Relazione di Michele Pallottino al Convegno "I beni culturali nella disciplina statale e regionale". Cortina D’Ampezzo, 2-3 Luglio 2004
Il Codice Urbani (d.lgs. 22.1.2004 n. 42) disciplina la pianificazione paesaggistica negli artt. 135 e 143-145 e in via transitoria nell’art. 156.
Naturalmente vanno considerate le disposizioni generali di tutta la normativa (artt. 1-8) e quelle sui beni paesaggistici (artt. 131-134), le norme sulla individuazione (artt. 136-142) e sul controllo e gestione (artt. 146-155) di tale categoria di beni, e relative norme transitorie (artt. 157- 159).
In questa relazione, descritto il sistema normativo della pianificazione paesaggistica, se ne individuano i profili più significativi e si indicano le modifiche più rilevanti rispetto al sistema normativo previgente (d.lgs. 29.10.1999 n. 490, t.u. dei beni culturali e ambientali), se ne verifica la compatibilità con il Titolo V della Costituzione, dicendo di alcuni aspetti di dubbia costituzionalità, si affrontano alcuni problemi del regime ordinario e di quello transitorio, per concludere con alcune notazioni d’ordine generale. Il tema è certamente complesso (in realtà sono complesse le stesse disposizioni del Codice), come dimostrano i problemi, il diffuso stato di conflittualità e la sostanziale inattuazione della normativa previgente.
Le motivazioni alla base di una nuova normativa organica in materia di patrimonio culturale sono note; altrettanto note quelle di una innovazione in materia di beni paesaggistici e della pianificazione in materia.
Tre ragioni, soprattutto. La definizione di “paesaggio”, tratta della Convenzione europea di Firenze dell’ottobre 2000. L’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione (l.c. 18.10.2001 n. 3), con l’unitarietà della disciplina, con i moduli di cooperazione fra le varie amministrazione (Stato, regioni ed enti locali), e con il bilanciamento fra le funzioni della “tutela” e quelle della “valorizzazione” (considerate le innegabili interrelazioni fra “tutela” e “valorizzazione”, e fra queste e il “governo del territorio”, con il diverso grado di attribuzioni loro fissato nell’art. 117 Cost.). E l’esigenza di introdurre un sistema della pianificazione tale da superare i problemi posti
dalla normativa previgente, attuando così l’Accordo fra il Ministero b.a.c., le regioni e le province autonome del 19.4.2001 (G.U. n. 141 del 18.5.2001). Tali finalità, come vedremo, non sono state del tutto realizzate, restando non pochi e non marginali aspetti critici.
2.- La pianificazione paesaggistica in generale.
2.1.- La nuova normativa compone un quadro d’insieme della pianificazione paesaggistica certamente diverso da quello della l. 8.8.1985 n. 431 (legge Galasso) e del t.u. (n. 490/99).
L’art. 135 fissa i principi fondamentali. L’obbligatorietà del piano (paesaggistico o urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici), ai fini della adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio. La disciplina estesa all’intero territorio regionale. Gli immobili
oggetto di pianificazione (art. 134), e cioè quelli vincolati con provvedimento singolo (art. 136, perciò quelli della l. 1497/39), gli immobili vincolati per legge (art. 142, e perciò quelli della l. 431/85) e gli immobili sottoposti a tutela direttamente dal piano paesaggistico, con modalità di
“tutela” differenziate a seconda del grado di valore paesaggistico (art. 143, co. 3, lett. h/, co. 4 e co. 5, lett. b/). I contenuti essenziali del piano, e cioè la definizione delle trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di ricupero e riqualificazione e gli interventi di valorizzazione, tenuto conto dello sviluppo sostenibile. E la competenza della Regione
all’approvazione dello strumento (artt. 4 co. 1, 5 co. 6 e 143 co. 10).
