Sentenza TAR Veneto – sez. II – 30 giugno 2003 – n. 3405

di 15 Ottobre 2003 Giurisprudenza

TAR VENETO, SEZ. II – Sentenza 20 giugno 2003 – n. 3405 – Pres. Trivellato – Est. Depiero; Cappelletti ed altro c. Comune di Verona e Scudellari ed altro.

 

1. Edilizia ed urbanistica – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Termine di impugnazione – Decorrenza – Dal momento della conoscenza del titolo edilizio e dei suoi allegati – Conoscenza del progetto presentato – Insufficienza.

2. Edilizia ed urbanistica – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Natura giuridica – Individuazione – Natura giuridica di vero e proprio provvedimento, assimilabile alla autorizzazione rilasciata in forma tacita – Sussiste – Ragioni.

3. Edilizia ed urbanistica – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Impugnabilità in via diretta – Ammissibilità – Ragioni.

4. Edilizia ed urbanistica – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Impugnazione del comportamento della P.A. in materia – Ammissibilità ex art. 34 D.L.vo n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della L. n. 205/2000.

5. Edilizia ed urbanistica – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Per la realizzazione di muri di contenimento o di recinzioni di rilevante entità – Insufficienza, occorrendo concessione edilizia.

6. Edilizia ed urbanistica – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Per la realizzazione di recinzioni, muri di cinta, cancellate e parcheggi di pertinenza – Di regola è sufficiente ex art. 4, comma 7°, della L. 662/96 – Nel caso in cui dette opere abbiano comportato un intervento assai più complesso – Insufficienza.

7. Ambiente – Nulla osta ambientale – Adeguata motivazione – Necessità – Sussiste sia nel caso di rilascio che nel caso di diniego – Fattispecie.

 

1. Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una denuncia di inizio di attività (D.I.A.), non è rilevante la conoscenza del progetto, bensì del titolo edilizio in base al quale i lavori sono stati effettuati, con tutti i suoi allegati (alla stregua del principio, constatato che nella specie i ricorrenti erano venuti a conoscenza della D.I.A. e dei suoi esatti contenuti solo dopo che il Comune aveva rilasciato loro la relativa documentazione, il T.A.R. Veneto ha ritenuto tempestivo il ricorso, essendo stata ritenuta irrilevante la conoscenza del progetto presentato, realizzatasi in precedenza).

2. La denuncia di inizio di attività (D.I.A.) non costituisce un mero atto privato, ma – come si evince dagli artt. 2, comma 60, della L. 23 dicembre 1996 n. 662 e 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2002 n. 301 – costituisce un "titolo" edilizio vero e proprio, in cui, non essendo prevista l’emanazione di alcun provvedimento, la domanda "tien luogo" dell’autorizzazione; la D.I.A., quindi, nel disegno della L. 662/96, si comporta allo stesso modo della vecchia autorizzazione tacita e cioè come un titolo che si forma silenziosamente, con il possesso di tutti i requisiti formali e sostanziali prescritti (1).

3. E’ ammissibile un ricorso con il quale sia stata impugnata una impugnata la D.I.A., atteso che quest’ultima non è un atto privato, ma un provvedimento formatosi tacitamente (2).

4. I "comportamenti" dell’Amministrazione in materia di edilizia e urbanistica sono sindacabili in sede di giurisdizione esclusiva da parte del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7 della L. 21 luglio 2000 n. 205, che ha modificato il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, sostituendo l’intero art. 34 che tale prescrizione recava, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 17 luglio 2000, n. 292. E’ pertanto ammissibile un ricorso con il quale, oltre all’annullamento della D.I.A., sia comunque richiesta la dichiarazione di illegittimità del comportamento tenuto dalla P.A. in merito alla D.I.A. e cioè la dichiarazione di illegittimità dell’omissione o dell’errata effettuazione (per travisamento dei presupposti di fatto) del controllo preventivo che, se correttamente realizzato, avrebbe dovuto condurre all’inibizione dell’attività edilizia.

