Realizzazione delle opere di urbanizzazione nella sentenza della corte europea

di 25 Maggio 2005 Urbanistica

Articolo tratto da Urbanistica–Informazioni N.181/2002 (INU Edizioni)

 
 
1. La giurisprudenza comunitaria è indubbiamente destinata a lasciare nell’ordinamento giuridico un segno che va molto al di là degli effetti che può determinare direttamente tra le parti in causa. La VI Sezione della Corte di giustizia europea, con sentenza 12 luglio 2001 (1), decidendo ai sensi dell’art. 177 del Trattato Ce, su domanda di pronuncia pregiudizale proposta dal Tar Lombardia con ordinanza 11/6/1998, ha affermato infatti che la direttiva 14 giugno 1993, 93/37/Cee (che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori) confligge con una parte della nostra normativa nazionale (e regionale) in materia urbanistica. Si tratta della parte ove – al di fuori delle procedure previste dalla succitata direttiva comunitaria – si consente al titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione la realizzazione diretta di opere di urbanizzazione “a scomputo” (totale o parziale) dei contributi dovuti per il rilascio della concessione; nel caso in cui, precisa la Corte, il valore di tali opere eguagli o superi la soglia fissata dalla direttiva (ovvero 5 m. euro).
Va subito notato che la limitazione quantitativa all’ambito di applicazione del principio enunciato, posta dalla soglia comunitaria (in effetti un importo elevato per le urbanizzazioni solitamente riscontrate nei piani di lottizzazione minori, quelli più ricorrenti, ma non certo elevato per i più impegnativi strumenti di riqualificazione urbana, come ad esempio i Priu), se da un lato circoscrive la portata oggettiva della sentenza, dall’altro pone non di meno una questione che, almeno in via di principio e per esigenze di coerenza del sistema, è indubbiamente suscettibile di riverberarsi anche sulle opere di urbanizzazione sotto soglia. In altri termini non si vede per quali ragioni ciò che vale per i grandi interventi, sul piano della trasparenza e della concorsualità, non dovrebbe invece correlarsi anche per quelli di minore importo. Si tratta comunque di una questione che potrà trovare un’idonea risposta solo in sede di formazione della nuova normativa urbanistica.


