Sentenza TAR Lazio – sez. IIIter – 11 marzo 2004 – n.2375

di 15 Novembre 2004 Giurisprudenza

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO – SEZ. III-TER

SENT. 11 MARZO 2004, N. 2375

Pres. Corsaro; Est. Russo; ANCE c. Società GrandiStazioni SpA.

CONTRATTI DELLA P.A. – APPALTO DI LAVORI – ACCORPAMENTO DI UNA PLURALITA DI OPERE – LEGITTIMITA’ – CONDIZIONI.

CONTRATTI DELLA P.A. – APPALTO DI LAVORI – AFFIDAMENTO A CONTRAENTE GENERALE – ART. 16 CO. 3 D. LGS. N. 190 DEL 2002 – ACCORPAMENTO DI UNA PLURALITA’ DI OPERE – AL SOLO SCOPO DELL’AFFIDAMENTO UNITARIO AD UNICO CONTRAENTE – ILLEGITTIMITA’ – FATTISPECIE.

1. In riferimento alla possibilità per la stazione appaltante di accorpare una pluralità di opere da aggiudicare mediante gara in un unico lotto non basta predicare l’unitarieta’ strategica degli interventi per dimostrare la necessita’ di trattarli tutti in un unico appalto. Occorre piuttosto dimostrare che l’accorpamento sia preferibile a fronte di altre soluzioni industriali possibili e che l’eterogeneità dei lavori, pur se da realizzare in contesti geografici, urbanistici ed architettonici variegati ed irriducibili, sia un costo comunque superabile dai benefici dell’unica procedura.

2. In relazione alla possibilità di affidamento unitario a contraente generale della realizzazione di progetti di importo superiore a duecentocinquanta milioni di euro, prevista dalla norma al comma 3 dell’art. 16 del D.lgs. 190/2002, l’accorpamento di una pluralità di lavori deve in ogni caso soddisfare uno dei requisiti espressamente previsti da predetta norma (interconnessione con altri sistemi di collegamento europei; complessita’ dell’intervento tale da richiedere un’unica logica realizzativa e gestionale, nonche’ estrema complessita’ tecnico-organizzativa) e non già rappresentare unicamente lo strumento per raggiungere la soglia dell’importo minimo per l’affidamento a contraente generale, ma deve essere invece la risultanza di una approfondita analisi relativamente agli obiettivi, ai mezzi a disposizione ed ai finanziamenti disponibili.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, composto dai signori

Francesco CORSARO, Presidente,

Lucia TOSTI, Consigliere,

Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 8232/2003 proposto dall’Associazione nazionale dei costruttori edili – ANCE, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. Mario SANINO e dall’avv. Gianpaolo RUGGIERO ed elettivamente domiciliata in Roma, al viale dei Parioli n. 180,

CONTRO

la GRANDI STAZIONI s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Piero D’AMELIO e Marco ANNONI ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Udine n. 6

E NEI CONFRONTI

della SIRAM s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI costituita con la TECHINT s.p.a. e con la Impresa Pizzarotti & c. s.p.a., interventrice ad opponendum, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi MEDUGNO ed elettivamente domiciliata in Roma, via Panama n. 12,

PER L’ANNULLAMENTO

del bando pubblicato in G.U. il 16 giugno 2003, con cui la Grandi Stazioni s.p.a. ha indetto la gara per l’affidamento ad un contraente generale dell’attività di progettazione definitiva e/o esecutiva, di direzione lavori e di realizzazione con ogni mezzo degli interventi d’adeguamento generale degli edifici delle grandi stazioni ferroviarie italiane;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 12 febbraio 2004 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, il prof. SANINO e gli avvocati ANNONI, D’AMELIO e MEDUGNO;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

L’Associazione nazionale costruttori edili – ANCE assume d’essere l’ente associativo di categoria degli imprenditori privati operanti nel settore delle opere pubbliche e dell’edilizia.

Detta Associazione rende noto che Grandi Stazioni s.p.a. ha indetto una gara per l’affidamento a contraente generale, a licitazione privata e per una durata di trentasei mesi, delle attività di progettazione definitiva e/o esecutiva, di direzione lavori e di realizzazione con qualsiasi mezzo degli interventi d’adeguamento degli edifici delle grandi stazioni ferroviarie italiane, per un complessivo importo a base d’asta pari a € 557.016.000,00. L’affidamento dei lavori è effettuato in un unico lotto e comprende anche i servizi di manutenzione e di conduzione degli edifici di tutte le stazioni coinvolte.

Avverso detto bando, l’ANCE si grava, con il ricorso in epigrafe, innanzi a questo Giudice, deducendo anzitutto la giurisdizione di quest’ultimo (trattandosi d’appalto da aggiudicare nel rispetto delle procedure d’evidenza pubblica e con applicazione di norme nazionali e comunitarie), la propria legittimazione a ricorrere (essendo un’associazione rappresentativa di categoria che fa valere in giudizio gli interessi collettivi degli associati) e il proprio interesse all’impugnazione (in relazione all’utilità che l’eventuale annullamento del bando può comportare a favore d’una più ampia partecipazione degli associati stessi alla nuova gara), nonché, nel merito, due articolati profili di censura. Resiste nel presente giudizio l’intimata Grandi Stazioni s.p. a. che eccepisce anzitutto l’inammissibilità del ricorso in epigrafe per tutt’e tre i profili di rito evidenziati dalla ricorrente e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. Interviene ad opponendum la SIRAM s.p.a., in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI costituita con la TECHINT s.p.a. e con la Impresa Pizzarotti & c. s.p.a. ai fini della partecipazione all’appalto per cui è causa, eccependo il difetto di legittimazione della ricorrente per evidente conflitto interno di interessi con le imprese interventrici, l’impossibilità di qualificare la stazione appaltante quale organismo di diritto pubblico e, nel merito, l’infondatezza del ricorso in epigrafe.