5. Sono soggette a concessione edilizia e non a mera autorizzazione (nel precedente regime) o a D.I.A. (in quello attuale) la realizzazione di muri di contenimento (3) o di recinzioni (4) di rilevante entità e tali, comunque, da alterare in modo sensibile il territorio, così come le aperture di passi carrabili al fine di poter accedere agli spazi di proprietà (5).

6. Anche se l’art. 4, comma 7°, della L. 23 dicembre 1996 n. 662 stabilisce che sono subordinati alla D.I.A. le "recinzioni, muri di cinta e cancellate" (lett. c) ed "i parcheggi di pertinenza" (lett. h) (previsione quest’ultima riferita ai parcheggi realizzati "nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato", cioè a quelli di cui alla L. 122/89), deve ritenersi tuttavia che, nel caso in cui i lavori in questione abbiano comportato un intervento assai più complesso, non sia sufficiente una mera denuncia di inizio di attività per la loro realizzazione, occorrendo invece una concessione edilizia (alla stregua del principio, il T.A.R. Veneto ha ritenuto insufficiente la D.I.A., tenuto conto del fatto che non si trattava di una semplice recinzione con cancello, bensì della costruzione di un’opera complessa comprendente muri di sostengo e terrapieni, che aveva sensibilmente alterato il precedente stato dei luoghi).

7. Poiché il nulla osta ambientale ha la funzione di dichiarare la conformità delle opere con il vincolo gravante sull’immobile o sul fondo, esso, a pena di illegittimità, deve essere sorretto da adeguata motivazione, con la ricostruzione dell’ iter logico seguito nonché con l’indicazione delle ragioni di effettiva compatibilità dell’opera che, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo, possano consentire la rimozione del vincolo ambientale e la conseguente realizzazione dell’intervento urbanistico richiesto (6), e questo sia in caso che la determinazione finale sia positiva che negativa (7) (alla stregua del principio è stato ritenuto illegittimo il nulla osta, ancorchè fosse positivo, perchè esso risultava del tutto sfornito della necessaria motivazione specificamente riferita all’entità e alle caratteristiche dell’opera e alla sua incidenza sul bene tutelato).

(omissis)

per l’annullamento

della D.I.A. n. 104741 presentata dalle controinteressate al Comune di Verona il 5.12.2001, per la realizzazione di posti auto, cancello carraio e ingresso pedonale nell’ edificio in censuario di Verona, via Col. Fincato n. 182; della presupposta autorizzazione paesaggistica rilasciata dal dirigente del settore edilizia privata con decreto n. 1038 del 18.1.2001 e il parere C.E.C.I. n. 54 del 28.12.2000; nonché , se del caso, per la pronuncia di illegittimità del comportamento tenuto dal Comune di Verona sulla D.I.A. presentata il 5.12.2001 e sull’ intervento edilizio programmato;

nonché per il risarcimento

di ogni danno derivante dall’ attività dell’ Amministrazione intimata;

(omissis)

F A T T O

La ricorrente Paola Lucchi rappresenta di essere piena proprietaria di un appartamento, con accessori, nell’ edificio sito in via Fincato n. 182 in Verona, nonché nuda proprietaria di un altro, sempre nel medesimo stabile, di cui è usufruttuaria la madre, Rita Cappelletti, anch’ essa ricorrente.

Premesse alcune precisazioni in merito all’ edificio – realizzato nel 1960 dai fratelli Lucchi in regime di comproprietà e pervenuto agli attuali proprietari parte per successione, parte per compravendita – le istanti espongono di essere informalmente venute a conoscenza, nel novembre 2000, dal tecnico incaricato dalla controinteressata Scudellari, della bozza di un elaborato progettuale mirante alla sistemazione dell’ area retrostante l’ edificio su cui si affacciano le autorimesse al servizio dello stesso, che ne prevedeva la chiusura dell’ area, con costruzione di un accesso carraio, di uno scivolo di 5 metri e la realizzazione, all’esterno, di quattro posti auto; progetto cui manifestavano da subito ferma opposizione.