2. Giova qui brevemente ricordare che la pronuncia della Corte di giustizia interviene a seguito di un ricorso proposto nell’autunno 1996 al Tar Lombardia, Sezione di Milano, dall’Ordine degli Architetti di Milano e Lodi (con il CNA) contro l’Amministrazione comunale di Milano, al fine di ottenere in particolare l’annullamento di due deliberazioni della Giunta inerenti l’approvazione dei progetti e la convenzione tra il Comune e gli importanti operatori privati interessati alla progettazione e realizzazione del progetto “Scala 2001” (noto anche come “Teatro della Bicocca”).
Il contesto normativo statale e regionale che la sentenza della Corte ha dovuto prendere in esame, in materia di atti diretti all’abilitazione edificatoria, comprende in primo luogo l’art. 1 L 10/1977, che quale prevede che ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione edilizia onerosa. L’art. 11 della L 10/1977 dispone, al primo comma, che a scomputo totale o parziale della quota dovuta il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune. Analogamente, l’art. 31 L 1150/1942, modificato dalla L 765/1967, prevede che la concessione della licenza (allora) è subordinata all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria, o alla previsione da parte del Comune di attuarle nel triennio, o all’impegno dei privati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alle costruzioni oggetto della licenza.
Il meccanismo normativo dello scomputo è ripreso anche nella disciplina regionale, in Lombardia dall’art. 8, Lr 60/1977, ove appunto si prevede che i privati, a scomputo totale o parziale del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione, possono chiedere di essere autorizzati a realizzare direttamente una o più opere di urbanizzazione primaria o secondaria, qualora sia riconosciuto di interesse pubblico la realizzazione diretta di tali opere. Nella pianificazione urbanistica attuativa l’art. 28 L 1150/1942, anch’esso modificato dalla L 765/1967, prevede entro dieci anni la realizzazione da parte del lottizzante delle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di secondaria in base ad una convenzione urbanistica. Anche qui la normativa regionale ha ripreso lo stesso sistema, e l’art. 12, Lr Lombardia 60/1977 (modificata dalla Lr 31/1986) dispone appunto che la convenzione di lottizzazione debba prevedere, fra l’altro, la realizzazione a cura dei proprietari di tutte le opere di urbanizzazione primaria e di quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria, o di quelle necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; e ove la realizzazione delle opere comporti oneri inferiori a quelli previsti distintamente per la urbanizzazione primaria e secondaria dovrà essere corrisposta la differenza.
E’ da sottolineare che la stessa norma regionale prevede inoltre che al Comune spetta in ogni caso la possibilità di richiedere, anziché la realizzazione direttapagamento di una somma commisurata al costo effettivo delle opere di urbanizzazione inerenti alla lottizzazione, nonché all’entità ed alle caratteristiche dell’insediamento. Tale monetizzare delle opere di urbanizzazione presuppone ovviamente che il Comune proceda poi a realizzarle, mediante le ordinarie procedure di appalto.
Una possibilità che è certamente di interesse sottolineare oggi, dopo la sentenza della Corte di giustizia, ma che va pure detto esiste in Lombardia da oltre tre lustri, e che non a caso è stata introdotta vent’anni dopo la corrispondente norma statale. Tale norma regionale è stata del resto anche oggetto di pronunciamenti del Tar, che ha avuto occasione di affermare, ad esempio, che: “il Comune, una volta fatta la scelta di far eseguire al lottizzante alcune opere di urbanizzazione primaria, con conguaglio in sede di rilascio della concessione sulla base delle tariffe degli oneri in quel momento vigenti, non può richiedere anche il costo effettivo di altre opere di urbanizzazione primaria che andrà ad eseguire direttamente” (Tar Lombardia, Sez. II, sent. n. 2619 del 13/11/1998, Laura s.r.l. contro il Comune di Bollate e n.c. Consorzio acqua potabile della Provincia di Milano).
Quanto sopra consente comunque di annotare come la normativa lombarda del 1986 contenga già la previsione di un possibile meccanismo di attuazione del piano di lottizzazione che, se adottato, risulta in linea con i princìpi affermati poi in sede comunitaria e richiamati giustamente dalla Corte di giustizia. Certamente è però necessario che il Comune si orienti a favore di tale opzione, in luogo della realizzazione diretta delle opere che, in base alla normativa regionale citata, è solo una delle possibilità, per così dire secondaria.
delle opere, il


3. Il presupposto giuridico da cui muove la Corte di giustizia è in sintesi aver ritenuto che gli accordi stipulati nell’ambito di una convenzione di lottizzazione (come quella di specie) siano sufficienti a che “sussista l’elemento contrattuale” (appunto richiesto dall’art.1/a della direttiva). Su tale presupposto la Corte conclude nel senso che la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione, secondo le condizioni e le modalità previste dalla normativa italiana in materia urbanistica, costituisce “un appalto di lavori” ai sensi della più volte citata direttiva comunitaria. Ne consegue che, nel caso in cui l’importo stimato dell’opera eguagli o superi (Iva esclusa) la soglia fissata dall’art. 6 n. 1 della direttiva, quest’ultima trova applicazione.
La sentenza precisa inoltre che ciò non significa che, per garantire il rispetto della direttiva, debba essere necessariamente l’amministrazione comunale ad applicare le procedure di aggiudicazione previste dalla direttiva. La Corte sostiene infatti che lo stesso effetto utile sarebbe garantito qualora la normativa nazionale consentisse al Comune di obbligare il lottizzante, mediante accordi stipulati con questo, a realizzare le opere pattuite ricorrendo alle procedure previste dalla direttiva. In questo caso il lottizzante deve essere infatti considerato come titolare di un mandato espresso conferito dal Comune ai fini della costruzione dell’opera (la possibilità di applicare le regole di pubblicità da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici è espressamente prevista dall’art. 3, n. 4 della direttiva, in caso di concessione di lavori pubblici).

