Sono personalmente convinto che la nuova legge lombarda non costituisca, come si sostiene ufficialmente da parte della Regione e da parte di molti altri sostenitori del "nuovo comunque sia", una legge di reale innovazione, di riforma e di necessario aggiornamento di un quadro legislativo regionale ormai invecchiato e logoro, quanto piuttosto una legge di vera e propria "controriforma", rivolta soprattutto a smantellare e vanificare quasi tutte le sane acquisizioni metodologiche di base e di parziali avanzamenti nelle prassi di pianificazione (si pensi ai piani della cosiddetta terza generazione) che faticosamente l’urbanistica aveva saputo costruire e conquistare dalla legge-ponte in poi e con la provvida introduzione nei piani della "questione ambientale" e che richiedevano di essere finalmente riportate a un quadro di legge organico. Smantellamento effettuato in nome di un rozzo liberismo antipianificatorio che considera la pianificazione urbanistica sino ad ora praticata non come una cosa da migliorare e da fare avanzare quanto come una attività del tutto negativa, eccessivamente rigida e vincolistica, tutta da negare (il legislatore ragiona come se la legge urbanistica del ’42 e la legge ponte fossero state abrogate) e da buttare e avendo invece come unico obiettivo finale quello dell’indebolimento dell’azione "pubblica" di programmazione e di difesa del territorio per favorire la massimizzazione delle possibilità di trasformazione e edificazione dei suoli affidata e promossa dalla parte privata, sottraendola il più possibile a norme, regole, limiti qualitativi e quantitativi, vincoli ambientali e ricognitivi e programmi, attraverso una gestione urbanistica di volta in volta "concertata" (ovvero contrattata), affidata in gran parte alle Giunte comunali. Convincimento che ho già avuto modo di esplicitare e argomentare in numerosi scritti, dibattiti e convegni.
Ma non è di questo che voglio occuparmi in questo articolo.
Voglio piuttosto soffermarmi solo sui tre principali articoli di legge che vorrebbero (o avrebbero dovuto) ridefinire e innovare (e se ne sentiva veramente un gran bisogno!) il nuovo strumento urbanistico comunale, definito ora dalla nuova legge come Piano di governo del territorio (art. 7).
Innovazione a mio parere del tutto mancata e fallita sia perché la legge configura uno strano e poco comprensibile strumento "trino" del quale non si capiscono bene la logica, il senso e la portata, sia perché creerà innumerevoli dubbi interpretativi, sia in sede di elaborazione applicativa del piano che in sede di gestione che, sia anche, in relazione agli altri strumenti della pianificazione territoriale (provinciale in primo luogo). Ma soprattutto perché non supera e non risolve il difetto di fondo del vecchio piano regolatore consistente nell’aver costretto e fuso, in un unico strumento, sia il momento strutturale che quello operativo (quando l’INU, già nel 1995, ne aveva indicato la principale via d’uscita e quando numerose Regioni avevano recepito questa proposta nelle loro leggi di "seconda generazione"?).
Lo smembramento in tre "atti" del nuovo piano comunale
Il punto più pericoloso e più criticabile di tutta la legge riguarda sicuramente la ridefinizione, in realtà un vero e proprio smembramento, dello strumento del piano comunale. Anche se ad una prima lettura superficiale del testo il nuovo strumento sembrerebbe ricalcare e riproporre i contenuti essenziali e classici di un piano regolatore tradizionale, non si rintraccia in esso alcuna reale innovazione (neppure nella linea del modello "sdoppiato" INU del 1995)
Non si tratta di innovazione ma di smembramento, vanificazione e intorbidamento.
Il piano viene definito ora Piano di governo del territorio (art. 7) ed è articolato in tre atti: Documento di piano (art. 8), Piano dei servizi (art. 9), Piano delle regole (art. 10). Scompare dal nuovo testo l’assai vago "Piano di assetto morfologico" presente nel disegno del 2002.
