Sugli abusi con variazioni essenziali in zona paesaggistica, di Paolo Urbani

Con sentenza 7 novembre 2023, n. 9572, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che tutti gli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, o con variazioni essenziali, che comportano aumenti di cubatura in area vincolata, sono inderogabilmente soggetti a demolizione, ex art. 31, comma 2, del D.P.R. 380/2001, rimanendo priva di rilevanza ogni valutazione relativa alla consistenza dell’incremento volumetrico realizzato. In tali casi non si applica la c.d. fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001.

Il Comune, rilevato che i ricorrenti avevano realizzato abusi in area soggetta a vincolo paesaggistico (ex art. 142, comma 1, lett. c, del D.Lgs. 22/1/2004, n. 42), ne ha ingiunto la demolizione.

L’adito Tribunale ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio e ha respinto i motivi aggiunti.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i ricorrenti.

In base a una consolidata giurisprudenza, l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica ex artt. 146, comma 3, e 167, comma 4, lett. a), del D. Lgs. n. 42/2004, è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato “creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”. In presenza di incrementi di superficie o di cubatura, anche di modesta entità o di natura accessoria, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato, indipendentemente da qualunque ulteriore valutazione del comune, anche di tipo urbanistico-edilizio, che, laddove pure compiuta, risulterebbe ininfluente (Cons. Stato, Sez. VI, 19/10/2020, n.6300; 1/9/2022, n. 7625; 19/7/2023, n. 7092).

Inoltre, esattamente il Comune ha osservato che l’insanabilità paesaggistica precludeva la possibilità di accogliere la domanda di fiscalizzazione. Invero, l’art. 32, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, espressamente richiamato dall’amministrazione comunale, dispone che: “Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.

Nella fattispecie, non era, quindi, ammessa la fiscalizzazione dell’abuso, in quanto il citato art. 32, comma 3, rende, comunque, inconfigurabile la “parziale difformità dal permesso di costruire”, presupposto per l’applicabilità dell’art. 34, comma 2.

Tutti gli interventi, eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, o con variazioni essenziali – che, come quello di specie, comportano aumenti di cubatura in area vincolata – sono, infatti, inderogabilmente soggetti a demolizione, ex art. 31, comma 2, del citato D.P.R. n. 380/2001, il che, diversamente da quanto sostiene l’appellante, priva di rilevanza ogni valutazione relativa alla consistenza dell’incremento volumetrico realizzato.

Infatti, il menzionato art. 34, è disposizione che ha valore eccezionale e derogatorio e dev’essere intesa nel senso che non compete all’amministrazione procedente valutare, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione dell’abuso o prima di negare la fiscalizzazione, se la misura repressiva possa essere applicata, incombendo, piuttosto, sul privato interessato, dimostrare, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, l’obiettiva impossibilità di demolire la parte illecita senza pregiudizio per quella conforme (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 25/5/2022, n. 4171).

Occorre, a questo punto, esaminare la domanda impugnatoria rivolta contro le ordinanze di demolizione.

La presentazione di una richiesta di sanatoria non comporta né la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti sanzionatori pregressi, né l’illegittimità di quelli sopravvenuti, determinando, unicamente, la temporanea sospensione della loro concreta esecuzione (Cons. Stato, Sez. VI, 18/1/2022, n. 8848; 16/2/2021, n. 1432 18/8/2021, n. 5922; 22/01/2021, n. 666; 15/1/2021, n. 488; 28/9/2020, n. 5669; 4/1/2021, n. 43; 6/6/2018, n. 3417; Sez. II, 6/5/2021, n. 3545). L’accoglimento della censura comporta, però, unicamente la correzione della motivazione della sentenza, senza poter condurre alla sua riforma.

Gli abusi edilizi hanno natura di illeciti permanenti, per cui, in conformità al principio tempus regit actum, il provvedimento repressivo è sempre regolato dalla normativa in vigore al momento della sua adozione (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 20/1/2022, n. 372; 19/7/2021, n. 5439).

Diversamente da quanto gli appellanti sostengono, l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è sempre in re ipsa, per cui sul punto non occorre specifica motivazione, né è necessario comparare tale interesse con quello del privato alla conservazione della situazione di fatto illecita, non essendo al riguardo configurabili affidamenti tutelabili (Cons. Stato, A.P. 17/10/2017, n. 9, Sez. VI, 10/7/2020, n. 4425; 22/4/2020, n. 2557; 4/10/2019, n. 6720; 8/4/2019, n. 2292; 5/11/2018, n. 6233; 26/3/2018, n. 1893; 23/11/2017, n. 5472 e 5/1/2015, n. 13; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).

Da ultimo, occorre rilevare che il requisito motivazionale delle ordinanze di demolizione è soddisfatto con l’indicazione, come nella fattispecie, dell’abuso contestato e dell’illiceità riscontrata.

L’appello è stato, in definitiva, respinto.