All’udienza pubblica del 12 febbraio 2004, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. – Come già accennato nelle premesse in fatto, l’ANCE, associazione rappresentativa a livello nazionale gli interessi degli imprenditori privati operanti nel settore delle opere pubbliche e dell’edilizia abitativa, commerciale, direzionale e industriale, adisce questo Giudice per l’annullamento del bando spedito il 10 giugno 2003 e pubblicato nella G.U. il successivo giorno 16, con cui Grandi Stazioni s.p.a. ha indetto una gara per l’affidamento a contraente generale delle attività di progettazione definitiva e/o esecutiva, di direzione lavori e di realizzazione con qualsiasi mezzo degli interventi d’adeguamento degli edifici delle grandi stazioni ferroviarie italiane.

In particolare, detto appalto, da aggiudicare a licitazione privata e per una durata di trentasei mesi, implica un affidamento di lavori in un unico lotto e comprende anche i servizi di manutenzione e di conduzione degli edifici delle stazioni coinvolte. L’importo a base d’asta è fissato in € 557.016.000,00, di cui € 482.750.000 per gli interventi d’adeguamento funzionale degli edifici (compresi € 14.500.000 per gli oneri di sicurezza), € 60.800.000 per i servizi di conduzione e manutenzione e € 13.466.000 per l’attività di progettazione definitiva e/o esecutiva. Le stazioni ferroviarie interessate dall’esecuzione dei predetti lavori, sono quelle di Milano Centrale, Torino P.N., Genova P. Principe e Genova Brignole, Bologna Centrale, Firenze S. M.N., Verona P.N. Venezia S. Lucia e Venezia Mestre, Roma Termini, Napoli Centrale e Napoli P. Garibaldi, Salerno Centrale e Bari Centrale.

2. – Ai fini d’una miglior comprensione della vicenda controversa, reputa opportuno il Collegio precisare che l’appalto in parola prende le mosse dall’approvazione, con delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, del I programma delle opere pubbliche strategiche a’sensi dell’art. 1 della l. 21 dicembre 2001 n. 443, ove il progetto «grandi stazioni» è stato collocato nel sottosistema «Sistemi urbani».

Al riguardo, con nota n. 73 del 27 marzo 2003, successivamente più volte integrata, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha trasmesso al CIPE la propria relazione istruttoria su detto programma, proponendo d’approvare i progetti definitivi d’adeguamento funzionale degli edifici di stazione ed i progetti preliminari per le relative infrastrutture complementari, nonché il finanziamento parziale di queste ultime. Tale proposta è stata poi accolta dal CIPE con delibera del 14 marzo 2003, in una con il relativo finanziamento a valere sui fondi di cui all’art. 13 della l. 1° agosto 2002 n. 166, con conseguente approvazione dei progetti definitivi a’sensi degli artt. 4 (ai fini della pubblica utilità delle opere così autorizzate) e 16, c. 1 (attestazione di compatibilità ambientale e localizzazione dell’opera sulla base del progetto definitivo) del Dlg 20 agosto 2002 n. 190. Dal canto loro, pure i progetti preliminari degli interventi complementari sono stati approvati a’sensi e per gli effetti del precedente art. 3, ai fini dell’accertamento della loro compatibilità ambientale e del perfezionamento, ad ogni fine urbanistico-edilizio, della relativa localizzazione, con conseguente automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti ed adottati.

Per realizzare il progetto per il recupero e l’adeguamento funzionale di tali tredici stazioni ¾attraverso un insieme di opere articolato in interventi di riqualificazione ed infrastrutturali complementari¾, Grandi Stazioni s.p.a. ha chiesto, con nota del n. 8879 del 18 aprile 2003, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di potersi avvalere dell’affidamento a contraente generale a’sensi dell’art. 16, c. 3 del Dlg 190/ 2002. Con nota n. 16.364 del 28 maggio 2003, il Ministro le ha comunicato la facoltà di potersi avvalere di tal modalità d’affidamento unitario a contraente generale. Quindi, Grandi Stazioni s.p.a. ha emanato il bando impugnato in questa sede, esercitando la facoltà così concessale, attraverso, però, il previo accorpamento di tutte le opere per tutte le stazioni.

3.1. – Così chiarito per sommi capi il quadro fattuale della res controversa, ora il Collegio prende in esame le eccezioni preliminari d’inammissibilità, sollevate in vario modo dalle parti resistenti. Tutte tali eccezioni, in rito ed in merito, sono infondate e devono esser rigettate, per le ragioni di cui appresso.

3.2. – Non può esser condivisa l’eccezione di difetto di giurisdizione di questo Giudice nella vicenda in questione, nonostante il richiamo della stazione appaltante ad un arresto (cfr,. Cons. St., V, 6 ottobre 2003 n. 5902), che afferma come Grandi Stazioni s.p.a. non sia stata istituita e per soddisfare specificamente bisogni d’interesse generale, non aventi carattere industriale e commerciale, onde essa non si può considerare amministrazione aggiudicatrice, soggetta all’applicazione delle procedure previste dalla normativa vigente in materie di lavori pubblici.

Ritiene il Collegio tale pronuncia non correttamente citata nella vicenda in esame, giacché, in quella situazione, si controverteva sulla differenza tra gli impianti di stazione rientranti nell’ambito o, comunque, strumentali al servizio pubblico ferroviario e gli immobili gestiti da Grandi Stazioni s.p.a., i quali, pur se adiacenti agli impianti stessi, erano destinati a scopi diversi e, in particolare, a quelli di sfruttamento economico di diritto privato.