Nonostante la relazione al testo dell’Assessore regionale Moneta (2003), dica che si tratta di tre atti che: "si richiamano tra loro" e "dialogano tra loro", si tratta pur sempre di tre "parti" mal definite e tra loro separate che, volendolo, potrebbero essere addirittura rese separabili o indipendenti e delle quali non si capiscono bene ruoli, rapporti reciproci, gerarchie, funzioni proprie e logica dei tempi di adozione. L’unica cosa che la legge precisa è che ognuno di questi tre atti è sempre e in qualsiasi momento modificabile . Non si capisce se siamo di fronte ad un piano uno o trino ovvero se questi tre atti debbano essere obbligatoriamente coerenti tra di loro o se possano essere elaborati ed approvati ognuno per suo conto ed in tempi diversi e in totale incoerenza.
La prima domanda che sorge spontanea è questa: perché mai, per quale ragione, per quali presunti vantaggi il nuovo strumento viene diviso in tre parti, detti "atti", considerati, oltretutto, "sempre modificabili" ciascuno per conto suo? Non si capisce se siamo di fronte ad un piano "uno" o a un piano "trino", ovvero se questi tre atti debbano essere obbligatoriamente coerenti tra di loro o se possano essere elaborati ed approvati ognuno per suo conto ed in tempi diversi, senza alcun obbligo di coerenza. Dove va a finire la necessaria unità logica, la coerenza interna del piano? (E’ del tutto evidente che la si vuole smembrare)
Un’altra cosa non chiara riguarda la distribuzione di contenuti che la legge distribuisce tra ciascuno dei tre atti: Perché attribuire, ad esempio, al Piano delle regole il compito di definire le aree agricole quando questo compito dovrebbe essere attribuito, ben più logicamente, al Documento di piano?
Non si capisce nemmeno se il Documento di piano – che molti vorrebbero interpretare come se fosse il piano strutturale del modello INU del 1995 – costituisca un atto di riferimento obbligatorio per gli altri due atti o costituisca, almeno, un atto di maggior rilevanza. Perché allora è solo il Documento di piano e non gli altri due atti a dover essere trasmesso alla Provincia per un parere di compatibilità (art. 13) e ad essere sottoposto a Valutazione ambientale? (art. 4).
In realtà sembra di trovarsi di fronte più che a un piano "innovato" e ripensato, ad un piano volutamente "smembrato" e "disarticolato", onde renderlo sempre meno "piano" (in senso proprio) sempre più innocuo, sempre più vago, sempre più facilmente variabile a piacimento, sempre più "contrattabile" e "negoziabile".
Un’altra cosa non chiara riguarda la distribuzione di contenuti che la legge attribuisce a ciascuno dei tre atti: si tratta di contenuti che sembrano necessari ad un unico strumento come era per il vecchio PRG e che dovrebbero essere assolutamente legati e coerenti tra di loro. Perché allora spezzare in tre lo strumento?
Ma consideriamo l’articolato ancor più da vicino.
Il Documento di Piano (art. 8)
Sembrerebbe dover rappresentare, ma non se ne è certi, la parte strategica o più strategicaeffetti diretti sul regime giuridico dei suoli" (comma 3) concetto necessario ma non sufficiente per poter definire un piano strategico. del piano. Nel testo si precisa solamente che non produce "
Perché allora conferire una validità di soli 5 anni a questo strumento? Si ritiene che si possano definire serie "strategie territoriali" su un limitatissimo arco temporali di 5 anni?? Per di più mediante uno strumento "sempre modificabile"??
Ed anche il "dimensionamento" di questo atto dovrà allora essere effettuato sullo stesso arco quinquennale? Se ne è accorto il legislatore lombardo?
Anche se l’ultima versione della legge non contiene più l’esplicito divieto di praticare l’azzonamento (follia tecnica e ideologica che si voleva introdurre nella versione del luglio 2002) il complesso delle norme e delle definizioni urbanistico-territoriali mirano e consentono, attraverso la loro vaghezza e imprecisione, di estendere l’edificabilità, volendolo, quasi ovunque. Si veda, più avanti, la questione del verde agricolo
Parrebbe dunque, volendolo, poter fare restare in vita la tecnica dell’azzonamento (art.8, comma 2, sub b) e c) e la possibilità di definire "obiettivi quantitativi di sviluppo" (art. 8, comma 2, sub b). Non è però né chiaro né certo.