Il 16.1.2001 la controinteressata informava, con lettera raccomandata, di aver presentato ai competenti organi il progetto, di cui allegava copia.

In data 13.2.2001 le istanti manifestavano al Comune la propria contrarietà al progetto, rappresentando anche che, a loro avviso, la richiedente non poteva ottenere alcun titolo edilizio (e comunque non utilizzare la D.I.A.), tenendo in considerazione lavori in area condominiale non autorizzati dalla necessaria delibera assembleare.

Il 5.11.2001 Scudellari comunicava alle deducenti che, avendo ottenuto le prescritte autorizzazioni ambientali, si apprestava presentare la D.I.A..

In data 8.11.2002 i lavori sono iniziati. Le ricorrenti hanno chiesto immediatamente l’ intervento dei vigili urbani che, recatisi sul posto ed esaminata la documentazione fornita dall’ impresa, hanno ritenuto che l’ attività edilizia fosse in regola.

Chiesto l’ accesso ai documenti, rilasciati il 13.11.2002, le istanti venivano così a conoscenza dell’ esatto contenuto della D.I.A. presentata il 5.12.2001 e del nulla osta ambientale a suo tempo rilasciato (previo parere C.E.C.I. 17.1.2001 e autorizzazione paesistica del 18.1.2001).

Contro tutti questi atti, e in ogni caso, contro il comportamento tenuto dal Comune di Verona sulla D.I.A., agiscono le ricorrenti deducendone l’ illegittimità per i seguenti profili:

1) violazione dell’ art. 4 della L. 10/77 e dell’ art. 77, comma 1, della L.r. 61/85, in relazione agli artt. 1120 e 1135 c.c.. Violazione dell’ art. 3 della L. 241/90. Travisamento.

Il Comune, benché informato dalle istanti, ha ignorato le circostanze che l’intervento ricade in area comune di pertinenza del condominio (di cui le stesse sono proprietarie per i 3/6), che alcuni condomini avevano espressamente manifestato la propria opposizione al progetto e che, quindi, le richiedenti difettavano della necessaria legittimazione a presentare la D.I.A., in mancanza di una specifica delibera adottata all’ unanimità, o, quanto meno, con le maggioranze di cui al comma 5 dell’ art. 1136 c.c., che autorizzasse l’ intervento modificativo delle parti comuni.

2) Violazione dell’ art. 2, comma 60, della L. 23.12.96 n. 662, in relazione all’ art. 76 della L.r. 61/85, nonché delle N.T.A. del vigente P.R.G. per la zona 14. Travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione.

L’ intervento ricade in area soggetta a vincolo paesaggistico. Il parere espresso dalla Commissione Edilizia Integrata e il conseguente nulla osta non danno conto in alcun modo della compatibilità dei lavori col vincolo, limitandosi ad una mera clausola di stile, il che, data l’ entità dei lavori stesso, non appare legittimo. L’ attività edilizia posta in essere, infatti – tra l’ altro infedelmente rappresentata al Comune come recinzione, passo carraio e parcheggi scoperti – ha in realtà comportato la costruzione di due muri di contenimento alti due metri riempiti di materiale coerente, sopra i quali sono stati realizzati i parcheggi; opera certamente non eseguibile con D.I.A., ma necessitante di concessione edilizia, con richiesta sottoscritta da tutti i proprietari.

Inoltre le N.T.A. per la zona 14, ove insiste il manufatto, impongono il distacco minimo tra fabbricati di 10 metri, mentre i "bastioni" che fungono da base per i parcheggi distano dall’ edificio solo 6 metri.

Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Verona che le controinteressate, che puntualmente controdeducono nel merito del ricorso, chiedendone la reiezione.

In limine, ne eccepiscono l’irricevibilità per tardività e l’inammissibilità, in quanto, alla stregua di una giurisprudenza recentemente formatasi, essendo la D.I.A. un atto privato, e non un provvedimento – neppure implicito – non è direttamente impugnabile.

