Nel decreto semplificazioni(l.120 2020) la disciplina degli usi temporanei dei beni comuni di Paolo Urbani

di 19 Ottobre 2020 Articoli, Editoriale, Rivista

 

Nell’ambito della tematica della rigenerazione urbana s’inserisce il nuovo articolo 23 quater “Usi temporanei” del TU 380 del 2001 “Disciplina dell’attività edilizia” che riguarda una fattispecie del tutto particolare. Quella del recupero dei tanti beni immobili pubblici o privati abbandonati all’interno delle aree urbane, che spesso assurgono agli onori della cronaca per il loro pericoloso degrado, ma anche come occasione per il loro recupero a favore della “città pubblica”.

Il caso della microrigenerazione urbana ha – in effetti – tutti gli elementi per essere considerato ormai una modalità quasi ordinaria del nuovo rapporto cittadini poteri/pubblici locali. L’inquadramento della norma richiede qualche approfondimento per il lettore.

E’ emersa infatti da alcuni anni e con rinnovata forza, l’esigenza di rendere più vivibili proprio le aree urbane, ai fini del miglioramento della qualità dei luoghi di vita e di lavoro, obiettivo che, specie nelle città metropolitane, non sempre risulta acquisito, a causa, in particolare, dell’impossibilità, per le Amministrazioni locali, di governare l’assetto territoriale, anche per le scarse risorse finanziare a disposizione. Ne discende così un degrado dell’ambiente urbano e un’incapacità da parte delle Amministrazioni locali di rispondere alle complessità sociali ed economiche di quei territori. L’abbandono delle periferie urbane e la carenza di servizi alla persona e al territorio è così il riflesso dell’inadeguatezza dei poteri pubblici ad interpretare per tempo, attraverso i normali poteri autoritativi, le esigenze dei cittadini.

Pertanto, è proprio partendo da questa realtà, che si è manifestata sempre più l’iniziativa delle collettività locali volta a rivendicare una sorta di partecipazione alla gestione del potere pubblico, per la tutela e la rigenerazione dei “beni comuni” (urbani) ossia di beni funzionali alla collettività, il cui uso trascurato o negletto ben potrebbe rappresentare un’occasione di riappropriazione attraverso la gestione condivisa pubblico-privato: la rigenerazione urbana è oggi, dunque, conditiosine qua non per una “rigenerazione umana”[1].

La micro-rigenerazione urbana, termine con il quale s’intende definire tale processo partecipativo, mette in evidenza una sostanziale modificazione dell’esercizio delle potestà pubbliche, nel senso di porsi all’ascolto degli interessi diffusi e di assecondare la domanda partecipativa, lì dove l’azione amministrativa si è rivelata insufficiente o addirittura assente.

Questa “torsione” dell’azione amministrativa che da autoritativa si appalesa sempre più “servente”[2] le esigenze della collettività rappresentata, nel senso di “facilitare” le iniziative di quest’ultima, trova fondamento nel principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale declinato dall’art.118, co. 4, Cost., da leggere come articolazione del più generale principio di cui all’art. 3, co. 2, Cost., che sancisce il compito della Repubblica diretto a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Le “patologie” della città pubblica e l’esistenza di beni e spazi oggetto di degrado, quale comune presupposto d’azione per gli interventi rigenerativi, hanno prodotto un intenso dibattito intorno alla nozione di beni comuni. Essi, benché privi di un espresso riconoscimento legislativo[3], sono oggetto di peculiare attenzione da parte della giurisprudenza e della dottrina (soprattutto civilistica e giuspubblicistica, quest’ultima sia di orientamento amministrativistico che costituzionalistico), alla ricerca della corretta qualificazione normativa[4].

 

L’art 23 quater s’inserisce proprio in questa logica e mira a rendere praticabile la destinazione di tali beni da riutilizzare a fini sociali, culturali, di recupero ambientale anche “per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico”. L’uso temporaneo non comporta cioè il mutamento della destinazione d’uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate. Questo il motivo del termine “uso temporaneo” che mira a rendere più flessibile l’uso di tali beni a fini sociali e conferma ancora una volta la “degradazione” dei poteri prescrittivi del piano. A tal fine è previsto che tra i soggetti legittimati alla gestione di tali beni – associazioni di cittadini – e l’amministrazione locale il rapporto sia regolato da una convenzione di cui si fissano gli elementi portanti (durata, modalità di utilizzo, costi, oneri, tempistiche di ripristino, garanzie per eventuali inadempimenti etc.) Due osservazioni finali sul punto. La prima che la rigenerazione può riguardare anche beni immobili privati trascurati dalla proprietà la cui riutilizzazione, in caso d’inerzia, potrebbe comportare anche il sequestro dei beni a favore della collettività per ragioni di pubblica sicurezza. La seconda, che la norma in questione è in gran parte ripresa dall’art.16 “ Usi temporanei” della LR Emilia Romagna 21 dicembre 2017 n.24 “Disciplina regionale sulla tutela e uso del territorio” ove da tempo si stanno sperimentando regolamenti comunali che disciplinano appunto il riutilizzo di tali beni a favore della “città pubblica”. L’inserimento nel TU 380 di tale disposizione ha qui il solo fine di facilitare gli interventi, derogando alla rigidità delle prescrizioni urbanistiche del piano regolatore vigente.

 

[1] Si veda per tale espressione Settis S. (2018), Com’è bella la città di qualità, in Il sole 24 ore 3 giugno 2018.

[2] Per riprendere le affermazioni di un grande giurista, Feliciano Benvenuti.

[3] Le più recenti formulazioni di beni comuni, tracciate dalla dottrina o contenute nei regolamenti comunali, sono esplicitamente influenzate dalle conclusioni del 2008 della Commissione Rodotà, per la modifica delle norme del codice civile, istituita presso il Ministero della Giustizia nel 2007 mai approvate. Sul punto Rodotà S. (2012), Il diritto di avere diritti, Laterza.

[4] Si veda Nervi A. (2014), Beni comuni e ruolo del contratto, in “Rassegna di diritto civile”, n. 1, pp. 195-196. Il tema si è posto altresì all’attenzione della dottrina amministrativista: Si veda Boscolo E. (2013), Beni pubblici, beni privati e beni comuni, in “Rivista giuridica dell’urbanistica”, n. 2;  IDEM (2015), Beni comuni e consumo di suolo. Alla ricerca di una disciplina legislativa, in Politiche urbanistiche e gestione del territorio. Tra esigenze del mercato e coesione sociale, a cura di P.Urbani  Giappichelli 2015, pp. 78-81. Sul tema sia consentito rinviare ancora a P.Urbani Istituzioni economia territorio. il gioco delle responsabilità nelle politiche di sviluppo Giappichelli 2020. pg. 60 e seg.