Rimane comunque misterioso il fatto che il nuovo piano sia costituito da uno strumento privo di "norme". Come si potrà, ad esempio, verificare la compatibilità tra un Piano di governo del territorio e un Piano provinciale dotato di norme? Come si potranno definire criteri, regole, orientamenti se non ricorrendo ad una forma scritta?
Altri interrogativi e considerazioni puntuali sull’art. 8
– Questo atto definisce la parte strategico-strutturale del nuovo piano? Non sembra proprio. Anche se in molti lo interpretano così.
– Neppure dal nome (Documento di piano) sembrerebbe un piano strategico..
– L’unica somiglianza che ha col piano strutturale dell’INU è che il piano non configura la proprietà. Per il resto non si capisce. Non se ne capiscono i contenuti.
– Dove vengono definiti dall’articolato i contenuti strategici del Documento di piano?
Non certo al punto a) dove ci si affretta subito a dire (inizio sublime!) che il documento può proporre modifiche o integrazioni ai piani provinciale e regionale.
Non certo, ma non è ben chiaro, al punto b) dove sembrerebbe di poter capire che al piano si chiede di elencare? identificare? azzonare? tutte le emergenze del territorio che vincolano la trasformabilità del suolo e del sottosuolo. Forse qui si potrebbero aprire sani spiragli per ben operare. Anche se a questo proposito non si capisce perché mai debba essere il "Piano delle regole" (art. 10, comma 1) a definire:
1) le aree destinate all’agricoltura;
2) le aree di valore paesaggistico-ambientale ed ecologiche;
3) le aree non soggette a trasformazione urbanistica.
Esiste una contraddizione da non poco tra queste due formulazioni dell’art. 8 e dell’art. 10..
– Non certo al comma 2, punto a), dove, tautologicamente, si dice che dovrebbero essere individuati gli obiettivi che abbiano valore strategico e che siano ambientalmentesostenibili. Quando si dice tutto non si dice niente.
– Se fosse uno strumento strategico perché allora la definizione delle aree agricole – tipica ed essenziale scelta di un piano strategico – è demandata al Piano delle Regole dell’art. 10? Così come gli altri due punti dell’art. 10, comma 1? Come lo si spiega? Che senso ha?
– Come fa il Documento a determinare gli obiettivi quantitativi di sviluppo complessivo del PGT? Questo costituisce uno dei punti più misteriosi dell’articolato. Sembrerebbe di poter capire che questi obiettivi quantitativi divengano, debbano diventare, quindi, vincolanti anche per gli altri due atti che fanno parte del PGT.
– E’ un piano azzonabile? Deve essere azzonato? Forse che sì, forse che no. Le sue scelte debbono essere azzonate? Non si capisce chiaramente. Anche se si afferma che il Documento dovrebbe (comma 2, sub b) e c) dovrebbe determinare (in che modo?, in astratto, descrivendole con una semplice relazione o localizzandole con precisione sul territorio?) le politiche di intervento per la residenza, per l’edilizia residenziale pubblica (eventuale), per le attività produttive primarie (?) secodarie e terziarie, distribuzione commerciale, scelte di rilevanza sovracomunale.
– Cosa significa rappresentazioni grafiche in scala adeguata? (comma 2, punto c) E’ sufficiente questa dizione? Non è troppo vaga? Non sarebbe meglio precisarla anche in relazione agli elaborati della pianificazione provinciale? (Peraltro non precisati).
– Cosa significa determina le modalità di recepimento della pianificazione sovracomunale? Le recepisce obbligatoriamente, come sarebbe logico, o può tergiversare sul modo del recepimento? O inventarselo?
– Sembra proprio che si voglia attribuire al Documento di piano solo il valore di una (indimostrata, indimostrabile e non quantificata) narrazione letteraria di vaghi indirizzi più o meno incredibili e di "balle spaziali" (come nel caso del Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche del Comune di Milano del gennaio 2000).