D I R I T T O

Il ricorso all’esame è volto all’annullamento del titolo edilizio D.I.A., in virtù del quale le controinteressate hanno realizzato un intervento consistente nella recinzione dell’ area di proprietà, costruzione di un passo carraio e di quattro parcheggi scoperti.

Vanno, innanzi tutto, delibate le due eccezioni pregiudiziali (di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso) sollevate dal Comune e dalle controinteressate.

Con la prima, l’Ente eccepisce la tardività dell’impugnazione sul presupposto che le ricorrenti erano a conoscenza "del progetto presentato da ben oltre 60 giorni, come risulta dalla corrispondenza intercorsa con l’Amministrazione".

L’ eccezione non è fondata.

Invero, ciò che rileva, nella specie, non è certamente la conoscenza del progetto (che era stato reso noto alle istanti, almeno nelle sue grandi linee, sin dal 2000), bensì il titolo edilizio in base al quale i lavori sono stati effettuati, con tutti i suoi allegati, ivi compreso il nulla osta ambientale.

Nessun elemento viene portato dal Comune (che si limita ad un generico rinvio al carteggio intercorso tra ricorrenti e Amministrazione) a sostegno della presunta precedente conoscenza del titolo (la cui rigorosa prova incombe su chi eccepisce la tardività del ricorso. Cfr.: da ultimo e per tutti: C.S., sez. VI, n. 5813 del 22.10.2002) da parte delle ricorrenti, cosicché, alla stregua della documentazione in atti, deve ritenersi che le stesse siano venute a conoscenza della D.I.A. e dei suoi esatti contenuti solo dopo che il Comune ha rilasciato loro la relativa documentazione, e, quindi, il 13.11.2002. Rispetto a tale data, il ricorso, notificato al Comune il 10.1.2003 e ad almeno un controinteressato l’11.1.2003, risulta tempestivo.

La seconda eccezione riguarda l’inammissibilità del ricorso per essere stata impugnata la D.I.A., che è atto privato e non provvedimento.

Anche questa eccezione è infondata.

La prima questione che si pone è quella della natura della D.I.A..

Il Collegio non ignora l’esistenza di recenti sentenze (cfr. Cons. St. – Sez. VI n. 4453 del 4.9.2002 e TAR Liguria n. 113 del 22.1.2003) che la qualificano mero atto del privato, che, ancorché soggetto ai poteri preventivi/inibitori della P.A. (oltre che, naturalmente, a quelli successivi/repressivi), non trasmuta in atto autorizzatorio implicito o silenzioso, con la conseguenza che, restando tale (cioè atto privato), non sarebbe soggetto a impugnazione né ad annullamento.

Tuttavia non si ritiene, per le ragioni che saranno esposte, di poter aderire a tale prospettazione.

Le norme cui fare riferimento sono, principalmente, gli artt. 2, comma 60, della L. 23.12.96 n. 662 e 1 del D.Lg. n. 301 del 27.12.2002.

La prima disposizione, dopo aver elencato gli interventi soggetti a D.I.A. ed averne delineato il procedimento, al comma 14 espressamente stabilisce che "nei casi di cui al comma 7, ai fini degli adempimenti necessari per comprovare la sussistenza del titolo abilitante all’effettuazione delle trasformazioni tengono luogo delle autorizzazioni le copie delle denunce di inizio attività da cui risultino le date di ricevimento delle denunce stesse, nonché l’elenco di quanto prescritto comporre e corredare i progetti delle trasformazioni e le attestazioni dei professionisti abilitati".

E’ la norma stessa a qualificare la D.I.A. come titolo edilizio vero e proprio, in cui, non essendo prevista l’emanazione di alcun provvedimento, la domanda "tien luogo" dell’ autorizzazione.

La D.I.A. quindi, nel disegno della L. 662/96 si comporta allo stesso modo della vecchia autorizzazione tacita: cioè come un titolo che si forma silenziosamente, con il possesso di tutti i requisiti formali e sostanziali prescritti.

