Pianificare per accordi. Profili giuridici

di 26 Maggio 2005 Incontri
   
Relazione del prof. Paolo Urbani al Seminario INU Lombardia
"Pianificare per accordi. Finalità, Problemi, Esempi" – 11 maggio 2005

1. Dell’urbanistica per accordi.

La questione dell’urbanistica consensuale è assai complessa. All’urbanistica – che qui per brevità chiamerei “per accordi” – si è arrivati attraverso un percorso lungo e articolato le cui motivazioni di base risiedono in un’esigenza sempre più avvertita di raggiungere attraverso la partecipazione del privato interessato dalle trasformazioni previste dal piano urbanistico il miglior assetto degli usi del territorio visto sempre però nell’interesse generale della collettività. Più recentemente a questa esigenza se ne è aggiunta un’altra: quella di soddisfare contemporaneamente alle trasformazioni la domanda di opere di urbanizzazione che le amministrazioni locali non sono in grado di finanziare totalmente con capitale pubblico. L’accordo pubblico-privato risponde ad entrambi i fini ora richiamati.

Il sistema vigente prevede diverse forme di accordi in funzione urbanistica tra amministrazione e privati, ma questi lungi dal poter essere tutti commassati nel concetto di urbanistica per accordi non solo hanno contenuti ed effetti diversi ma si collocano in fasi diverse del procedimento di pianificazione urbanistica.

Il nostro ordinamento attribuisce all’amministrazione in primis quella comunale ma anche ad altri soggetti attributari di competenze latu sensu pianificatorie (autorità di bacino, autorità paesaggistica, autorità del parco, provincia) il potere discrezionale di conformare i suoli con competenze generali il comune, settoriali i soggetti prima richiamati in rapporto agli interessi tutelati. Il concetto corrente ancor oggi che afferma che “la funzione urbanistica non si contratta” e che oggi va rivisitato con attenzione, vuole proprio significare che spetta al potere pubblico  determinare l’assetto dei suoli in funzione della tutela d’interessi generali o settoriali. La determinazione dell’assetto dei suoli avviene attraverso lo strumento del piano urbanistico se comunale di settore negli altri casi.

2. Gli accordi attuativi di prescrizioni urbanistiche e gli accordi sulle prescrizioni.

Per stare al caso del PRG – e qui faccio riferimento allo strumento disciplinato dalla l.1150/1942 –  abbiamo essenzialmente due categorie di accordi tra PA e privato che comunemente la dottrina ha definito come accordi “a monte” o “a valle” delle prescrizioni urbanistiche.

Nulla questio nei casi in cui l’accordo è a valle delle prescrizioni urbanistiche: convenzioni attuative, convenzioni del TU edilizia, perequazioni, compensazioni: qui non si mette in discussione la cura dell’interesse pubblico “negoziando” l’esercizio del potere discrezionale della p.a. poiché le scelte sono già state prese dall’amministrazione attraverso la fissazione unilaterale delle prescrizioni urbanistiche: il contenuto dell’accordo, se c’è, è già predeterminato dal piano.  E in questi casi l’amministrazione agisce nel rispetto del principio di legalità, né può chiedere oneri o prestazioni esorbitanti al privato in fase di accordo. In altre parole, le regole generali sono già fissate anche se residua uno spazio per l’accordo per la fissazione di regole specifiche.

Diversi sono gli altri casi (accordi premiali, di scambio, accordi ad evidenza pubblica) che sono già previsti da parte della legislazione regionale e statale e che nella prassi esistono e riguardano i numerosi processi di trasformazione urbana.

La prassi ci dice che si tratta di accordi “sulle” prescrizioni urbanistiche o preparatori o procedimentali nei quali l’amministrazione – secondo l’art.11 della l.241/90 – in accoglimento di osservazioni o proposte può concludere tali accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale o in sostituzione di questo. Come sappiamo il contenuto di questi accordi è in funzione della variazione del piano poiché la diversa conformazione del territorio richiesta comporta nuovi o diversi diritti edificatori e nuovi impegni dei privati non previsti dal piano urbanistico (effetto e consolidamento dell’accordo ratificato dal consiglio comunale). Si tratta cioè, sempre secondo la più attenta dottrina, di “codeterminazione” degli assetti urbanistici pubblico-privato a monte delle vigenti norme di piano, concordate proprio in funzione della modificazione degli assetti esistenti.

Il contenuto di questa tipologia di accordi, tuttavia, non sarebbe condizionato dalle disposizioni del piano, proprio perché non previsto, e sarebbe quindi “esposto” ad una logica di “urbanistica contrattata” che si muoverebbe nell’ambito di un puro scambio tra beni immateriali (diritti edificatori) e prestazioni onerose a carico del privato derivanti dalla migliore urbanizzazione dell’area.

