determinazioni paesaggistiche l’amministrazione è tenuta ad esternare adeguatamente l’avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall’altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto.

Conseguentemente, il diniego di autorizzazione paesaggistica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, dovendo specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta (sia in relazione al vincolo che ai caratteri del manufatto), ovvero – previo l’esame delle sue caratteristiche concrete e l’analitica individuazione degli elementi di contrasto con il vincolo da tutelare – esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi (che nel caso concreto, secondo le argomentazioni contenute nell’atto di appello del Comune, sembrerebbe essere soprattutto la questione dell’altezza dell’antenna realizzanda) e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo mediante l’esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea a inserirsi nell’ambiente circostante.

Per queste ragioni è priva di fondamento l’affermazione della parte appellante che “sarebbe arbitraria ogni indagine sull’idoneità dell’opera ad incidere in concreto sull’assetto paesaggistico, essendo sufficiente l’esistenza di un pregiudizio anche soltanto meramente potenziale”; il Collegio ritiene, inoltre, di poco rilievo l’affermazione del Comune che l’Amministrazione comunale avrebbe considerato le esigenze di un servizio di telecomunicazioni capillare sul proprio territorio e, in funzione delle stesse, avrebbe proposto all’operatore una collocazione alternativa dell’infrastruttura, in quanto entrambe le affermazioni non sono state meglio provate dal Comune.

Infine, il comportamento dimostrato nel caso di specie da parte del Comune – laddove nega l’autorizzazione paesaggistica unicamente in ragione dell’esistenza del vincolo su tutta l’ampia porzione di territorio comunale paesaggisticamente vincolata, senza ulteriormente assoggettare la domanda ad una valutazione più approfondita, sia con riferimento alle esigenze di realizzare sul territorio un servizio capillare, sia sull’esistenza nella zona richiesta di strutture analoghe – è stato fondatamente inquadrato come un atteggiamento inteso a introdurre un divieto generalizzato nella località ove la società intendeva collocare la struttura, per cui il Collegio non può che confermare le relative conclusioni raggiunte dal primo Giudice.

Pertanto, il Collegio non può che confermare le relative conclusioni raggiunte dal Giudice di primo grado, ossia le conclusioni in ordine al deficit motivazionale dei provvedimenti gravati.

Per quanto esposto e ritenendo assorbiti tutti gli ulteriori argomenti di doglianza non espressamente esaminati, che il Collegio ha ritenuto irrilevanti ai fini della decisione o comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso da quella assunta, dalla reiezione dei motivi di impugnazione deriva la conferma della fondatezza degli originari motivi dedotti con il ricorso di primo grado.