Il Cons. Stato, sez. IV, 8 agosto 2024, n. 7052 ha ribadito che dall’art. 31 d.l. 201/2011 si deve ricavare un limite agli interessi che, sulla base della semplice vicinitas commerciale, si possono far valere, individuandoli in quelli concernenti “la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”; solo in relazione a detti interessi l’amministrazione pubblica può limitare o escludere l’insediamento di nuovi esercizi commerciali; ammettere il ricorso alla tutela giurisdizionale per interessi di tipo diverso comporterebbe una limitazione della libera concorrenza, a salvaguardia di posizioni commerciali già acquisite e in contrasto con il principio eurounitario di libera concorrenza cui debbono ispirarsi le attività commerciali. Inoltre, per poter fornire la prova della c.d. vicinitas commerciale e, conseguentemente, della legittimazione a ricorrere, è del tutto insufficiente la mera affermazione di parte della sussistenza di un comune “bacino d’utenza” fra la struttura commerciale erigenda e quella che agisce in giudizio a tutela del suo interesse commerciale asseritamente leso.
Nella sentenza 8 dicembre 2021 n. 9, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio, con riferimento specifico alla vicinitas urbanistico-edilizia, ma con enunciazione di principi di carattere generale, ha evidenziato che la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere sono condizioni dell’azione, autonome e distinte fra loro; ognuno di esse va allegata e provata; in particolare, non si può affermare che “il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso”, interesse che va inteso e provato come “specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”, distinto quindi da un mero interesse di fatto al ripristino della legalità violata.
Con la sentenza n. 3619/2024, questa Sezione ha avuto modo recentemente di ribadire il concetto di vicinitas commerciale, ai fini della individuazione delle condizioni dell’azione (legittimazione ad agire e interesse a ricorrere).
Il concetto di vicinitas commerciale è definito, in generale, come la posizione dei soggetti i quali “agendo come imprenditori nel medesimo settore, attingono al medesimo bacino di utenza e risentono, pertanto, di un effettivo danno al loro volume d’affari, in caso di apertura di una nuova impresa commerciale illegittimamente autorizzata” (Consiglio di Stato, sezione IV, 29 dicembre 2023 n. 11367; 28 giugno 2022 n.5353; 3 settembre 2014 n.4480).
La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare che l’interesse azionabile in termini di vicinitas commerciale è appunto un interesse di tipo commerciale; a tale riguardo, dedurre a questo titolo motivi di carattere edilizio rappresenta “un uso strumentale della tutela accordata ai soggetti terzi, in materia di provvedimenti di natura urbanistico-edilizia, a tutela di un interesse di fatto, finalizzato ad ostacolare la realizzazione di uno stabilimento concorrente” (Consiglio di Stato, sezione IV, n. 11367 del 2023, ct.; sez. VI, 2 marzo 2016 n. 1156).
Sempre nella sentenza di questa Sezione n. 11367/2023, è stato evidenziato, sul piano della evoluzione normativa, che la concorrenza sul mercato fra le imprese è uno degli obiettivi che l’Unione europea, e in precedenza la Comunità economica europea, ha sempre promosso nel proprio interno, come risulta attualmente dall’intero capo I del titolo VII del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e, in particolare, dagli articoli 101 e 102 del predetto Trattato, che vietano le intese restrittive e l’abuso di posizione dominante sul mercato.
A queste norme di principio, l’Unione europea ha fatto seguire norme di dettaglio, e segnatamente, per quanto qui interessa, la direttiva 2006/123/UE, che, all’art. 10, prevede, fra le condizioni di rilascio delle autorizzazioni commerciali, che i relativi regimi debbano basarsi “su criteri che inquadrino l’esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario” (comma 1), criteri che devono essere “non discriminatori” e “giustificati da un motivo imperativo di interesse generale” (comma 2, lettera a e lettera b).
L’art. 31 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, rubricato “Esercizi commerciali”, al secondo comma (nel testo modificato dalla legge di conversione n. 214/2011 e vigente al momento della attuazione del provvedimento impugnato), dispone: “Secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”.
Questa Sezione ha già sostenuto che dall’art. 31 d.l. 201/2011 si debba ricavare un limite agli interessi che, sulla base della semplice vicinitas commerciale, si possono far valere, individuandoli in quelli concernenti “la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”; solo in relazione a detti interessi l’amministrazione pubblica può limitare o escludere l’insediamento di nuovi esercizi commerciali; ammettere il ricorso alla tutela giurisdizionale per interessi di tipo diverso comporterebbe una limitazione della libera concorrenza, a salvaguardia di posizioni commerciali già acquisite e in contrasto con il principio eurounitario di libera concorrenza cui debbono ispirarsi le attività commerciali (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, n. 3619/2024; n. 11367/2023).
La giurisprudenza amministrativa ha definito il concetto di “bacino di utenza” come “l’area in cui si dispiega l’influenza economica del concorrente ed è quindi idonea a incidere sulle posizioni di mercato del controinteressato” (cfr. C.d.S. sez. IV, 3 settembre 2014 n. 4480).
Nelle sentenze di questa Sezione n. 3619/2024, n. 11367/2023 e n. 5353/2022, sopra citate, si è, tuttavia, precisato che per poter fornire la prova della c.d. vicinitas commerciale e, conseguentemente, della legittimazione a ricorrere, è del tutto insufficiente la mera affermazione di parte della sussistenza di un comune “bacino d’utenza” fra la struttura commerciale erigenda e quella che agisce in giudizio a tutela del suo interesse commerciale asseritamente leso.
Il rilievo attribuito dall’Unione europea e dal legislatore nazionale alla libertà di concorrenza induce a ritenere che la prova del pregiudizio derivante dall’insediamento della nuova impresa (che si vuol contestare) debba esser data in modo rigoroso, senza che esso si possa presumere, e che si debba trattare di un pregiudizio significativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 settembre 2022 n. 7704).
In conclusione, l’imprenditore che voglia impugnare atti di tipo urbanistico edilizio che consentono l’insediamento di altre attività commerciali, deve rispettare i limiti disegnati dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 9/2021, dando la specifica prova della propria legittimazione ad agire e dell’interesse al ricorso.