Nella specie, al contrario, è indubbio, oltre alla loro qualità strategica ¾tale da farli soggiacere alla disciplina della l. 443/2001¾, che gli interventi oggetto del bando riguardino il complesso immobiliare di ciascuna grande stazione ferroviaria e della sua collocazione nel tessuto urbano, quale strumento dell’offerta pubblica di trasporto e, quindi, indipendentemente dall’utilizzabilità di alcuni locali o aree per scopi commerciali diversi e, addirittura, neppure collegati al trasporto. Gli interventi in esame sono, con ogni evidenza, preordinati alla soddisfazione di esigenze d’interesse e d’utilità pubblici, direttamente connesse all’esercizio del servizio pubblico di trasporto ferroviario e, più generale, alla predisposizione dell’offerta di mobilità intermodale. Essendo stati perciò inclusi nel I programma delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale, detti interventi ipso facto non possono esser realizzati che con un affidamento conseguente a procedure ad evidenza pubblica, in base alle regole essenziali della l. 443/2001. A tal riguardo, la delibera CIPE del 14 marzo 2003, nell’includere gli interventi stessi nel predetto programma, ne ha individuato in Grandi Stazioni s.p.a. il soggetto aggiudicatore, secondo la definizione all’ uopo stabilita dall’art. 1, c. 7, lett. g) del Dlg 190/2002 e, come tale, l’ha finanziata.

Tale norma indica, tra i soggetti aggiudicatori, non solo le amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 1, lett. b) della Dir. n. 93/37/CEE (lavori pubblici) ed i soggetti aggiudicatori ex art. 2 del Dlg 17 marzo 1995 n. 158 (settori c. d. “esclusi”), ma anche, ai soli fini degli interventi per le opere strategiche ex l. 443/2001, i diversi soggetti pubblici o privati assegnatari dei fondi all’uopo stanziati. Sicché s’appalesa uno pseudoproblema verificare se, in questo o in altri casi ¾quale, appunto, quello da cui originò la ricordata pronuncia¾, Grandi Stazioni s.p.a. sia, o no un organismo di diritto pubblico, il citato art. 1, c. 7 reputando irrilevante, ai fini dell’assoggettamento di essa alle procedure ad evidenza pubblica, la sua natura soggettiva. Da ciò discende che, per un verso, Grandi Stazioni s.p.a. è tenuta a procedere alla scelta del contraente, adoperi o no la facoltà ex art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/ 2002, mercé un pubblico incanto; e, per altro verso, si radica su tale procedura la competenza esclusiva di questo Giudice ex art. 6 della l. 21 luglio 2000 n. 205.

3.3. – Parimenti da respingere è l’eccezione del difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente, ravvisato dalle parti resistenti nel conflitto di interessi scaturente dalla circostanza che alcune imprese, pur associate all’ANCE, abbiano reputato di possedere i requisiti per la partecipazione alla gara indetta con il bando impugnato ed abbiano proposto la relativa istanza.

Noto è al Collegio il principio per cui, nel processo amministrativo, le associazioni di categoria possono far valere in giudizio gli interessi propri dell’intera categoria, a condizione che risulti con certezza che gli interessi individuali degli iscritti o degli appartenenti siano univocamente conformi a quello a tutela del quale l’associazione agisce e non siano in contrasto, neanche potenzialmente, tra loro (Cons. St., VI, 14 gennaio 2003 n. 93). Ritiene, nondimeno, il Collegio che tale arresto, in sé condivisibile, sia invocato non a proposito dalle parti resistenti, atteso che l’interesse, su cui poggia la legittimazione delle associazioni di categoria ad agire in giudizio, non corrisponde alla somma degli interessi individuali dei singoli iscritti, ma ha carattere collettivo, essendo riferita alla categoria considerata in modo oggettivo, complessivo ed unitario, piuttosto che alle possibili fazioni in cui questa, di volta in volta o per ragioni congiunturali, ritiene di dividersi.

Ora, nella specie, in contestazione non è la partecipazione delle predette imprese ¾quasi che l’ANCE voglia far valere in questa sede interessi d’una parte delle imprese iscritte contro quelle altre su tale punto, censurandone l’intendimento concreto di partecipare alla gara de qua¾, bensì il criterio di selezione, affidamento a general contractor secondo la norma ex art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002, con la consequenziale fissazione di requisiti d’ammissione a gara che, in effetti, sono molto rigorosi e si rivolgono ad una platea molto ristretta di imprese edili. Come si vede, in questa sede la ricorrente ANCE agisce a tutela d’un interesse collettivo di cui essa è esponenziale e non già a favore degli interessi individuali di alcuni associati contro altri, nel qual caso l’azione sarebbe inammissibile, giacché compito precipuo dell’associazione di categoria è comporre e non fomentare i conflitti tra gli associati. Ebbene, nel caso in cui, come nella specie, nell’atto impugnato sia effettivamente riconoscibile una capacità lesiva di interessi unitari d’una determinata categoria di soggetti (cfr. Cons. St., V, 29 gennaio 1999 n. 69; id., 1° luglio 2002 n. 3586), il relativo ente esponenziale è legittimato a far valere in giudizio tali ragioni, ancorché, per avventura, uno o più iscritti siano indifferenti a tale scelta illegittima e vi s’adeguino per conseguire vantaggi, anche sugli altri iscritti, altrimenti non raggiungibili. Invero, la legittimazione attiva in capo ad un’associazione di categoria non può essere esclusa da un ipotetico conflitto di interessi tra essa e singole imprese beneficiarie dell’atto impugnato, atteso che la sussistenza di tale conflitto, per essere idoneo ad escludere la legittimazione in parola, va valutata in astratto, all’uopo non bastando la circostanza, del tutto eventuale e giuridicamente insignificante, che alcune imprese possano lucrare un risultato utile dal provvedimento che l’associazione assume lesivo dell’interesse istituzionalizzato di categoria (cfr. Cons. St., V, 3 giugno 1996 n. 624). Né la posizione d’un singolo associato, che pensi di trarre beneficio dalla vicenda ritenuta dall’associazione lesiva per tutta la categoria, può esser ritenuta tanto meritevole di tutela o, comunque, fonte d’un così rilevante conflitto di interessi, da paralizzare sempre e comunque l’azione a tutela dell’interesse collettivo e d’impedire così la possibilità per la generalità degli associati di difendere il bene metaindividuale.