Punti centrali sono dunque la disciplina in senso paesaggistico di tutto il territorio regionale (e perciò nazionale) e il “valore paesaggistico” quale parametro della normativa d’uso del territorio da fissarsi con il piano.
2.2. L’art. 143 dà concretezza a tali indicazioni enucleando dettagliatamente le funzioni, le modalità elaborative e i contenuti delle norme del piano.
Per le funzioni (co. 1 e 2) è stabilito che, in base alle caratteristiche naturali e storiche e di rilevanza e integrità dei valori paesaggistici, il piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli compromessi o degradati.
In relazione a tali livelli di valore, il piano attribuisce a ciascun ambito gli obiettivi di qualità paesaggistica: mantenimento delle caratteristiche; compatibilità dello sviluppo urbanistico ed edilizio con i diversi livelli di valore paesaggistico; e ricupero, riqualificazione, reintegrazione dei valori o realizzazione di nuovi valori per gli immobili vincolati che siano compromessi o degradati. Per l’elaborazione (co. 3), stabilito che il piano paesaggistico ha contenuto descrittivo, prescrittivo e dispositivo, è indicata una sequenza di azioni conoscitive e attuative articolate in otto fasi. I contenuti delle norme di pianificazione, e dunque la normativa d’uso
dei vari ambiti e le modalità di tutela e valorizzazione, sono fissati con riferimento al grado di valore paesaggistico di ogni singolo ambito (co. 4, 5 e 9).
Il piano (ma può trattarsi anche di una pluralità di piani, per territori omogenei, approvati in sequenza), anche in relazione alle varie tipologie di interventi sul territorio, fissa direttamente le norme d’uso del territorio, anche se poi, dettando prescrizioni vincolanti, può rinviarne la definizione concreta agli strumenti urbanistici tradizionali (co. 4).
Il piano può altresì individuare le aree nelle quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica (e si tratta delle aree particolarmente compromesse, ma solo per gli interventi di ricupero), le aree nelle quali la verifica di conformità viene effettuata nell’ambito del procedimento per il
rilascio del titolo edilizio, e le aree nelle quali invece ogni intervento è subordinato alla autorizzazione paesaggistica (co. 5). Il piano paesaggistico infine individua i progetti prioritari per laconservazione, valorizzazione e gestione del paesaggio, indicando gli strumenti attuativi e le misure incentivanti (co. 6).
2.3. Di particolare interesse sono le norme sul procedimento di formazione e approvazione del piano paesaggistico. E’ più volte affermata la regola della cooperazione fra le varie
amministrazioni (v. art. 132 co. 1). Nel concreto poi il modulo di cooperazione fra lo Stato e le regioni è previsto solo in via facoltativa, con un accordo fra la regione e i Ministeri b.a.c. e ambiente, al fine della elaborazione d’intesa dei piani paesaggistici (art. 143 co. 10-12).
Nell’accordo vanno previsti i tempi della approvazione regionale e le modalità per le variazioni del piano (per vincoli sopravvenuti).
Qualora l’accordo non sia stipulato, ovvero ad esso non segua l’elaborazione del piano, l’unico effetto previsto è la non applicazione delle norme sul possibile esonero dalla autorizzazione paesaggistica (co. 5-8 dell’art. 143).
La norma prevede il potere sostitutorio del Ministero, ma ne consente l’esercizio solo se stipulato l’accordo e se elaborato d’intesa il piano paesaggistico.
Altrimenti non vi è potere sostitutorio, a differenza di quanto previsto nel Codice per altre ipotesi (artt. 5 co. 7 e 141), a mente della riserva di legge statale (art. 120 co. 2 Cost.: v. anche Corte cost. 27.1.2004 n. 43).
Sempre naturalmente che il piano non determini modificazioni ai vincoli esistenti (ipotesi espressamente prevista nell’art. 144 co. 2), perché allora è consentito l’esercizio del potere sostitutorio del Ministero (art. 141, in particolare co. 5).