La giurisprudenza si é espressa in questi casi a favore del privato ragionando sull’appropriatezza della controprestazione ed il suo giusto rapporto con l’impegno dell’amministrazione, configurando in qualche caso la fattispecie dell’eccesso di potere. Ma si tratta di casi giurisprudenziali minori più che altro relativi al calcolo degli oneri urbanizzativi in fase di rilascio del permesso di costruire non su questioni più generali legate a “programmi complessi”.

La dottrina giuridica ha invece puntato il dito proprio sulla mancanza di regole preventive nel determinare l’oggetto degli accordi di scambio: gli accordi – si dice – non sono in alternativa al potere amministrativo, ma anzi le condizioni della loro ammissibilità vanno definite alla stregua delle norme dettate per l’esercizio del potere[1].

Né cambia questa prospettiva la modifica della l.241/90 – art.1 bis introdotto dalla l.15/2005 – li dove si afferma che la P.A. nell’adozione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le regole del diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente, poiché l’amministrazione agisce sempre e comunque nel perseguimento del pubblico interesse.

Chi ha esperienza di riconversione urbana sa bene che, per la maggior parte, gli accordi sulle prescrizioni urbanistiche sono in realtà a tutto danno dell’amministrazione e non del privato, trattandosi spesso di scambi “ineguali” e con pregiudizio dell’interesse pubblico generale.

Le amministrazioni locali più sensibili al problema ed anche per evitare il rischio dell’eccesso di potere ma soprattutto quello ben più grave dell’abuso d’ufficio, si sono determinate preventivamente fissando le invarianti degli accordi con delibere del consiglio comunale. In una delle tante decisioni comunali  – quella ad es. del comune di Padova  – si afferma che l’amministrazione – superata positivamente la valutazione urbanistica dell’intervento complesso proposto – stabilisce che ai fini della valutazione della “convenienza economica” determinata dallo scambio tra diritti edificatori ed opere pubbliche di mecenatismo (ovvero quelle oltre gli standards urbanistici di progetto) la quota del plusvalore complessivo (corrispondente alla somma della convenienza pubblica e di quella privata) non dev’essere inferiore, per l’amministrazione, al 60%.

Un’impostazione teorica di questo genere e per di più generalizzata a tutte le specie di trasformazione urbana lascia alquanto perplessi perché rimette le scelte di pianificazione territoriale tutte al contenuto del contratto[2], frutto della quantificazione dei volumi edificatori e delle sue tipologie d’uso posti in stretto rapporto non solo con la tipologia delle opere non preventivamente determinate ma anche con il costo delle opere pubbliche concordate, senza contare che si pone – come è evidente – un problema di calcolo dei costi delle opere pubbliche per la cui realizzazione non si prevede che questi siano sottoposti a procedimenti di evidenza pubblica per la cui realizzazione si potrebbero spuntare prezzi più vantaggiosi per l’amministrazione, come invece previsto dalle modifiche apportate all’art.2 della l.Merloni dalla l.166/2002.[3]

In realtà secondo l’ordinamento urbanistico vigente è il contratto che deve adeguarsi alle scelte di pianificazione territoriale non viceversa. Di conseguenza non pare legittimo che l’amministrazione si autovincoli in linea generale e astratta nelle scelte di pianificazione territoriale a calcoli economici poiché in tal modo abdica al proprio potere discrezionale di pianificazione degli usi del suolo che richiede invece soluzioni caso per caso. Cosicché nell’ambito dei programmi complessi in contrasto con lo strumento urbanistico occorrerebbe che l’amministrazione prima di procedere a qualunque accordo con il privato ai fini della determinazione del suo contenuto, si esprima preventivamente sui termini del possibile scambio indipendentemente dalle proposte presentate dal privato. In tal senso alcune amministrazioni – in presenza di un piano regolatore vigente – hanno previsto con delibera del consiglio comunale la individuazione di “ambiti di trasformazione” oggetto di possibili variazioni di piano, nei quali sono già fissate le condizioni di riconversione urbana ed il menù delle opere pubbliche necessarie a coprire quel territorio di dotazioni territoriali.

Come si vede, si tratta sempre e comunque di conservare in capo all’amministrazione  la fissazione delle “regole” urbanistiche da adottare.

E’ questo a mio avviso il senso della modifica dell’art.11 della l.241/90 – art.4 bis – li dove si afferma che a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa in tutti i casi in cui la P.A. conclude accordi nelle ipotesi previste dal comma 1, la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo competente all’adozione del provvedimento. Si tratta cioè di un atto che fissa le invarianti per la P.A. della deliberazione a contrattare oltre che a garantire la trasparenza dell’azione amministrativa.