Nella vicenda oggi in esame, il risultato del restringimento della platea dei partecipanti è frutto di scelte illegittime. Sicché il requisito di partecipazione alla gara non è davvero stabilito con riguardo a certe dimensioni aziendali effettivamente occorrenti alla realizzazione delle opere appaltande, nel qual caso la dimensione ammessa a gara sarebbe indotta non artatamente dal bando, ma dalle esigenze del mercato relativo. Detto requisito discende solo dalla violazione delle regole ex art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002, di talché il risultato così illegittimamente ottenuto premia una certa dimensione aziendale, piuttosto che altre, in modo non virtuoso. Pertanto, esso è di per sé ed ipso facto lesivo per tutte le imprese appartenenti alla categoria considerata, indipendentemente dall’indebito vantaggio materiale che una o più di esse possano lucrare dalla partecipazione a detta gara.

Né varrebbe ad escludere siffatta legittimazione la circostanza che l’eventuale annullamento dell’impugnato bando possa non arrecare un vantaggio immediato e di pari intensità a tutte le imprese associate (in particolare, a quelle che indirettamente lucrano benefici dall’atto gravato), giacché qui rileva solo che non si riscontri in capo ad alcuna di loro posizioni di controinteresse all’annullamento stesso.

Al riguardo, l’ATI interventrice ad opponendum ha adombrato, all’udienza pubblica del 12 febbraio 2004, la configurabilità delle imprese, che già han proposto istanza di partecipazione alla gara in esame, la qualità di controinteressati c.d. “sopravvenuti”. È noto al Collegio, invece, il principio, dal quale non ha motivo di discostarsi, secondo cui nel giudizio amministrativo è controinteressato: A) – il portatore d’un interesse giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto impugnato, nella misura in cui ne ricavi un vantaggio diretto ed immediato; B) – che sia nominativamente indicato nell’atto o sia da esso agevolmente individuabile; C) – la cui qualità sia accertata con riferimento alla data d’emanazione dell’atto impugnato stesso, posto che l’onere d’intimazione dei controinteressati si radica solo al momento della proposizione del ricorso giurisdizionale (cfr. Cons. St., V, 2 marzo 1999 n. 211) ed irrilevante essendo ogni circostanza o fatto sopravvenuti, ancorché acquisiti nel corso della causa o, addirittura, desumibili dal merito della controversia (cfr. id., 26 settembre 2000 n. 5092; id., 29 luglio 2003 n. 4324). D’altronde, prevale in giurisprudenza l’opinione per cui l’impugnazione del bando d’un procedimento concorsuale non implichi di per sé posizioni giuridiche di controinteresse, non essendo in quel momento individuabili soggetti, nominativamente indicati o agevolmente identificabili, che ricavino un beneficio diretto ed immediato dal mantenimento dell’atto impugnato (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 19 novembre 1996 n. 1609; id., V, 3 febbraio 2000 n. 601; id., VI, 30 aprile 2002 n. 2302).

3.4. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire per ciò che concerne l’eccezione di difetto dell’interesse azionato, con riferimento al secondo motivo di gravame, sollevata da Grandi Stazioni s.p.a. e secondo la quale essa, nel procedimento di riemanazione conseguente all’annullamento del bando impugnato, potrebbe ricorrere ad un appalto integrato in un unico lotto, che, di fatto, richiederebbe gli stessi requisiti di partecipazione di quelli oggi censurati.

Ora, in linea di principio, non sfugge al Collegio che la possibilità, per il ricorrente, d’ottenere una decisione nel merito sull’azione proposta è strettamente legata alla sussistenza d’un interesse a ricorrere, connotato dalla personalità e dall’attualità tanto della lesione subita, quanto dal vantaggio ottenibile. È altresì vero che l’interesse a ricorrere sussiste quando non solo l’annullamento dell’atto lesivo sia di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del ricorrente, ma anche se tale annullamento sia idoneo a rimettere in discussione il rapporto controverso, obbligando la P.A. a riesaminare la situazione tenendo conto delle statuizioni implicite scaturenti dall’accoglimento delle censure ritenute fondate.

