Lo stadio Meazza non può essere abbattuto, di Fabio Cusano

Si ringrazia per la segnalazione della sentenza il Prof. Giuseppe Garzia.

Con sentenza 7 maggio 2024, n. 1373, il TAR Lombardia, Milano, sez. III, ha sancito che lo stadio Giuseppe Meazza non potrà essere abbattuto a causa del valore storico del secondo anello costruito negli Anni Cinquanta, prossimo a superare i 70 anni di età decisivi per raggiungere il “requisito della vetustà” previsto dall’art. 12 del d. lgs. n. 42/2004.

Il Comune di Milano ha chiesto una valutazione anticipata dei profili di interesse che potesse presentare il secondo anello dello Stadio San Siro, rappresentando che il cronoprogramma dello studio di fattibilità sottoposto a dibattito pubblico prevede la demolizione dello stadio attuale dopo la scadenza dei settant’anni dalla realizzazione degli interventi del 1953-1955; il Comune ha evidenziato che il secondo anello avrebbe acquisito il requisito della vetustà (oltre 70 anni) prima della prevista fase di demolizione e della cerimonia di inaugurazione di Milano-Cortina gennaio 2026.

La Soprintendenza ha ritenuto di “potere comunicare, in via anticipata, l’impossibilità di negare la sussistenza di un interesse culturale semplice del secondo anello in vista della futura verifica”, precisando che “nel 2026, in occasione delle ipotizzate fasi di demolizione dello stadio, la struttura del secondo anello (l’unica al momento a non essere stata valutata), avrà raggiunto il requisito della vetustà (> 70 anni), e ricadrà nel regime di tutela de iure. Pertanto si dovrà procedere con una verifica dell’interesse culturale”. Ciononostante, “alla luce dell’eccezionalità che caratterizza il procedimento in itinere e delle esigenze di pianificazione da parte delle squadre e dell’amministrazione locale … questa Soprintendenza ritiene che, per il secondo anello, possano sussistere i requisiti di interesse culturale semplice necessari per una verifica positiva ai sensi degli artt. 10 e 12 del D.L.gs n. 42/2004 e successive modifiche”.

Il Segretariato Regionale per la Lombardia ha comunicato che la Commissione regionale per il patrimonio culturale della Lombardia “ha espresso all’unanimità parere positivo di sussistenza dell’interesse culturale per il secondo anello dello Stadio di San Siro, in vista di futura verifica ex art. 12 del D. Lgs. 42/2004 (all’avveramento del requisito di vetustà ultrasettantennale), avallando quindi la proposta della competente Soprintendenza”.

Il Comune di Milano contesta la valutazione di sussistenza dell’interesse culturale.

Il ricorso è inammissibile laddove contesta i pareri espressi dalla Soprintendenza e dal Segretariato Regionale.

Il Tribunale osserva che il Comune ha chiesto un esame anticipato della sussistenza dell’interesse culturale, nella consapevolezza che il secondo anello dello Stadio non ha ancora raggiunto il requisito di vetustà previsto dalla legge; tanto la Soprintendenza, quanto il Segretariato Regionale hanno esaminato l’istanza tenendo fermo quest’ultimo dato ed esprimendo solo un parere in ordine alla configurabilità dell’interesse culturale, ribadendo la necessità di una “futura verifica ex art. 12 del D.Lgs. 42/2004 (all’avveramento del requisito di vetustà ultrasettantennale)”; le amministrazioni interessate si sono limitate a riscontrare una richiesta del Comune, esprimendo un orientamento preventivo, sulla base di un’istruttoria del tutto limitata, di natura documentale accompagnata da un solo sopralluogo; contrariamente a quanto addotto dal Comune, non può ritenersi integrata la fattispecie delineata dall’art. 12 del D.Lgs. 42/2004; il primo comma della norma precisa che “le cose indicate all’articolo 10, comma 1” – tra le quali rientra l’immobile di cui si tratta – “che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2”; a sua volta il comma 2 precisa che “I competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione”; le due disposizioni palesano che la verifica di interesse culturale ha ad oggetto immobili risalenti ad oltre settanta anni, pertanto ogni valutazione anticipata non assume rilievo ai fini della configurabilità della dichiarazione di interesse culturale; in tale senso l’art. 10, comma 5, del D.L.gs n. 42/2004 precisa che non sono soggette alla “disciplina del presente titolo” le cose “che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni”.