Il piano va redatto in applicazione dei criteri fissati dalla normativa (e di cui si è detto): intero territorio regionale; suddivisione di questo in ambiti, secondo il grado di valore paesaggistico; e le otto fasi elaborative.
Se individuate dal Ministero b.a.c. le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale, il piano paesaggistico deve necessariamente tenerne conto, visto che sono qualificate formalmente quali misure di “indirizzo della pianificazione” (art. 145 co. 1).
Sono previste la “concertazione istituzionale” (e cioè la partecipazione degli enti locali istituzionali al procedimento formativo, con modalità da fissare nella legge regionale: la questione sarà esaminata più avanti) e l’ampia partecipazione dei soggetti interessati (i proprietari delle aree) edelle associazioni per gli interessi diffusi, nonché un’adeguata pubblicità
(art. 144 co. 1). Qualora il piano paesaggistico comporti una modifica dei vincoli esistenti (ma da ritenere anche quando il piano introduca nuovi vincoli), è prevista la pubblicità propria del procedimento di imposizione del vincolo (art. 144 co. 2, che rinvia all’art. 140); in questo caso sussiste il potere sostitutorio del Ministero (si argomenti dal co. 5 dell’art. 141).
Norme analoghe sono dettate per la verifica e l’adeguamento dei piani paesaggistici redatti o approvati in vigenza della normativa pregressa (art. 156).
Ulteriori modalità procedimentali possono essere fissate dalla legge regionale (di cui all’art. 7 co. 1), comprese le eventuali “salvaguardie” in attesa della approvazione (comunque trova applicazione il regime del “vincolo”). La legge regionale individua anche l’organo regionale
competente all’adozione dell’atto di approvazione. Si dirà poi se la legge regionale possa attribuire ad uno degli enti locali istituzionali la competenza all’atto di approvazione.
2.4. Altrettanto interessanti sono le disposizioni sugli effetti del piano paesaggistico approvato. Di alcuni di essi si è già accennato. In primo luogo, gli effetti conformativi di vincolo o sui vincoli
esistenti. Così, l’effetto di vincolo (assoggettamento al regime di tutela) delle aree e degli immobili non altrimenti vincolati (art. 134, lett. c/; art. 143, co. 5, lett. b/), con i differenti regimi riconnessi al grado del valore paesaggistico, fino alla esclusione dal regime della autorizzazione, le cui disposizioni tuttavia non si applicano qualora non vi sia stato l’accordo con i Ministeri per l’elaborazione congiunta del piano (art. 143, co. 4, 5 e 12).
Così, il venir meno del vincolo sugli immobili indicati direttamente dalla normativa e la sua trasformazione in uno dei regimi d’uso fissati nel piano (art. 142, co. 1). Così, l’eventuale modifica dei vincoli esistenti (art. 144 co. 2).
In secondo luogo, gli effetti nei riguardi degli altri strumenti di pianificazione (art. 145).
Per i piani territoriali e di settore, nonché per gli strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico, è stabilito che sia il medesimo piano paesaggistico a fissare le misure di coordinamento, in una sorta di autoreferenzialità (co. 2).
Per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, stabilito che le previsioni del piano paesaggistico sono cogenti per tali strumenti (co. 3), è disciplinato un sistema di progressiva conformazione.
Innanzitutto è stabilita l’immediata sovrapposizione delle previsioni del piano paesaggistico rispetto a quelle eventualmente difformi degli strumenti urbanistici (co. 3).
Poi è rimessa alla legge regionale la disciplina del procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti degli enti locali; ma, va sottolineato, assicurando la partecipazione al procedimento degli organi del Ministero (co. 5).
E’ stabilito infine che, anche in assenza della legge regionale, gli enti locali siano tenuti, nel termine stabilito dal piano paesaggistico e comunque non oltre due anni dalla sua approvazione, ad adeguare i propri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica alle previsioni del piano
paesaggistico, e, notazione particolarmente rilevante, introducendo, se necessario per le finalità paesaggistiche, ulteriori previsioni conformative, per le quali è escluso l’indennizzo (questi aspetti saranno ripresi più avanti) (co. 4 e art. 143 co. 4).