Erra allora Grandi Stazioni s.p.a. a ritenere insussistente ogni utilità ritraibile dall’accoglimento del secondo mezzo di gravame, perché, a parte le irriducibili differenze tra affidamento a general contractor ed appalto integrato ex art. 19, c. 1, lett. b) della l. 11 febbraio 1994 n. 109, non è ineluttabile il ricorso di essa a quest’ultimo o, perlomeno, non nei termini indicati. Invero, l’art. 16, c. 3, III per. del Dlg 190/2002 prevede che, qualora i progetti che non abbiano le caratteristiche per l’affidamento a general contractor a’sensi del precedente I per., sono sì realizzati con appalto integrato di progettazione esecutiva ed esecuzione, ma in uno o più lotti o, se del caso, con appalto di sola esecuzione, se è stato predisposto il progetto esecutivo, ferma sempre restando la facoltà dell’affidamento in concessione. Come si vede, se è vero che, laddove non vi siano i presupposti per l’affidamento a contraente generale, la stazione appaltante deve motivare la scelta a favore di quello in concessione, ma, dal canto suo, il ricorso all’appalto integrato non è automatico, dovendo esser chiarita la ragione di prevedere uno o più lotti e, in presenza di progetti esecutivi, d’adoperare, o meno, l’appalto di sola esecuzione. Nella specie, per un verso, dall’annullamento del bando non discende necessariamente l’uso dell’appalto integrato e, per altro verso, l’accoglimento della doglianza attorea sull’assenza dell’affermata unitarietà impedirebbe a Grandi Stazioni s.p.a. di ricorrere, in sede di riemanazione, a tale appalto in unico lotto per tutte le stazioni.

3.5. – Infine, eccepisce Grandi Stazioni s.p.a. l’inammissibilità del gravame in epigrafe, non avendo la ricorrente impugnato, con motivi aggiunti, la nota n. 16. 364/2003, depositata agli atti di causa l’8 ottobre 2003 e con cui il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ritenendo sussistenti i presupposti ex art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002, le ha comunicato la facoltà d’avvalersi dell’affidamento unitario a general contractor.

L’eccezione è manifestamente infondata e dev’esser disattesa.

In realtà, la nota in parola non è che una lettera personale del sig. Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, indirizzata all’amministratore delegato di Grandi Stazioni s.p.a., con cui comunica a questi che detta Società «… potrà avvalersi della modalità di affidamento a contraente generale…». Nel testo della lettera stessa, invero laconica, non v’è, a parte la mera citazione della norma, nessun serio dato che non solo motivi, ma addirittura possa consentire d’arguire che il sig. Ministro abbia inteso individuare gli interventi in questione come un evento che realizzi i presupposti cui l’art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002 subordina siffatto tipo d’affidamento. Ancor meno tale lettera si può intendere a guisa d’autorizzazione a Grandi Stazioni s.p.a. in ordine all’uso della procedura del general contractor, specie se letta a fronte dell’articolata ed ampia richiesta di detta Società al riguardo, che, pure, nell’istanza in data 18 aprile 2003 si sforza (in modo inadeguato, ad avviso del Collegio) d’offrire un complesso di ragioni idonee a giustificare l’esistenza dell’interconnessione con altri sistemi di collegamento europei e la complessità dell’intervento realizzando tale da richiedere un’unica logica realizzativa e gestionale, indicata dalla norma.

Per vero, l’art. 16, c. 1, II per. del Dlg 190/2002 attribuisce al Ministro la potestà d’individuare i progetti che possano esser affidati con detta procedura. La norma lascia così intendere che tale potestà ministeriale implica che la scelta sia condotta sulla base, laddove si versi, come nella specie, in una situazione di prima applicazione, del previo accertamento, per tutti i progetti sottoposti all’esame del Ministro stesso, della necessaria compresenza dei vari presupposti, materiali e finanziari, colà indicati. Ebbene, non basta proporre al Ministro un progetto, né, come nel caso in esame, che questi facultizzi Grandi Stazioni s.p.a. ad usare la procedura in contestazione, affinché quest’ultima si renda possibile e legittima. Occorre piuttosto che sussista, prima della concessione di tale facoltà, perlomeno un cenno di condivisione ministeriale della prospettazione del soggetto aggiudicatore ed un’autonoma, sia pur succinta, ma effettiva valutazione dei presupposti predetti. Sicché nessun onere d’impugnazione può sussistere, in capo alla ricorrente, nei confronti d’un atto, quale la nota ministeriale del 28 maggio 2003, che non statuisce alcunché e neppure parafrasa l’art. 16, c. 3, I per., onde nulla aggiunge o toglie circa la bontà, o meno, della scelta concreta di Grandi Stazioni s.p.a. sul punto.

Si potrebbe forse discettare sul fatto che nella specie il sig. Ministro nulla abbia potuto statuire perché, in realtà, Grandi Stazioni s.p.a. non gli ha fornito un quadro seriamente preciso sull’intera vicenda. Per vero, detta Società sembra essersi profusa, nella nota del 18 aprile 2003, in una generica, quanto ridondante argomentazione sulla necessità d’un unico intervento per garantire identici standard costruttivi e qualitativi, di per sé non sufficiente, né idoneo a giustificare l’accorpamento degli interventi per tutt’e tredici le stazioni coinvolte, collocate in situazioni geografiche, ambientali, urbanistiche, architettoniche e costruttive notoriamente quantomai differenti. Ma, pure se così fosse e così appare al Collegio, ciò non cambierebbe il contenuto e gli effetti della nota ministeriale in esame, né tampoco fonderebbe un più forte onere d’impugnazione di essa da parte della ricorrente.

4.1. – Nel merito, il ricorso in epigrafe è fondato e, come tale, è meritevole d’accoglimento, nei limiti e per le considerazioni qui di seguito indicati.

4.2. – Va accolto il primo mezzo di gravame, con cui la ricorrente si duole che il bando impugnato sia irretito dalla violazione e falsa applicazione del Dlg 190/2002, della l. 109/1994 e dell’art. 3 Tratt. UE e dall’eccesso di potere sotto vari profili.