Questa conclusione resta ulteriormente confortata dalla lettura del D.Lg. 301/2002 che ha sostituito gli artt. 22 e 23 del T.U dell’ edilizia (D.P.R. 6.6.2001 n. 380) ove si ribadisce espressamente (art. 1, comma 5) che "la sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari".

Anche le norme più recenti, quindi, non configurano affatto la D.I.A. come un’ attività "privata", bensì come un titolo abilitativo, che proviene dall’Amministrazione, sia pure in forma silenziosa o per inerzia (cioè per non aver esercitato la P.A., nel termine perentorio stabilito dalla legge, il proprio potere inibitorio).

Altre chiare disposizioni sostengono la tesi proposta.

Invero, il D.Lg. 301/2002 aggiunge i commi 2 bis e 5 bis agli artt. 38 e 39 del T.U., estendendo anche agli interventi realizzati con D.I.A. la disciplina degli interventi edilizi eseguiti in base a "permesso annullato", il che presuppone, all’evidenza, che la stessa Amministrazione (e il giudice amministrativo) possano annullare il titolo D.I.A..

Agli interventi realizzati con D.I.A. viene estesa altresì la possibilità, come per ogni altro titolo edilizio, di annullamento straordinario da parte della Regione.

Se la D.I.A. fosse un mero atto privato, cui la P.A. resta estranea tranne che per – eventualmente – sanzionare successivamente l’attività non conforme alle norme, queste disposizioni sarebbero del tutto prive di logica, in quanto non avrebbe senso prevedere la possibilità di annullamento del titolo (che, secondo la tesi cui il Collegio non aderisce, neppure c’è), essendo sufficiente l’intervento successivo/repressivo.

In ogni caso, anche se si volesse ritenere che la D.I.A. sia un mero atto "privato", tuttavia il ricorso non sarebbe inammissibile.

Infatti le ricorrenti, oltre che l’annullamento del titolo hanno altresì richiesto la dichiarazione di illegittimità del comportamento tenuto dalla P.A. in merito alla D.I.A., in altre parole la dichiarazione di illegittimità dell’ omissione o dell’ errata effettuazione (per travisamento dei presupposti di fatto) del controllo preventivo che, se correttamente realizzato, avrebbe dovuto condurre all’inibizione dell’ attività edilizia.

I "comportamenti" dell’ Amministrazione "in materia di edilizia e urbanistica" sono sindacabili in sede di giurisdizione esclusiva da parte del giudice amministrativo a tenore dell’ art. 7 della L. 21.7.2000 n. 205, che ha modificato il D.Lg. 31.3.98 n. 80 sostituendo, per quanto qui rileva, l’ intero art. 34 che tale prescrizione recava, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 292 dell’ 11 – 17.7.2000.

Né può porsi, a questo proposito, un problema di termini, perché, sia pure aderendo all’interpretazione più restrittiva che ritiene sussistere anche in questo caso il termine di decadenza, le istanti si sono attivate entro i 60 giorni decorrenti dalla conoscenza dell’illegittimità del comportamento silente tenuto dall’Amministrazione, desunto dal contenuto della dichiarazione.

Nel merito il ricorso è fondato.

Il comma 7 dell’ art. 4 della L. 662/96 stabilisce infatti che sono subordinati a D.I.A., per quanto qui rileva, le "recinzioni, muri di cinta e cancellate" (lett. c) e "i parcheggi di pertinenza" (lett. h), previsione peraltro non applicabile al caso, in quanto riferita ai parcheggi realizzati "nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato", cioè a quelli di cui alla L. 122/89.