4. La sentenza in esame appare ancor più significativa, se si considera che è stata assunta nonostante il diverso parere espresso dall’Avvocato generale (Philippe Leger), che nelle sue conclusioni, presentate il 7/12/2000, ha fra l’altro affermato che l’art. 1/a della direttiva, nel coordinare le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, non si oppone a una normativa nazionale la quale prevede che, allorché l’attuazione di un piano di lottizzazione rende necessari lavori di costruzione di un’attrezzatura collettiva, “spetta al titolare della concessione edilizia procedere a questi lavori, a sue spese, in contropartita dell’esenzione dal pagamento del contributo dovuto al Comune a titolo della concessione edilizia, a meno che il Comune non decida di riscuotere il contributo in sostituzione della realizzazione diretta dei lavori, senza fare ricorso all’applicazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previsti da tale direttiva”. Tale opinione è stata però motivatamente disattesa dalla Corte di giustizia.
Del resto anche l’Avvocato generale aveva rilevato che: “si può temere che il moltiplicarsi di normative (analoghe a quella italiana sullo scomputo, ndr) negli Stati membri finisca per privare di efficacia la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici. Gli Stati membri possono essere tentati di inserire nella loro normativa in materia urbanistica categorie intere di opere pubbliche al fine di sottrarle al diritto comunitario degli appalti pubblici, considerato restrittivo e costoso in tempo e denaro. La posta in gioco nel dibattito avviato circa una normativa nazionale che presenta queste caratteristiche non deve pertanto essere sottovalutata”.
La posizione espressa dall’avvocatura generale appare particolarmente discutibile quando, inter alia, afferma che: “solo i rapporti tra il lottizzante e l’imprenditore (che realizza le opere di urbanizzazione per conto del lottizzante, ndr) hanno carattere oneroso e non i rapporti tra il lottizzante e il Comune. Il rapporto contrattuale che assomiglia maggiormente al caso di specie considerato dalla direttiva è quello che esiste tra il lottizzante e l’imprenditore. Pertanto i rapporti tra il Comune ed il lottizzante non possono essere qualificati come rapporto giuridico a titolo oneroso ai sensi della direttiva”. In realtà, se si guarda alla sostanza delle cose, le opere di urbanizzazione vengono realizzate a scomputo del contributo di concessione, e quindi non si vede come si possa considerarle non onerose.

5. Certamente la sentenza apre scenari nuovi (preoccupanti, secondo alcuni) per le amministrazioni e per gli operatori, soprattutto per quelli meno orientati al cambiamento. Qualcuno ha già osservato che essa pone questioni al legislatore e agli operatori pubblici e privati, rispetto alla gestione consensuale delle trasformazioni urbane, e si è addirittura affermato che l’applicazione del principio introdotto dalla Corte di giustizia mina il nuovo sistema di pianificazione concordata e di contrattazione pubblico/privato. Tale posizione è senz’altro eccessiva ed ingiustificata. Bisogna semmai rendersi conto che la sentenza non mette certo in crisi la possibilità di convenzionare, tra amministrazione e privati, l’impegno a curare la realizzazione delle opere di urbanizzazione ma, ben diversamente, pone la questione del modo con il quale realizzarle. All’esecuzione diretta si antepone l’esecuzione indiretta, mediante procedure di gara a evidenza pubblica (condotte dall’amministrazione o dallo stesso privato, che dovrà però rispettare la disciplina imposta dal principio comunitario della libera concorrenza).
Come recentemente ha rilevato la dottrina giuridica più attenta si tratta, in definitiva dell’emergere del “conflitto tra proprietà e imprenditorialità o, meglio, tra proprietari, che tendono a massimizzare il loro profitto attraverso l’esecuzione diretta delle opere, e operatori economici, che richiedono di poter accedere al mercato delle opere pubbliche attraverso procedimenti di evidenza pubblica che assicurino la massima concorrenzialità” (2). Oltre a ciò, e a maggior ragione, va rilevato che non è in gioco solo il principio della libera concorrenza, ma anche l’interesse pubblico, dato che l’importo delle opere è oggetto di scomputo dal contributo (a prescindere dal fatto che spesso il valore delle prime superi l’importo dei secondi, ma non è detto che sia sempre così). La succitata dottrina conclude osservando acutamente (un anno prima della sentenza) che se dall’obbligo convenzionale emerge a carico dei privati l’impegno di dotare il territorio di beni pubblici ritenuti dall’amministrazione essenziali per l’interesse pubblico generale, “la modalità di realizzazione di tali opere è attratta dalla disciplina comunitaria, che ne impone l’esecuzione mediante sistemi di evidenza pubblica”.