In terzo luogo, gli effetti nei riguardi del regime dell’autorizzazione e controllo degli interventi nelle zone vincolate.
E’ stabilito infatti che il nuovo regime della autorizzazione paesaggistica, secondo cui, in sintesi, la soprintendenza fornisce un mero parere, non vincolante (art. 146), entri in vigore quando approvato il piano paesaggistico e adeguati gli strumenti urbanistici degli enti locali,
applicandosi nel frattempo un regime transitorio (art. 159).
3.- Le innovazioni rispetto alla normativa previgente e la disciplina transitoria.
3.1. Una attenta considerazione del nuovo regime del piano paesaggistico dà subito il senso delle significative modifiche rispetto al regime previgente (art. 5 della l. 29.6.1939 n. 1497, art. 1 bis della l.9431/85 e artt. 149 e 150 del t.u. n. 490/99: sul quale da ultimo v. Consiglio
di Stato Sez. IV 30.7.2003 n. 4351). In primo luogo, l’obbligatorietà dello strumento e la sua estensione su tutto il territorio regionale, che in prospettiva pongono il piano paesaggistico
quale strumento-base per la tutela e la valorizzazione del paesaggio. Nella previgente normativa la pianificazione del paesaggio era obbligatoria solo per i beni vincolati direttamente dalla legge.
In secondo luogo, la possibilità riconosciuta al piano paesaggistico di porre nuovi vincoli (assoggettare nuove aree al regime della tutela evalorizzazione) e di modificare quelli esistenti.
In terzo luogo, la definizione per legge dei criteri, contenuti, fasi elaborative e finalità della pianificazione, che assicura l’omogeneità della tutela su tutto il territorio nazionale, ma che pone tuttavia alcuni problemi di costituzionalità, come si avrà modo di sottolineare.
Ancora, la possibilità per il piano di graduare il contenuto della tutela, suddividendo il territorio in ambiti omogenei, e di prevedere interventi di riqualificazione e di creazione di nuovo valore paesaggistico, che dà il senso di effettiva idoneità pianificatoria dello strumento.
L’utilizzazione altresì di moduli concertativi con lo Stato e con gli enti locali nella predisposizione e nella approvazione dello strumento, che colloca la normativa all’interno del Titolo V della Costituzione (ma non del tutto, come si avrà modo di osservare più ampiamente) e che consente di risolvere i numerosi casi di contenzioso che si sono avuti nel regime previgente.
Ancora, il dovuto coordinamento con le linee dell’assetto del territorio nazionale, con i piani territoriali e di settore e con gli strumenti di politica economica e la sovraordinazione rispetto agli strumenti urbanistici degli enti locali, che assicurano l’effettiva tutela e valorizzazione del paesaggio.
Sembrerebbe invece non rappresentare una innovazione la modifica del nome, da “ambientale” a “paesaggistico”, in linea peraltro con la nuova terminologia del Codice, che ha sostituito il termine “bene ambientale” con quello di “bene paesaggistico”. In realtà, come si avrà modo di considerare, potrebbe non trattarsi di una operazione puramente semantica.
3.2. Sulla disciplina transitoria si è accennato.
E’ previsto che entro quattro anni dall’entrata in vigore del Codice (1° maggio 2004) le regioni, con procedure sostanzialmente simili a quelle del regime ordinario, adeguino alla nuova normativa i piani paesistici previgenti, anche quelli in corso di approvazione (art. 156).
Il che significa che dal 1° maggio le regioni debbono interrompere le procedure di approvazione che siano in corso, e riprenderle nel rispetto delle nuove regole sostanziali e procedimentali.