Al riguardo, la ricorrente deduce in punto di diritto l’indebito ed incongruo accorpamento, non imposto, né suggerito dal CIPE al momento dell’approvazione dei progetti ai fini dell’accesso alle procedure ex art. 1, c. 3-bis della l. 443/2001, di tutti i lavori in un unico lotto. E ciò nonostante le differenze e l’eterogeneità degli interventi, sì da implicare, in capo alle imprese che intendano partecipare alla relativa gara, la necessità del possesso di requisiti molto elevati e, quindi, da restringere eccessivamente la platea dei possibili partecipanti.

Ora, al momento dell’inclusione degli interventi in parola tra le opere strategiche ex l. 443/2001, il CIPE ha chiarito, sotto il profilo infrastrutturale, che «…i progetti definitivi, relativi all’adeguamento funzionale degli “edifici di stazione” mirano a riqualificare detti edifici… e sono riferiti ad opere di messa norma e sicurezza, alla riorganizzazione delle percorrenze ed alla riqualificazione funzionale, all’introduzione di nuovi elementi architettonici in armonia con un programma di ripristino delle preesistenze…». Inoltre, «… i progetti preliminari riguardano gli interventi per la riqualificazione delle aree delle infrastrutture complementari alle stazioni e comprendono la costruzione di parcheggi di varie tipologie…, la realizzazione di infrastrutture da destinare a servizi, la sistemazione di aree esterne, soprattutto in relazione all’ interscambio con altri sistemi di trasporto pubblico e privato, e la creazione di sistemi di videosorveglianza finalizzati a riqualificare i complessi di stazione sotto l’aspetto della sicurezza…». Il CIPE afferma altresì che «…le diverse tipologie di intervento, caratterizzate da un diverso grado di progettazione e considerate distintamente nell’istruttoria svolta dal Ministero…, presentano caratteri di unitarietà nell’ àmbito delle singole stazioni anche in relazione alla sensibilità delle aree interessate da interventi, da articolare in lotti funzionali estremamente interconnessi al fine di garantire costantemente la piena fruibilità dell’edificio di stazione e dei relativi servizi ferroviari…».

4.3. – Già da tali elementi il Collegio ritiene d’evincere, per sgombrare il campo da ogni equivoco sul punto, che il CIPE, ben lungi dal prender partito in modo netto circa ed a favore della riunione di tutti i lotti di tutte le stazioni coinvolte in un unico appalto, si limita a segnalare l’unitarietà sì d’entrambe le tipologie d’intervento, ma con riguardo all’«…àmbito delle singole stazioni …».

In altri termini, il CIPE, in relazione all’istruttoria ministeriale sui progetti de quibus, ha voluto se non fissare, certo chiarire in modo non equivoco il contenuto minimo degli interventi stessi, indicando nella singola stazione ferroviaria l’elemento fisico ed economico di riferimento per l’aggregazione minima ottimale «…dei lotti funzionali estremamente interconnessi…». Non a caso il CIPE, pur prendendo atto che il Ministero relatore conferma il carattere unitario del programma in parola, non statuisce in tali termini, tant’è che, oltre al riepilogo generale delle somme stanziate per tutte le stazioni coinvolte, fornisce i dati finanziari disaggregati per ciascuna stazione e per ciascun intervento infrastrutturale complementare. Non vieta certo il CIPE, in linea di mero principio, una modalità d’intervento coordinato per pluralità di stazioni coinvolte, ma ne lascia la decisione al soggetto aggiudicatore in sede d’esecuzione, secondo ovvi criteri di ragionevolezza e di congruenza al fine, fermo il rispetto di tale soglia minima. Ad una serena lettura delle vicende di causa, come fa notare la ricorrente, l’accorpamento di tutti gli interventi per tutte le stazioni in parola non discende quindi da una volizione ferma ed in terminis né del CIPE, né tampoco del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Certo, quest’ultimo esprime l’avviso per cui non si può «… prescindere da una visione unitaria del quadro degli interventi, soprattutto a causa di fattori quali: i tempi ed i modi di realizzazione degli interventi che hanno effetti diretti sui relativi fabbisogni finanziari di autorizzazione alla spesa…». Invero, l’«…unitarietà dei vari interventi…» discende dal fatto che essi sono tutti «…orientati alla standardizzazione ed ottimizzazione di servizi connessi al trasporto e quelli destinati ai cittadini, esaltando la funzione primaria di nodo trasportistico, promuovendo l’intera area di stazione…»

Tuttavia, la giusta enfasi, con cui il Ministero sottolinea il carattere strategico degli interventi in esame ¾peraltro mai revocato in dubbio, tant’è che, proprio per questo, il CIPE se n’è occupato¾, non dimostra, con ciò condividendosi la prospettazione attorea, che l’unitarietà della loro ideazione e del loro finanziamento sia un dato logico-argomentativo dirimente, tale, cioè, da giustificare comunque e da solo l’ impugnato accorpamento. Rettamente la ricorrente fa rilevare l’assenza di un razionale presupposto d’ordine sia territoriale, sia funzionale ¾relativo, cioè, alla tipologia dei lavori da effettuare nei singoli contesti in cui pur sempre l’aggiudictario dovrà operare¾, che giustifichi la scelta impugnata. Non basta allora predicare l’unitarietà strategica degli interventi per dimostrare la necessità di trattarli tutti in un unico appalto. Occorre piuttosto dimostrare, sia pur succintamente, ma con serietà, che il piano industriale proposto al CIPE, se non imponga, certo suggerisca maxime preferibile l’accorpamento a fronte di altre soluzioni industriali possibili e parimenti coerenti con la natura strategica degli interventi; e che l’eterogeneità dei lavori appaltandi, pur se da realizzare in contesti geografici, urbanistici ed architettonici variegati ed irriducibili, sia un costo comunque superabile dai benefici dell’unica procedura.