E’ appena il caso di ricordare che qualche amministrazione in casi molto più semplici e non ancorati a richieste di programmi complessi in deroga al PRG, ma per sopperire comunque alla carenza di servizi d’area, ha adottato anche un criterio diverso prevedendo ad es. che in particolari situazioni, il piano urbanistico preveda che al privato sia imposto il raddoppio degli oneri di urbanizzazione: operazione a mio avviso illegittima in presenza di un pRG tradizionale articolato per zone cui corrispondono determinati oneri di urbanizzazione, poiché si crea una palese discriminazione tra proprietari, censurabile con ampia possibilità di successo davanti al giudice amministrativo. In questo caso il problema dovrebbe spostarsi sulla determinazione delle tabelle parametriche ai sensi dell’art.16 del TU edilizia che la regione definisce per classi di comuni in relazione, tra l’altro, alle destinazioni di zona previste dagli strumenti urbanistici vigenti, ed agli standards urbanistici fissati dalla legge regionale. E’ quella la sede nella quale rimodulare l’onerosità delle trasformazioni urbane secondo un percorso giuridico articolato nella legge regionale e nelle conseguenti delibere comunali di fissazione degli oneri di urbanizzazione. Si conferma anche qui che, a diverso grado, è sempre il potere pubblico che predetermina con trasparenza le regole generali della disciplina urbanistica.

 

4. Gli scambi edificatori, la premialità, la realizzazione delle opere pubbliche nel modello del piano strutturale e di quello operativo.

I termini del problema non cambiano se si dovesse adottare invece il modello ormai noto dello sdoppiamento del pRG in strutturale e operativo previsto in molte leggi regionali.

Nel piano strutturale, come sappiamo, l’amministrazione può individuare determinati ambiti di trasformazione stabilendo i criteri d’intervento, i parametri cui attenersi, il mix delle funzioni edilizie ammesse, la volumetria massima consentita. Il superamento delle zone omogenee proprie della concezione razionalista del piano urbanistico, non significa però perdere di vista il rapporto che deve esistere tra vuoti e pieni, il rispetto cioè degli standards, della copertura delle dotazioni territoriali come si usa dire oggi; questi profili operativi sono semplicemente rinviati alla pianificazione operativa, ai piani attuativi oggetto di prescrizioni urbanistiche la cui attuazione è regolata dalla convenzione urbanistica. Ma anche qui si porrà un problema di determinazione delle tabelle parametriche e di oneri che devono essere fissati dalla legge regionale e recepiti dai comuni, la cui applicazione concreta sta nei piani attuativi, ma le cui regole generali devono essere già previste nel piano strutturale.

Orbene, anche nel nuovo modello di pianificazione, più sensibile alle esigenze della pianificazione concordata, come si risolve il tema degli scambi edificatori e, se del caso, della premialità che abbiamo già visto affrontato in modo diversificato nei casi citati? C’è la possibilità che si riproducano quelle fattispecie? Nel testo di riforma sui principi in materia di governo del territorio é previsto nell’art.7 co 5 e nell’art.8 co 6 che gli accordi con i soggetti privati devono essere “coerenti” con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione[4]. Il principio è assolutamente condivisibile ma questa enunciazione, a mio avviso, lascia molto spazio ad interpretazioni che comunque devono rapportarsi con i principi dell’azione amministrativa e con il sistema della pianificazione urbanistica.

Premesso che gli accordi pubblico-privato sono propri della pianificazione operativa poiché nello strutturale non vi sono operatori, ritengo che nel piano direttore – e quindi nei suoi diversi ambiti territoriali di trasformazione – debbano essere preventivamente fissate le regole generali della trasformabilità in funzione della soddisfazione del fabbisogno di opere e servizi. In sostanza le condizioni della trasformabilità, caso per caso, possono essere ancorate proprio alla realizzazione di opere pubbliche già individuate dall’amministrazione nel programma triennale delle opere pubbliche o come avviene in qualche legge regionale (la lombardia, l’umbria) attraverso il piano dei servizi. Le soluzioni possibili possono essere diverse e tutte a salvaguardia della discrezionalità dell’amministrazione nel determinare le scelte fondamentali dell’assetto territoriale comunale. In determinati casi il piano potrebbe conferire un’edificabilità minima che può essere aumentata e quindi “premiale” nel caso in cui i privati si obblighino a realizzare la quota parte delle opere pubbliche proposte dall’amministrazione; in altri la trasformazione è ancorata ad un confronto concorrenziale per il miglior risultato dell’assetto urbano e dei servizi. Ma il problema della maggiore onerosità delle trasformazioni è fissata preventivamente dall’amministrazione in rapporto alle esigenze di quel territorio, della dotazione di servizi e delle opere di urbanizzazione.