Naturalmente i piani paesistici già approvati, così come il regime di salvaguardia per quelli in corso di approvazione, restano in vigore fino al nuovo piano paesaggistico, anche oltre la scadenza del quadriennio, che deve intendersi un termine puramente acceleratorio: peraltro la normativa non prevede alcun esito per la sua scadenza.
4. La compatibilità con il Titolo V della Costituzione e alcuni dubbi di costituzionalità
4.1. Non è certo questa la sede per ripercorrere tutta la tematica del Titolo V della Costituzione, delle definizioni e delle interrelazioni fra le materie dell’art. 117, delle funzioni conferite alle varie amministrazioni, del principio di unitarietà del sistema e delle funzioni (con riferimento anche all’art. 9), dei moduli di coordinamento delle azioni amministrative e di cooperazione fra i soggetti istituzionali, dei principi dell’art. 118, di sussidiarietà e differenziazione, e di quelli dell’art. 120, sui poteri sostitutivi fra lo Stato e la regione e fra la regione e gli enti locali.
Comunque, i punti nodali da risolvere erano essenzialmente due: la separazione di regime, ma le innegabili interrelazioni, fra la “tutela” e la “valorizzazione” e gestione e fra la “tutela” e il “governo del territorio” nell’art. 117 Cost.; e la garanzia delle competenze regionali e degli enti
locali nella attrazione allo Stato di tutta la materia paesaggistica per esigenze di esercizio unitario e in applicazione del principio dell’unità della Repubblica.
La Corte costituzionale (nelle sentenze 1.10.2003 n. 303, 7.10.2003 n. 307, 20.1.2004 n. 26 e 27.1.2004 n. 43) ha indicato le linee per una corretta applicazione dei principi costituzionali: la disciplina del “paesaggio” non è materia a sé stante, ma compito da esercitarsi unitariamente, ma con modalità di concertazione fra gli enti istituzionali (Stato, regioni e enti locali); spetta alla legge statale dettare i principi generali, gli “standards” di protezione uniformi e il conferimento delle competenze; spetta alla legge regionale, nei limiti fissati dalla legge statale e naturalmente dalla Costituzione (artt. 114, 117, 118 e 120), la disciplina ulteriore; non vanno
tuttavia compromesse le attribuzioni delle regioni e degli enti locali conferite dalla Costituzione (v. da ultimo le sentenze sul condono edilizio), che possono e debbono trovare protezione e garanzia nella previsione di un esercizio concertato delle funzioni. A prima vista la normativa del Codice sulla pianificazione paesaggistica sembra rispondere a tali regole.
La “materia” del “paesaggio” e della “pianificazione paesaggistica”, anche perché relativa al “patrimonio culturale”, appartiene, quale compito fondamentale, complessivamente a tutto l’apparato dei pubblici poteri (art. 9 Cost.) e per sua natura richiede unitarietà della disciplina e dell’esercizio delle funzioni. La normativa (il Codice) stabilisce i parametri fondamentali e i criteri di protezioni uniformi; mantiene in via generale la distinzione fra la “tutela” (art. 3) e la “valorizzazione” e gestione (art. 6), conferendo entrambe comunque alle regioni, cui è attribuita la potestà legislativa in tema di “valorizzazione” (art. 6 co. 1): l’approvazione del piano
paesaggistico, proprio perché lo strumento ha capacità conformativa e modificativa dei vincoli, è conferita alle regioni, perché a queste è attribuito il potere di fissazione del vincolo (art. 140), a conferma espressa del regime previgente (artt. 4 co. 1 e 5 co. 6). Il Codice prevede infine moduli di concertazione istituzionale per l’esercizio delle funzioni, come si è visto; e rimette alla legislazione regionale l’ulteriore disciplina (art. 7 co. 1).
