La Plenaria chiarisce ruolo e poteri del Commissario ad acta

La Pa non perde il potere di provvedere, pur in presenza di un commissario ad acta nominato per il caso di inerzia nell’ottemperanza al giudicato (sentenza n. 8/2021).

Sentenza

Con sentenza del 25 maggio 2021 n. 8 l’Adunanza Plenaria, definitivamente pronunciandosi su una questione rimessa dalla sez. IV del Consiglio di Stato con ordinanza del 10 novembre 2020, n. 6925, ha fornito alcuni importanti chiarimenti relativamente agli effetti della nomina del commissario ad acta sui poteri dell’amministrazione nel giudizio avverso il silenzio-inadempimento di cui all’art.117 c.p.a. risolvendo finalmente la questione relativa al potere che residua in capo all’amministrazione nell’ipotesi di nomina giudiziale del commissario ad acta per sua inadempienza o inottemperanza, poiché sul tema nel tempo si erano venuti a creare contrastanti orientamenti giurisprudenziali (testo in calce).

La pronuncia in commento ha fissato due principi importanti:

  1. La natura soggettiva del commissario ad acta, quale ausiliario del giudice e non quale organo straordinario dell’amministrazione, il cui potere trova fondamento nella pronuncia del giudice che lo nomina e nella sentenza da eseguire; con la specificazione che la funzione svolta dal commissario ad acta è quella di garantire l’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale dei diritti e interessi legittimi dei privati nei confronti delle amministrazioni inadempienti o inottemperanti;
  2. Il mantenimento del potere dell’amministrazione di provvedere sull’originaria istanza, anche dopo la nomina giudiziale del commissario, che trova il suo fondamento nella norma attributiva dello stesso potere e nel perseguimento dell’interesse pubblico cui è preposta ex lege la P.A.

Quindi, la questione rimessa al Supremo Consesso attiene al caso in cui si assista ad un’ipotesi di inerzia dell’Amministrazione (soccombente) all’ottemperanza di un giudicato (sia esso un giudizio di ottemperanza, un giudizio sul silenzio ovvero un giudizio cautelare).

In queste ipotesi difatti, la P.A non perde il proprio potere di provvedere, anche qualora sia stato nominato un Commissario ad acta, fino a quando questi non abbia provveduto, in quanto si verifica una situazione di esercizio concorrente del potere da parte dell’amministrazione – che ne è titolare ex lege – e da parte del commissario, che, per ordine del giudice, deve provvedere in sia vece.

La pronuncia si sofferma in prima battuta sulla natura dei poteri conferiti al commissario ad acta.

Ai sensi dell’art. 21 del codice del processo amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all’amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta, prevedendo fra le ipotesi in cui tale nomina viene riconosciuta, anche:

– l’art. 114, comma 4, lett. d), in base al quale il giudice dell’ottemperanza “nomina, ove occorra, un commissario ad acta”;

– e l’art. 117, comma 3, secondo il quale, nell’ambito del giudizio sul silenzio dell’amministrazione, “il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente, su istanza della parte interessata”.

Dall’esame della lettera delle disposizioni innanzi riportate, per il Supremo Collegio appare evidente la natura del commissario ad acta quale ausiliario del giudice, che procede alla sua nomina laddove debba sostituirsi all’amministrazione escludendo, al tempo stesso, che al commissario ad acta possa essere riconosciuto la qualità di organo (straordinario) dell’amministrazione, e rilevando, altresì, la sussistenza di una disciplina unitaria in tutte le citate ipotesi di nomina giudiziale.

In definitiva, il commissario ad acta è, sul piano della qualificazione soggettiva, ausiliario del giudice e, in quanto tale il suo compito non è quello di esercitare poteri amministrativi funzionalizzati alla cura dell’interesse pubblico, bensì quello di dare attuazione alla pronuncia del giudice, anche eventualmente attraverso l’esercizio di poteri amministrativi non esercitati, dei quali il comando contenuto in sentenza (o nell’ordinanza) costituisce il fondamento genetico e l’approdo funzionale. Tale comando costituisce il contenuto ed il limite del potere del commissario ad acta, che ad esso (solo ad esso e nei limiti di quanto prescritto) deve dare attuazione.

Ne consegue che anche sul piano oggettivo, dell’attività concretamente posta in essere, il commissario ad acta agisce in virtù di un potere, normativamente previsto, fondato sull’esigenza di dare attuazione alle decisioni giurisdizionali in quanto funzionali a rendere concreta ed effettiva la tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive.

Ciò comporta che la fonte del potere del commissario ad acta è riconducibile, quanto all’investitura, all’atto di nomina e, quanto al contenuto, alla sentenza (o comunque al provvedimento giurisdizionale della cui esecuzione si tratta).

Per vero, l’Adunanza plenaria non ignora il risalente dibattito sulla natura soggettiva del commissario ad acta, che – come ricorda anche l’ordinanza di rimessione – ha nel tempo oscillato tra distinte nature di: organo straordinario dell’amministrazione, ausiliario del giudice, soggetto con duplice natura (Cons. Stato, Ad. Plen., 9 maggio 2019, n. 7). Ma chiarisce come il dibattito giurisprudenziale ha accompagnato la progressiva definizione dell’istituto, fino alla sua piena affermazione sia sul piano della previsione normativa (ora art. 21 c.p.a.), sia sul piano dell’ambito di intervento, oggi praticamente esteso ad ogni necessità di ottemperanza e/o esecuzione del provvedimento giurisdizionale dotato di forza esecutiva, secondo quanto prescritto dall’art. 112 c.p.a.