6. Per un corretto inquadramento del modus di realizzazione (diretta o mediante procedura ad evidenza pubblica) delle opere di urbanizzazione (da considerarsi opere pubbliche), va anche ricordato come “non v’è dubbio che la localizzazione di un opera pubblica rientri nella materia urbanistica e ne costituisca uno dei più tipici contenuti; tuttavia, è del pari evidente che tutto ciò che attiene al suo finanziamento ed alla sua realizzazione non interessi affatto l’urbanistica medesima, ma rientri in materia completamente diversa ed autonoma” (3). Ciò non di meno, proprio in materia di programmi complessi (ove più che in altri strumenti si sperimentano nuovi moduli di concertazione tra pubblico e privato), si registra oggi, da parte degli osservatori, uno scollamento tra piano urbanistico e programmazione delle opere pubbliche (4).
La consensualità nelle procedure urbanistiche non può avvenire al di fuori delle regole comunitarie e dei princìpi del giusto procedimento. Piuttosto che lamentare contro l’ineccepibile intervento del giudice comunitario, sarà opportuno che certi censori, evitando inutili polemiche, si pongano semmai la questione della legittimità di certe prassi, purtroppo oggi assai diffuse.
Esclusi alcuni casi regionali (es. l’Emilia Romagna, con la Lur 2000), nel nostro paese manca ancora oggi un quadro preciso di regole per il procedimento di negoziazione urbanistica, che disciplini il ruolo della pubblica amministrazione e quello del privato. “E’ forse opportuno chiedersi come siamo arrivati a questa situazione nel volgere di pochi anni, ossia come sia stato possibile passare, così rapidamente, da un modello in cui qualunque terreno incluso in un piano attuativo era soggetto a espropriazione (in pratica la proprietà privata era del tutto subalterna all’interesse pubblico pianificato), a un modello in cui il privato è, o sarebbe, artefice e realizzatore d’opere pubbliche e interessi pubblici” (5).
Non è esagerato quindi definire storica la sentenza della Corte europea, una sorta pietra miliare che attualizza una questione molto seria, e che il legislatore non può pensare di gestire con i suoi soliti tempi lunghi. Anche in questo caso l’evoluzione del diritto urbanistico appare affidato più alla giurisprudenza che non al legislatore.
E va dato atto all’Ordine degli Architetti (e al Tar Lombardia) di avere per così dire scoperchiato le contraddizioni di una tematica che, prima di essere correlata a prassi amministrative diffusissime a scala nazionale, è questione giuridica di rilevantissima portata e assolutamente urgente. La circostanza che le opere di urbanizzazione rientrino nel mercato delle opere pubbliche, e che dunque si devono ad esse applicare le regole europee sugli appalti pubblici, è un dato di civiltà giuridica e di trasparenza amministrativa che attende ora una compiuta disciplina normativa. Anche in questa ennesima occasione (escludendo la lungimiranza del Tar Lombardia, che ha espresso fondati dubbi sulla questione) il dato che emerge è il ritardo di adeguamento del nostro sistema alla disciplina e agli impegni comunitari. E a chiusura di questa prima riflessione ci si augura che si possa giungere ad un necessario adeguamento normativo in tempi ragionevolmente brevi.


Note

1. La sentenza è pubblicata integralmente, in italiano, nel sito della Corte di giustizia http://europa.eu.int/cj/it/index.htm .

2. Cfr. P. Urbani, Urbanistica consensuale, Torino 2000, p. 87 e ss. Urbani rileva come il rispetto dei meccanismi concorsuali a evidenza pubblica, applicati all’urbanistica consensuale, determinerebbero in definitiva che “il principio che, con qualche forzatura, abbiamo chiamato del mecenatismo non verrebbe così intaccato, ma semplicemente corretto in funzione del principio di concorrenza”.

3. Cfr. P. Stella Richter, Oggetto e contenuto dell’urbanistica: posizione del problema, in Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, 1984, p. 26. Fra gli altri cfr. anche, N. Assini e P. Mantini, Manuale di diritto urbanistico, Milano 1997; F. Pagano, Codice di urbanistica, Milano, 2001; P. Avarello, Dai piani urbanistici alle politiche urbane, in Atti del Convegno “La concertazione urbanistica”, Milano 2000.

4. Cfr. L. Contardi, Programmi complessi e programma triennale: due logiche da coniugare, in UI/178, 2001, p. 35.

5. P. Mantini, Il modello cooperativo pubblico-privato nell’urbanistica e nelle opere pubbliche, in “Lombardia: politiche e regole per il territorio, esperienze in movimento”. Atti della IX RUR Inu, Milano, 2001, p. 31.