Se torniamo allora alla distinzione prima richiamata tra accordi “attuativi” delle prescrizioni e accordi “sulle” prescrizioni, vediamo che nel nuovo sistema di pianificazione comunale la seconda tipologia di accordi si riduce ai soli casi in cui la pianificazione operativa richieda la variazione dei contenuti dello strutturale, poiché anche quegli accordi che determinano il contenuto effettivo dei piani attuativi possono considerarsi appunto “attuativi” delle scelte poiché le regole fissate negli ambiti territoriali di trasformazione costituiscono già secondo la dottrina “prescrizioni conformative del territorio” considerato[6]. E’ questo il solo modo per riportare nell’ambito dell’ordinamento urbanistico e delle regole del potere amministrativo l’urbanistica consensuale[6] e per rendere coerente anche il titolo di questo convegno altrimenti la “pianificazione per accordi” anche se suggestiva costituisce un ossimoro paragonabile all’urbanistica “estemporanea” contraddicendo in radice lo spirito che informa l’istituto teso in realtà a ricercare il consenso del privato per ottenere il miglior assetto del territorio nell’interesse della collettività e soprattutto la sua contemporanea attuazione.

5. La debolezza dellle regole urbanistiche del piano strutturale: anticamera dello schiacciamento dell’amministrazione sulla politica comunale.

Ma permettetemi ancora di dire che lo sdoppiamento del PRG in strutturale e operativo se non correttamente inteso può aggravare le contraddizioni degli scambi edificatori cui facevo rifermento all’inizio della mia relazione.

La garanzia di un corretto agire delle pubbliche amministrazioni nell’ambito delle trasformazioni sta nella fissazione delle prescrizioni urbanistiche attraverso lo strumento urbanistico: momento nel quale si esercita la massima discrezionalità al fine di contemperare i diversi interessi pubblici e privati in campo. Le scelte del piano devono così guidare e circoscrivere l’ambito di operatività degli accordi e delle convenzioni necessarie a regolare i rapporti tra amministrazione e privati nell’attuazione dei piani esecutivi fino al rilascio dei relativi permessi di costruire.

Viceversa, se le scelte pianificatorie effettive sono oggetto solo del contratto nel quale si fissano i contenuti dello scambio, gli apparati amministrativi perdono l’ancoraggio determinato dalle scelte del piano strutturale e non sono più garanti delle regole generali: riemerge così una eccessiva discrezionalità delle scelte operative che marginalizza gli apparati amministrativi a favore di una discrezionalità tutta politica con conseguente schiacciamento dell’amministrazione sul livello politico delle scelte che diventano il vero parametro per misurare lo scambio pur in funzione della realizzazione di opere di urbanizzazione e servizi.

E’ quello che a me pare possa avvenire con l’introduzione del documento di piano – rectius piano strutturale  –  della recente legge lombarda n.12/2005 che una rivista specializzata ha definito “piano super flessibile”.

In conclusione, l’incontro pubblico-privato previsto nell’ampio menù dei nuovi istituti della pianificazione operativa, richiede, a mio giudizio, proprio per evitare i rischi surrichiamati, la preventiva fissazione non di minori ma di maggiori regole del gioco già nel piano strutturale che metta in condizioni amministrazione e privati di concordare in fase operativa le scelte pianificatorie all’interno di procedimenti partecipativi attentamente disciplinati anche al fine di garantire il massimo accesso di tutti gli interessati alla realizzazione/gestione delle scelte.

Roma 11 maggio 2005



[1] A.Travi, Accordi tra proprietari e comune per modifiche al piano regolatore e oneri esorbitanti in Foro Italiano, 2002,V, 274 e s.

[2] Anzi, si stabilisce a priori che sia il contratto a determinare il contenuto delle prescrizioni.

[3] Spesso le determinazioni comunali sono talmente fumose ed equivoche che in concreto il contenuto degli accordi può facilmente aggirarne i vincoli prefissati. E’ il caso della riconversione in Pescara di un complesso urbanistico ove alla prova dei fatti il rapporto di convenienza pubblica ta volumi e servizi non è stato rispettato.

[4] Sulle diverse tipologie di accordi pubblico-privato previsti nel testo di riforma sui principi della materia del governo del territorio, P.Urbani, Dell’urbanistica consensuale, in RGU 1/2 2005.

[5] P.Stella Richter, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano 1984; P.Urbani-S.Civitarese, Diritto urbanistico, organizzazione e rapporti, Torino 2004

[6] Sia consentito rinviare a P.Urbani, Urbanistica consensuale, Torino 2000.