In particolare, essendo la procedura ex art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002 derogatoria e di stretta interpretazione, è onere del soggetto aggiudicatore, se reputa preminente l’interesse di ricorrervi ¾rispetto a quello, anch’esso di natura pubblica, di non restringere quanto più è possibile il confronto concorrenziale tra le imprese di settore¾, sottoporre al Ministro un’adeguata descrizione della complessità dell’intervento tale da richiedere un’unica logica realizzativa e gestionale. Quest’ultima, ad avviso del Collegio, non si sostanzia già nella predisposizione di un’unica strategia aziendale, né nell’accentuazione solo degli elementi unificanti del progetto generale d’intervento, certamente sempre rinvenibili. Essa comporta piuttosto, affinché il Ministro possa aver seria contezza della natura e della qualità del progetto complessivo e dei singoli interventi, l’evidenziazione dei fattori critici di disomogeneità e dei metodi per risolverli. Infatti, se è ben vero che non è sempre illegittima la sommatoria dei vari interventi in un unico grande progetto, questo risultato non è liberamente raggiungibile, né è quello preferito dalla legge, di talché l’innalzamento della soglia di partecipazione delle imprese alla gara dev’esser la risultante di un’esigenza ponderata, razionale e proporzionata al fine, non un obiettivo da realizzare comunque.

Al riguardo, non sembrano richiamati a proposito dalle parti resistenti due arresti giurisprudenziali (ossia Cons. St., V, 26 marzo 2003 n. 1574; id., 21 novembre 2003 n. 7620), laddove s’afferma che «… non esistono rigidi ed espressi divieti volti ad impedire che più opere possano formare oggetto di un unitario affidamento alla stessa impresa, sulla base di un’unica gara…». Subito dopo questo principio in sé condivisibile, il Consiglio di Stato si premura di precisare, con valutazione anch’essa fatta propria dal Collegio, non solo che «… è sempre possibile dimostrare, di volta in volta, che l’accorpamento sia irragionevole o ingiustificato, oppure diretto ad aggirare i principi della concorrenza…», ma anche che «… occorre considerare attentamente la netta distinzione tra gli appalti per la progettazione e per la realizzazione delle opere, da un lato, e il servizio strumentale concernente la verifica tecnica degli elaborati e dei documenti allegati…». Il caso trattato in quelle sedi riguardava, infatti, il rigoroso e circoscritto accorpamento dell’appalto relativamente non già alle opere, bensì al predetto servizio strumentale, che, con ragione, la stazione appaltante aveva inteso riunire per tutte le gare d’appalto d’opera, rimaste, invece, distinte.

Per vero, non è intuitiva, né necessaria la relazione biunivoca tra siffatta unitarietà ed un accorpamento purchessia di tutti gli interventi per tutte le stazioni ferroviarie, tant’è che pure il trattamento di essi mercé una pluralità di gare, contestuali nei tempi, similari nelle procedure e riunite per lotti e scopi omogenei, non è di per sé fonte di ritardi nel raggiungimento dell’obiettivo, né nell’erogazione dei finanziamenti occorrenti. Anzi, una soluzione siffatta, non vietata, né esclusa dagli atti presupposti al bando impugnato, non viola il principio, direttamente discendente dall’ art. 97 Cost., secondo cui l’attività amministrativa in materia di gare di lavori pubblici dev’esser improntata a criteri, oltreché di trasparenza e di massima partecipazione (con riguardo, ovviamente, all’oggetto della gara stessa), d’efficienza, efficacia e tempestività, secondo procedure che realizzino il rispetto del diritto comunitario e della libera concorrenza degli operatori ex art. 1 della l. 109/1994. Detta soluzione, nella misura in cui parifica i tempi e le modalità di tutte le procedure mercé lotti adeguati anche all’effettiva realtà del mercato, è anch’essa idonea a rispondere, non diversamente dall’affidamento dell’appalto ad un contraente generale, all’esigenza, non infondatamente avvertita dalla stazione appaltante (cfr. pag. 15 della memoria depositata l’8 ottobre 2003), d’ assicurare l’omogeneità dei comportamenti in ognuna delle tredici stazioni considerate, nonché della puntuale e corretta applicazione delle stesse modalità operative per tutti e per ciascun intervento. E ciò s’appalesa ancor più significativo, se si considera che siffatta esigenza, descritta nella citata istanza di Grandi Stazioni s.p.a. in data 18 aprile 2003, muove sì dal concetto per cui i singoli interventi sono parte d’un insieme sistematico di opere ¾che trovano il loro fattore di successo solo se tutti i nodi della rete ferroviaria, costituiti dalle grandi stazioni ferroviarie, raggiungano un’ elevata efficienza e qualità funzionale¾, ma tale obiettivo si raggiunge appunto con identici standard costruttivi e qualitativi, più che con un’unità forzata.

5. – Da accogliere è, sia pur con le precisazioni di cui appresso, il secondo motivo di ricorso, con cui l’ANCE lamenta l’illegittimità dell’affidamento della gara in esame a contraente generale, in quanto, in sede di prima applicazione della disciplina ex Dlg 190/2002, non è possibile utilizzarla in difetto dei rigorosi presupposti legittimanti indicati dall’art. 16, c. 3 e non rinvenibili nella predetta delibera CIPE.

Com’è noto, l’art. 6 del Dlg 190/2002 consente, in deroga all’art. 19 della l. 109/ 1994, l’affidamento della realizzazione delle grandi opere strategiche ex l. 443/2001 o con concessione di costruzione e gestione, oppure in modo unitario a contraente generale. Tuttavia, non è in contestazione tra le parti che, nella specie, si versi in un caso di prima applicazione, che giustifica il ricorso al successivo art. 16, c. 3, I per. solo in presenza, tra l’altro, del presupposto della soglia minima di € 250.000.000 quale importo a base d’asta.