4.2. Una considerazione più approfondita della normativa ingenera invece alcuni dubbi sulla sua effettiva conformità alla Costituzione, tenuto conto soprattutto che nell’art. 117 sono comunque stabilite la suddivisione fra “tutela” e “valorizzazione” dei beni culturali e del paesaggio (“beni ambientali”) – suddivisione che è confermata, con regimi diversi, nel medesimo Codice (artt. 3-5 e 6-7) – e l’attribuzione alle regioni del “governo del territorio”; che le attribuzioni conferite in Costituzione vanno rispettate; e che la concertazione istituzionale deve essere tale da garantire per ciascun ente l’effettiva capacità decisionale.
Il primo profilo di dubbia costituzionalità attiene alle attribuzione regionali in materia di “valorizzazione” e gestione del paesaggio, quale componente fondamentale del territorio e del suo “governo”: ed infatti entrambe le materie, per la loro stretta interrelazione, sono attribuite alla“competenza concorrente” dall’art. 117 Cost..
E’ innegabile che nel sistema della pianificazione paesaggistica la “valorizzazione” e la gestione siano riconnesse alla strumentazione (il piano); così come il “governo del territorio” si sostanzi nella pianificazione territoriale ed urbanistica.
Ora, l’imposizione dei criteri definitori ed elaborativi del contenuto e delle finalità del piano paesaggistico (dell’art. 143), della necessaria conformazione del piano alle linee ministeriali dell’assetto del territorio nazionale (art. 145), della obbligatorietà dello strumento e della sua
estensione per tutto il territorio regionale (art. 135), del necessario adeguamento dei piani paesaggistici già in vigore secondo procedimenti predefiniti (art. 156), e della prevalenza del piano paesaggistico sui poteri di pianificazione territoriale e sugli strumenti urbanistici (art. 145), con conseguente travolgimento di tutte le normative regionali di contenuto difforme (in assenza della dovuta clausola di cedevolezza della normativa statale), appaiono in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.. In sostanza, l’affermata competenza regionale alla predisposizione e
approvazione del piano paesaggistico, mutilata per alcuni aspetti fondamentali se non via sia l’accordo con i Ministeri (art. 143 co. 12), considerati i contenuti precettivi fissati nella normativa (art. 143) e la possibile “copertura” di tutto il territorio regionale con il piano paesaggistico, si risolve in una indicazione priva di effettivi contenuti (di autonomia amministrativa) e in una grave compromissione delle attribuzioni regionali in materia di “governo del territorio”; ancora più grave per gli enti territoriali, tenuti comunque a rispettare le indicazioni del piano paesaggistico nella predisposizione degli strumenti urbanistici di governo del loro territorio.
Il secondo profilo di dubbia costituzionalità, strettamente legato al precedente, è l’assenza di moduli di effettiva condivisione delle decisioni da parte delle regioni e degli enti locali, in spregio ai principi della “leale collaborazione”, “sussidiarietà” e “differenziazione”.
Per le regioni, alle quali, come detto, è attribuito sostanzialmente un compito attuativo e vincolato, è prevista una sede di confronto con il Ministero solo eventuale e solo per la elaborazione del piano paesaggistico, sede dunque tecnica (e senz’altro opportuna) e non decisionale (art. 143, co. 10, e 156, co. 3).
Per gli enti locali, i cui poteri e strumenti urbanistici sono soggetti a notevole dissolvimento, è prevista nel procedimento la “concertazione istituzionale”; è da dubitare però che si tratti di un modulo dove assicurata la condivisione delle decisioni, sia per l’indefinizione della figura, sia per la sua collocazione normativa (art. 144). Tuttavia la materia è di competenza legislativa regionale (art. 7 co. 1; peraltro limitata: v. co. 5 dell’art. 145), che dunque potrebbe (dovrebbe) prevedere conferenze di servizi, o almeno pareri vincolanti degli enti locali (ma lo stato di incerta costituzionalità rimane; il tema sarà comunque ripreso nel punto successivo).
Peraltro, dubbi di non perfetto allineamento con il Titolo V della Costituzione sono stati autorevolmente espressi dalla Commissione Trotta, incaricata di predisporre il testo-base del Codice, che infatti aveva proposto due testi finali distinti, nessuno dei quali in realtà è stato poi recepito.