Ne consegue che oggi, in modo inequivocabile, si può affermare che la natura soggettiva del commissario ad acta è quella (esclusivamente) di ausiliario del giudice, non potendo riconoscere al commissario ad acta, nemmeno in via “aggiuntiva”, la natura di organo straordinario dell’amministrazione.

Precisa ancora l’Adunanza Plenaria, che la natura di ausiliario del giudice del commissario al acta non viene meno nel caso in cui per dare esecuzione alla decisione del giudice, debba adottare atti amministrativi, anche di natura provvedimentale, effettuando in luogo dell’amministrazione inadempiente, valutazioni e scelte normalmente rientranti nell’esercizio del potere discrezionale della stessa, né tantomeno ricorre un’ipotesi di trasferimento dei poteri medesimi (dall’amministrazione al commissario).

Il fondamento del potere esercitato dal commissario ad acta difatti non è il medesimo del potere di cui è titolare l’amministrazione, poiché il primo si colloca nella decisione del giudice, il secondo nella norma che lo attribuisce all’amministrazione; il primo ha la sua “giustificazione funzionale” nell’effettività della tutela giurisdizionale, conferendo alla parte vittoriosa in giudizio quella attribuzione che risulta satisfattiva della propria posizione giuridica per la cui tutela essa ha agito; il secondo, nella cura dell’interesse pubblico che costituisce, al contempo, fondamento genetico dell’attribuzione e funzionalizzazione dell’esercizio del potere.

Ne consegue che quando si parla di “sostituzione” del Giudice – ovvero del commissario ad acta- alla P.A. essa non avviene nell’esercizio di un medesimo potere, ma solo con riferimento a ciò che l’amministrazione avrebbe dovuto compiere per dare attuazione al giudicato e rispetto al quale è invece rimasta inottemperante.

L’Adunanza Plenaria, con riferimento alla conservazione del potere in capo all’Amministrazione dopo la nomina del commissario ad acta, ha chiarito che la stessa non determina di per sé l’esaurimento della competenza della P.A. sostituita a provvedere all’ottemperanza al giudicato, in quanto il venir meno dell’inerzia della P.A. stessa, pur dopo la scadenza del termine assegnatole, rende priva di causa la nomina e la funzione del commissario, secondo i principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa, non smentiti dalla legge o dalla pronuncia del giudice dell’ottemperanza ed essendo indifferente per il privato che il giudicato sia eseguito dall’Amministrazione, piuttosto che dal Commissario, perché l’attività di entrambi resta comunque egualmente soggetta al controllo del giudice (Cons. Stato, sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6585; id., sez. IV, 10 aprile 2006, n. 1947; id., sez. V, 3 febbraio 1999, n. 109).

Può ulteriormente aggiungersi che la duplice possibilità di ottenere l’ottemperanza alla decisione sia da parte dell’amministrazione, sia da parte del commissario ad acta, rafforza la posizione della parte già vittoriosa in sede di cognizione.

E la concorrenza della competenza del commissario ad acta e dell’amministrazione ha termine allorché uno dei due soggetti dà attuazione alla decisione del giudice.

Resta ovviamente fermo il potere della parte vittoriosa di rivolgersi al giudice per ogni doglianza o chiarimento nei confronti degli atti adottati.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza plenaria formula i seguenti principi di diritto:

  1. a) il potere dell’amministrazione e quello del commissario ad acta sono poteri concorrenti, di modo che ciascuno dei due soggetti può dare attuazione a quanto prescritto dalla sentenza passata in giudicato, o provvisoriamente esecutiva e non sospesa, o dall’ordinanza cautelare fintanto che l’altro soggetto non abbia concretamente provveduto;
  2. b) gli atti emanati dall’amministrazione, pur in presenza della nomina e dell’insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati affetti da nullità, poiché essi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l’insediamento del commissario medesimo; tali atti potranno essere, ricorrendone le condizioni, dichiarati nulli dal giudice per la diversa ipotesi di violazione o elusione del giudicato ( 21-septies, l. n. 241 del 1990), ovvero annullati perché ritenuti illegittimi all’esito di domanda di annullamento in un ordinario giudizio di cognizione, ma non possono in ogni caso essere considerati emanati in difetto assoluto di attribuzione e, per questa ragione, ritenuti affetti da nullità;
  3. c) il commissario ad acta nominato dal giudice potrà esercitare il proprio potere fintanto che l’amministrazione non abbia eventualmente provveduto; qualora persista il dubbio del commissario in ordine all’esaurimento del proprio potere per intervenuta attuazione della decisione (poiché, ad esempio, questa è reputata dal commissario parziale o incompleta), lo stesso potrà rivolgersi al giudice che lo ha nominato, ai sensi dell’art. 114, comma 7, c.p.a. (giudice dell’ottemperanza) ovvero al giudice del silenzio, ai sensi dell’art. 117, comma 4, c.p.a.;
  4. d) qualora il commissario ad acta adotti atti dopo che l’amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, gli stessi sono da considerarsi inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione può essere richiesta da chi vi abbia interesse al giudice dell’ottemperanza o del giudizio sul silenzio; allo stesso modo deve concludersi per la speculare ipotesi di atti adottati dall’amministrazione dopo che il commissario abbia provveduto.