Ora, non sfugge al Collegio, aldilà dell’articolazione del ricorso in epigrafe in più motivi, la stretta connessione tra il predetto accorpamento e l’uso della procedura ex art. 16, c. 3 del Dlg 190/2002. Ma ciò, ad avviso del Collegio, s’appalesa più l’unico metodo utile per raggiungere la soglia dell’importo minimo previsto dalla norma citata in sede di prima sua applicazione, che una meditata scelta aziendale di Grandi Stazioni s.p.a., risultante dalla razionale disamina di obiettivi, mezzi a disposizione, finanziamenti e disponibilità di soggetti attuatori nel mercato. Accorpamento di tutti i lavori in un unico atto ed affidamento a general contractor, pur se ontologicamente distinti, in concreto si tengono l’un l’altro, nel senso che, nella specie, senza il raggiungimento di tale soglia grazie al primo, il secondo non potrebbe esser legittimamente utilizzabile. E che si tratti d’una scelta non indotta dalle cose, ma di diretta volizione di Grandi Stazioni s.p.a. non par dubbio, soprattutto se si tien conto, come s’è accennato sopra, che il CIPE ha sì ritenuto strategici gli interventi in esame, ma non ne ha riscontrato l’unitarietà dei progetti in un ambito più esteso di ciascuna singola stazione ferroviaria considerata. Si può discettare sull’esistenza d’una reale necessità di prevedere, in sede di prima applicazione dell’art. 16, c. 3, I per., oltre a requisiti tecnici (interconnessione con altri sistemi di collegamento europei; complessità dell’intervento tale da richiedere un’unica logica realizzativa e gestionale; estrema complessità tecnico-organizzativa) già da soli di non facile occorrenza, anche l’indicata soglia minima, per i progetti appaltandi. Tale regola di garanzia, però, è stata voluta dal legislatore con una scelta forse opinabile sotto il profilo del contenuto, ma di per sé non manifestamente irrazionale e tale da non consentirne il rinvio al Giudice delle leggi e, quindi, non legittimamente aggirabile dal soggetto aggiudicatore con la forzatura dei dati materiali per raggiungere comunque tali requisiti.

Anche a voler seguire l’impostazione di Grandi Stazioni s.p.a., come manifestata nella sua nota del 18 aprile 2003, rettamente la ricorrente esclude che si possano rinvenire, negli interventi sottoposti alla determinazione del CIPE, le caratteristiche dell’unica logica realizzativa e gestionale e dell’estrema complessità tecnico – organizzativa, che contemporaneamente devono sussistere affinché il ripetuto art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002 consenta l’affidamento a general contractor in alternativa alla concessione ex art. 19, c. 2 della l. 109/1994. Non l’unica logica realizzativa e gestionale, perché, come ben evincesi dalla relazione di sintesi della Segreteria tecnica del sig. Ministro delle infrastrutture, gli interventi sono sì raggruppabili, sotto il profilo descrittivo, per categorie omogenee di lavori, ma poi, scendendo al dettaglio e aldilà del mero dato della non contiguità geografica dei siti interessati (di per sé solo poco significativo), nonché della differenza tra progetti definitivi per gli edifici di stazione e progetti preliminari per le infrastrutture complementari, ciascuna stazione ne abbisogna di alcuni e non di altri, anche per l’estrema varietà delle effettive esigenze d’ognuna di esse e dei tempi occorrenti per la realizzazione delle opere nei singoli siti (cfr. pag. 11 della relazione). Non l’estrema complessità tecnico – organizzativa, perché tali opere, assodati il loro valore strategico e l’effettivo incremento, per tutti i siti, della funzionalità delle stazioni e dell’accessibilità del tessuto metropolitano al sistema stazione (con conseguente maggior integrazione tra questo e tessuto urbano) che la loro realizzazione comporta, notoriamente rientrano tutte nell’ordinario ed attuale bagaglio delle conoscenze ingegneristiche ed architettoniche ¾anche per ciò che attiene ai sistemi di sicurezza e all’approntamento di cantieri in aree critiche e/o a grande afflusso di traffico¾, di cui v’è ampia disponibilità tra le imprese associate alla ricorrente, onde non v’è prima facie un’evidente ragione di restringerne la partecipazione alla gara.

Né erroneamente la ricorrente liquida in poche parole la disamina del requisito dell’interconnessione con altri sistemi di collegamento europei, che, com’è noto, è alternativo a quello testé esaminato. Infatti, di tale aspetto non v’è cenno, oltre che nella delibera CIPE, né nell’istanza di Grandi Stazioni s.p.a. in data 18 aprile 2003, né tampoco nella successiva nota ministeriale, essendo stato ritenuto prevalente ed assorbente l’altro requisito di cui sopra. In tal caso, il Collegio non può occuparsi di una questione che, pur se rilevantissima ai fini della corretta applicazione dell’art. 16, c. 3, I per. del Dlg 190/2002, non ha formato oggetto dell’atto impugnato, né di specifica censura da parte della ricorrente. Pertanto, l’esame sulla sussistenza concreta di tale requisito non è coperta dal presente giudizio e resta, intatto, nella disponibilità di Grandi Stazioni s.p.a. nella sede di doverosa riemanazione conseguente alla presente sentenza.

6. – Il ricorso in epigrafe va perciò accolto nei termini testé evidenziati, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, accoglie il ricorso n. 8232/2003 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei soli sensi di cui in motivazione, il bando di gara impugnato e meglio indicato in premessa, con salvezza degli ulteriori atti in sede di riemanazione.

Spese compensate.

Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12 febbraio 2004.