5. Di alcuni problemi.
5.1. Di alcune questioni e dei dubbi di costituzionalità si è detto.
Altro si dirà nelle considerazioni conclusive. Si affrontano qui i problemi di cui si è fatto semplice accenno.
5.2. Il primo problema attiene alla questione delle definizioni, che, come anticipato, sembra avere rilievo sostanziale (e anche costituzionale). Tutta la normativa è improntata alla tutela e valorizzazione del “bene paesaggistico”, secondo la rilevanza e per l’integrità del “valore paesaggistico”. Tale “valore”, quale denominatore base della disciplina del territorio ed è stabilito che vada comunque mantenuto.
A ciò si aggiungano la definizione di “paesaggio” (dell’art. 131), l’oggetto del piano paesaggistico (i vincoli preesistenti, le cui originarie tipologie sono peraltro confermate nel Codice: artt. 134, 136 e 142) e i contenuti della normativa d’uso del piano (il mantenimento del valore). Tutto questo significa e comporta la preminenza di aspetti estetici, formali ed esteriori, l’imbalsamazione del territorio e la sostanziale irrilevanza dei valori, in sé considerati, delle caratteristiche naturali, storiche e antropologiche del territorio, che costituivano e costituiscono il contenuto dell’“ambiente” e del “bene culturale ambientale”.
Tali notazioni hanno rilievo anche sul piano strettamente giuridicolegislativo-costituzionale, oltre a quanto già osservato.
In primo luogo, con riferimento alla legge delega (art. 10 l. 137/02), che parla di codificazione in materia di beni culturali e “ambientali”, laddove il Codice disciplina, anziché la tutela dell’“ambiente” (culturale), la tutela dei valori estetici e formali del “paesaggio”.
In secondo luogo, con riferimento alle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale cui deve conformarsi la pianificazione paesaggistica (art. 145 co. 1). La norma individua il potere ministeriale nell’art. 52 del d.lgs. 31.3.1998 n. 112, che fa riferimento non al valore paesaggistico (del Codice), ma ai “valori naturali e ambientali”, e che peraltro (negli artt. 53
ss., e in particolare nell’art. 54) non attribuisce allo Stato alcun potere di “indirizzo della pianificazione”.
5.3. Un secondo problema riguarda la normativa regionale, sia quella vigente, sia la futura, relativamente alle competenze e al procedimento per l’approvazione del piano paesaggistico.
Come detto, la competenza della regione è in espressa conferma della normativa previgente (artt. 4 co. 1 e 5 co. 6); e in materia di “valorizzazione” la funzione legislativa è correttamente conferita alle regioni (art. 7 co. 1).
Deve dunque ritenersi consentito alla legge regionale attribuire ad altro ente territoriale la competenza alla approvazione del piano paesaggistico (ma resta il nodo del contenuto conformativo dei vincoli attribuito al piano, che è “tutela” e non “valorizzazione”, anche se la
“subdelega” non sembra in contrasto con alcuna disposizione del Codice: v. art. 5 co. 6). Restano dunque in vigore quelle normative regionali che hanno attribuito la competenza in materia alle province o ai comuni. Per il procedimento, rispettate le indicazioni fissate nelle varie norme (artt. 143 e soprattutto 156), la legge regionale ha ampia autonomia regolatrice, soprattutto nell’attuare i principi di pubblicità e partecipazione fissati dal Codice (art. 144 co. 1).
Nel medesimo senso va esaminata la sorte della legislazione regionale vigente, anche se l’obbligo dell’adeguamento dei piani esistenti e la predeterminazione del relativo procedimento (art. 156) ne fanno dubitare la sopravvivenza.
5.4. Altro problema è quello della corretta definizione dei poteri degli enti locali nella predisposizione e approvazione del piano paesaggistico, visto che con il Codice vedono sbiadirsi le loro tradizionali attribuzioni in materia di governo del proprio territorio.