Il Comune valorizza in senso contrario la disposizione del comma 7 dell’art. 12, laddove stabilisce che “l’accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi dell’articolo 13 ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall’articolo 15, comma 2. I beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo”; si sostiene che, qualora la valutazione sia stata comunque effettuata, essa integra di per sé la dichiarazione di interesse culturale, ai sensi del successivo art. 13.

La tesi non è condivisibile, in quanto la valutazione di interesse cui si riferisce il comma 7 è quella che ha ad oggetto gli immobili valutabili al fine della configurabilità del vincolo, ossia quelli risalenti ad oltre settanta anni; diversamente opinando si riterrebbero vincolabili immobili che non presentano il necessario requisito legale, il quale verrebbe privato di significato; la disciplina di riferimento richiede che la valutazione dell’interesse sia effettuata, ai fini della dichiarazione di cui al successivo art. 13 e dell’apposizione del vincolo, solo rispetto ad immobili con almeno 70 anni di vetustà, in quanto prima di tale accadimento temporale non è configurabile, per scelta legislativa, una situazione tutelabile mediante l’apposizione del vincolo; la circostanza che l’immobile abbia almeno 70 anni integra un elemento costitutivo della fattispecie legale di attribuzione del potere di vincolo.

L’amministrazione comunale cerca di ricostruire la natura provvedimentale delle note impugnate in ragione della loro riconducibilità ai soggetti che sono normalmente investiti del potere di rendere la valutazione e di svolgere la sottostante istruttoria.

La tesi non è condivisibile, perché il dato soggettivo non muta la natura e gli effetti delle note impugnate, che non sono espressive di potere amministrativo, intervenendo rispetto ad una fattispecie cui non si correla, per ragioni temporali, l’attribuzione in base alla legge del potere di rendere la dichiarazione di interesse culturale e di apporre il relativo vincolo; ciò che difetta nella fattispecie è proprio l’esercizio del potere autoritativo, per mancanza dei presupposti legali di radicamento del potere stesso, che non dipende dalla mera identità soggettiva tra i soggetti che hanno manifestato un orientamento e quelli competenti ad esprimere la valutazione in presenza dei presupposti legali di configurazione di un immobile come vincolabile.

Nello stesso senso, è destituita di fondamento la tesi del Comune secondo la quale le note integrerebbero un provvedimento ad efficacia differita; a parte la considerazione che il testo delle note in esame non reca traccia di tale differimento, va osservato che l’introduzione di un elemento accidentale nel contenuto di un provvedimento presuppone che l’atto abbia natura provvedimentale, ma tale circostanza non sussiste nel caso di specie, come già evidenziato; ancora una volta il Comune cerca di ricostruire “ab externo” la natura provvedimentale delle note, valorizzando in tale caso un’ipotetica condizione sospensiva dell’efficacia dell’atto, senza considerare che la condizione accede al provvedimento e non viceversa, sicché in difetto di esercizio di un potere autoritativo non è certo un ipotetico elemento accidentale a dotare un atto di forza e valore di provvedimento amministrativo.

Le note impugnate esprimono solo un parere facoltativo, che l’amministrazione ha reso in ragione della richiesta del Comune e della situazione concreta rappresentata; si tratta di note prive di attitudine lesiva, fermo restando che la circostanza, pure dedotta dal Comune, secondo la quale esse assumerebbero incidenza in concreto rispetto alle relazioni intraprese con F.C. Internazionale Milano S.p.A. e A.C. Milan S.p.A., non vale ad evidenziare la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, in quanto l’amministrazione ha espresso solo un parere preventivo, ribadendo la necessità di procedere, un volta maturati i settant’anni, alla valutazione dell’interesse culturale, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 42/2004.

Anche ad ammettere l’incidenza meramente fattuale dell’opinione espressa dalle amministrazioni resistenti sui rapporti in itinere tra le due società calcistiche e il Comune, resta fermo che essa non radica l’interesse di quest’ultimo all’impugnazione, siccome rivolta avverso atti di natura non provvedimentale, che non incidono in termini giuridicamente rilevanti sulla sfera giuridica dell’amministrazione comunale.

Va pertanto ribadita l’inammissibilità dell’impugnazione, per carenza di interesse, nella parte relativa alla contestazione delle note della Soprintendenza e del Segretariato Regionale, laddove, in via meramente preventiva, evidenziano “l’impossibilità di negare la sussistenza di un interesse culturale semplice del secondo anello in vista della futura verifica”.