A parte la previsione sui parcheggi, parrebbe quindi, ad un primo esame, che quanto realizzato rientri appieno nelle previsioni delle opere soggette a D.I.A.. Le ricorrenti tuttavia hanno dimostrato che, ancorché i lavori di cui si controverte siano effettivamente consistiti nella realizzazione di "recinzioni, muri di cinta e cancellate" e quindi, in astratto, conformi al dettato della lettera c), essi in realtà hanno comportato un intervento assai più complesso (e ne è prova la documentazione fotografica in atti) in quanto, per ricavare i quattro parcheggi scoperti, data la particolare conformazione del terreno, si sono dovuti costruire due terrapieni sostenuti da muri di contenimento di rilevante altezza (circa 2 metri) riempiti di materiale coerente, che hanno indotto una notevole e irreversibile modificazione dello stato dei luoghi.

La giurisprudenza, in merito a questo tipo di opere, ha da tempo stabilito che sono soggette a concessione edilizia e non a mera autorizzazione (nel precedente regime) o a D.I.A. (in quello attuale) la realizzazione di muri di contenimento (Tar Lazio, sez. II ter n. 2292 del 25.3.2000) o di recinzione (Tar Emilia Romagna – Parma n. 246 del 27.4.2001) di rilevante entità e tali comunque da alterare in modo sensibile il territorio, così come le aperture di passi carrabili al fine di poter accedere agli spazi di proprietà (Tar Lazio, sez. II ter n. 4549 del 22.5.2002).

Nel caso di specie non si è trattato quindi di una semplice recinzione con cancello, bensì della costruzione di un’ opera complessa comprendente muri di sostengo e terrapieni, che ha sensibilmente alterato il precedente stato dei luoghi. Come tale, il Collegio reputa dovesse essere assentita con concessione.

Fondata è altresì la censura di carenza di motivazione del nulla osta ambientale.

La giurisprudenza ha infatti chiarito che, per la funzione che detto nulla osta è destinato a svolgere, cioè di dichiarazione della conformità delle opere con il vincolo gravante sull’ immobile o sul fondo, anche il provvedimento positivo (e non solo quello di diniego) deve essere sorretto da adeguata motivazione. La giurisprudenza più volte ha ribadito che "il provvedimento di autorizzazione paesistica necessita di congrua motivazione, con la ricostruzione dell’ iter logico seguito nonché con l’indicazione delle ragioni di effettiva compatibilità dell’ opera che, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo, possano consentire la rimozione del vincolo ambientale e la conseguente realizzazione dell’intervento urbanistico richiesto" (cfr. ex multis e da ultimo: Tar Emilia Romagna Bologna, sez. II, n. 1136 del 5.9.2002; C.S. sez. VI, n. 841 del 17.3.2003), e questo sia in caso che la determinazione finale sia positiva che negativa (Tar Sardegna, n. 829 del 3.7.2002; C.S. sez. VI, n. 6785 del 12.12.2002).

Orbene, pur se – data la natura dei lavori quali apparivano dal progetto, poteva ritenersi sufficiente una motivazione succinta (TAR Sardegna 1.10.2002 n. 1299), peraltro l’opposto nulla-osta ambientale non risponde neppure a tale meno rigoroso requisito, poiché esso si limita, richiamato il parere della C.E.C.I. secondo cui "il progettato intervento in argomento non reca pregiudizio per la tutela dell’ ambiente", alla clausola di stile "ritenuto che il progetto presentato non contrasti con il vincolo paesaggistico ambientale posto sull’ area, né venga negativamente leso l’ interesse pubblico tutelato dal vincolo stesso". Il nulla-osta risulta quindi del tutto sfornito della necessaria motivazione specificamente riferita all’entità e alle caratteristiche dell’opera e alla sua incidenza sul bene tutelato.

Anche il nulla osta ambientale va conseguentemente annullato.

In definitiva, alla stregua delle osservazioni che precedono, il ricorso va accolto.

Spese e competenze di causa possono essere totalmente compensate tra le parti, sussistendone i presupposti di legge.

P. Q. M

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie, e per l’effetto, annulla gli atti indicati in epigrafe..

Compensa le spese e competenze del giudizio fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, l’ 8.5.2003.

Il Presidente L’Estensore

Depositata in segreteria il 20 giugno 2003.