Piano dei servizi (art. 9)
Mentre il Piano dei servizi definito dall’art. 7 della l.r. 1/2001 non era altro che un "allegato" alla Relazione del piano regolatore (cosa assai logica) il Piano dei servizi diventa ora un atto, del tutto autonomo, senza termini di validità ma "sempre modificabile", del Piano di governo del territorio.
Come già detto non è chiara la relazione tra Piano dei servizi e Documento di piano: come si potrà infatti elaborare un Piano dei servizi in assenza di un Documento di piano precedentemente elaborato? Senza cioè conoscere, ad esempio, le previsioni relative alla popolazione da insediare che deve essere prevista, logicamente, dal Documento di piano (art. 8, comma 2, sub b)? Come si può elaborare un Piano dei servizi indipendentemente dal "dimensionamento" del piano? (Il tema del "dimensionamento" del piano sembra totalmente ignorato; non si sa se per ignoranza tecnica o per volontà).
Se i due strumenti sono dunque, nella sostanza, indissolubilmente legati, perché tenere separati i due atti? Perché uno dura 5 anni e l’altro non ha termini di validità?
E’ facile prevedere che il Piano dei servizi tenderà a configurarsi nella pratica come uno strumento di "alta mistificazione urbanistica" e di "pretesto" per una ulteriore espansione di aree urbanizzabili: i Comuni, sempre alla disperata ricerca di "oneri di urbanizzazione" e di interventi privati, saranno indotti, dal nuovo permissivismo urbanistico, a proporre sempre più facilmente aree edificabili (a spese di aree libere o agricole) nella speranza e con la giustificazione di ottenere, in cambio, servizi.
Altri interrogativi e considerazioni puntuali sull’art. 9
– Le aree per l’edilizia residenziale pubblica sono standard? E quando mai?
– I corridoi ecologici costituiscono servizi? Costituiscono standard? Non è una definizione da poco, occorre rendersene conto, anche perché si tratta spesso di aree di rilevanti dimensioni.
– Che relazione c’è, che coerenza c’è, tra il calcolo degli utenti di cui al comma 2 e il calcolo degli obiettivi quantitativi di sviluppo di cui al comma 2, sub b) e c) dell’art. 8? Eppure una coerenza dovrebbe esserci! Non può non esserci! Ma come si fa a renderli coerenti se il Documento di piano deve essere dimensionato per 5 anni e il Piano dei servizi non ha termini di validità?? Si è reso conto di questa contraddizione l’estensore di questi due articoli?
– A quali voci, categorie di servizi si riferiscono i riemersi 18 mq/ab del comma 3?
– Chi individua i poli attrattori visto che questo obbligo non risulta tra i contenuti obbligatori del PTCP?
Il Piano delle regole (art. 10)
Anche se le sue indicazioni hanno carattere vincolante ed effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, questo atto non può essere certamente confuso con un piano "operativo" secondo il modello INU, anche perché, oltre a non averne i contenuti, non ha termini di validità. Anch’esso "è sempre modificabile".
Rimane sempre una evidente sovrapposizione o confusione di contenuti con il Documento di piano.
Altri interrogativi e considerazioni puntuali sull’art. 10
– Se il "Piano delle regole" deve riferirsi (comma 1) solo agli ambiti del tessuto urbanoconsolidato, perché mai deve essere lui, e non il "Documento di piano" a definire
1) le aree destinate all’agricoltura;
2) le aree di valore paesaggistico-ambientale ed ecologiche;
3) le aree non soggette a trasformazione urbanistica.??
– Con la contraddizione però che le indicazioni del "Documento di piano" non sono vincolanti e quelle del "Piano delle regole" sì.
– I parametri del comma 3 sono utilizzabili anche per poter applicare, quantificare, quanto voluto dall’art. 8 al comma 2 sub b) e c)? C’è, o non c’è una relazione tra loro?
Norme
Possono esistere ancora, a livello comunale, le Norme tecniche di attuazione o una qualsiasi altra forma di "norme" attuative?
Non ne esiste più traccia e neppure sembrano più esistere per il Piano Territoriale Provinciale (art. 15).c
Ma è possibile concepire uno strumento urbanistico privo di un testo normativo?
Gli standard
Con l’abrogazione totale della legge 1/2001 (proposta dall’art. 104) gli standard urbanistici scompaiono definitivamente, sia come definizione e articolazione che come quantità minima obbligatoria. Non sopravvivono dunque nemmeno nella forma del "pasticciaccio" dell’art. 7 della 1/2001.
La furia distruttiva del legislatore lombardo ha finalmente raggiunto tutti i suoi peggiori obiettivi?
Un imprevisto increscioso incidente di percorso ha tuttavia, all’ultimo momento, reintrodotto uno standard minimo obbligatorio di 18 mq/ab. (art. 9, comma 3). Proprio quelli del Decreto del 1968! Cosa potrà accadere?
Il verde agricolo "oscillante"
Appare del tutto sconcertante il disinteresse (?) che traspare per la individuazione, la tutela, la protezione e la normazione delle aree agricole. Sembra, dal vuoto che traspare dal testo, di essere ritornati agli anni ’50-’60, quando il tema della regolamentazione e della pianificazione dei suoli e delle attività agricole non era ancora stato scoperto e affrontato ed era considerato più che marginale.
D’altra parte un legislatore che sa e prevede che la gran parte dei futuri "negozi" si giocheranno nelle e sulle aree agricole, è giusto che si preoccupi di rendere queste aree fortemente indefinite, vaghe e "oscillanti" tra determinazioni affidate in modo confuso ora ai Comuni, ora alla Pianificazione Provinciale, purché rese sempre e comunque facilmente modificabili dal livello comunale.
L’articolato non è chiaro nel definire con precisione a chi competa e come avvenga la individuazione delle aree agricole. Mentre secondo l’articolo 10 è compito del Comune individuare, col "piano delle regole", la "disciplina d’uso" di dette aree, contemporaneamente l’articolo 15, comma 4, stabilisce, come sembrerebbe più logico e opportuno, che lo stesso compito è attribuito ai Piani Territoriali Provinciali, ove si stabilisce che "Il PTCP individua gli ambiti destinati all’attività agricola" (ma gli "ambiti" dell’ art.15 sono le "aree" dell’art. 10? o sono due cose diverse? non coincidenti?) con efficacia prevalente ai sensi del successivo art. 18. Come si concilia il fatto che il PTP acquista con questa scelta valore "prescrittivo" (art. 18, comma 2, sub c) sugli atti del PGT?. Mentre, d’altro verso, il "piano delle regole" comunale viene definito come "sempre modificabile", in piena autonomia comunale?? E la Provincia come verrà mai a confrontarsi con le scelte comunali finali, visto che i Comuni inviano, solo per conoscenza, il "piano delle regole" alle Province e solo quando debitamente approvati? (art. 13, comma 10).
Chi pianifica allora le aree agricole? Dove sono le aree agricole? Per quanto tempo resisterà la destinazione agricola di queste aree?
L’inapplicabilità di ogni oggettiva valutazione ambientale dei Piani
Molti ingenui ambientalisti sono stati assai favorevolmente colpiti dalla legge avendo trovato in essa costanti e più volte ripetuti riferimenti al principio della "sostenibilità" o anche avendo la legge introdotto la "valutazione ambientale dei piani" (art. 4).
Breve ma fondamentale considerazione finale: se il piano comunale è stato ridotto a poca e confusa cosa, senza indici, quantificazioni, norme, verdi agricoli "oscillanti", scelte territoriali altamente e costantemente variabili, se potrà ridursi anche ad una mera relazione scritta o a un puro racconto di "balle spaziali", su cosa si potrà basare ed esercitare la valutazione ambientale? Se la legge continua a non definire criteri e parametri per poter misurare o valutare la "sostenibilità" delle trasformazioni territoriali? Se i piani comunali potranno essere sempre più poveri di scelte e contenuti ambientali?
Milano, maggio 2005