Qui il compito della futura legislazione regionale è fondamentale (e obbligato, per non determinare violazioni costituzionali).
Come visto, i principi posti dal Codice sono i seguenti: competenza legislativa regionale sul procedimento (artt. 7 co. 1 e 144 co. 1) e sull’adeguamento degli strumenti urbanistici (art. 145 co. 5); concertazione istituzionale nel procedimento di approvazione del piano (art. 144 co. 1);
pianificazione paesaggistica di principio, con l’attuazione rimessa al piano urbanistico dell’ente locale (art. 143 co. 4); e sovraordinazione del piano paesaggistico sui poteri e sugli strumenti urbanistici degli enti locali, nella duplice modalità della sovrapposizione automatica della disciplina e dell’obbligo di adeguamento (art. 145 co. 3 e 4).
E’ auspicabile (e doveroso per ragioni di costituzionalità, come osservato) che la futura legge regionale garantisca il ruolo degli enti locali in un duplice momento: prevedendo reali forme di condecisione nella approvazione del piano paesaggistico, da conferenze di servizi ad attribuzione di pareri vincolanti; e valorizzando il sistema dell’attuazione del piano paesaggistico (art. 143 co. 4), con pianificazione “a cascata”, disincentivando invece l’effetto di sovrapposizione (art. 145 co. 3 e 4).
E non va dimenticato che l’art. 57 d.lgs. 112/98, quale norma generale, aveva ed ha individuato nell’ambito provinciale il luogo e nell’“intesa” lo strumento per il coordinamento delle varie previsioni e amministrazioni.
5.5. Ultimo problema è quello dei “vincoli”. La normativa non pone particolari questioni, collocandosi nel solco della normativa previgente e dei principi in materia. Poiché i vincoli paesaggistici, come tutti i vincoli culturali, hanno natura accertativa e non conformativa o espropriativa, non vanno indennizzati, come implicitamente confermato dal nuovo t.u. sulle espropriazioni (artt. 9, 10 e 39 del d.lgs. 8.6. 2001 n. 327 e s.m.i.).
Dunque correttamente l’art. 145 co. 4 esclude l’indennizzo per i limiti derivanti alla proprietà dallo strumento urbanistico adeguato alle previsioni del piano paesaggistico.
6.- Considerazioni conclusive.
Agli aspetti certamente positivi della nuova normativa del Codice, soprattutto per la soluzione dei nodi problematici e dei difficili rapporti fra gli enti istituzionali della previgente normativa, si accompagnano tuttavia alcuni aspetti di criticità (oltre quelli di cui si è già detto).
Al di là della questione sulle definizioni “piano paesaggistico” o “bene ambientale”, se sostanziale o meramente terminologica, ciò che induce a riflettere è che con una operazione culturalmente condivisibile e adeguata, con norme apparentemente tecniche e di “basso profilo”, si è profondamente inciso nei meccanismi tradizionali di pianificazione e tutela del territorio (e nelle relative leggi regionali), individuando un “superpiano” a contenuto predeterminato e con efficacia vincolante e sovrappositiva, disconoscendo nei fatti autonomia amministrativa alla regione e escludendo tutti gli altri enti a competenza territoriale, e ridisegnando la gerarchia degli interessi riconnessi all’uso del territorio.
Quel che è certo è che il “superpiano” paesaggistico mette definitivamente termine ad un lungo processo di integrazione fra “urbanistica” e “tutela del bene ambientale”, e dei relativi strumenti, iniziato con la l. 765/67 e continuato progressivamente con la l. 1187/68, la l. 8/72,
il d.p.r. 616/77 e la l. 431/85, verso il “governo del territorio” quale sintesi di tutte le funzioni d’uso, da attribuire alle regioni e agli enti locali, secondo le indicazioni di Giannini e di Predieri.
Risulta altresì compromesso uno degli obiettivi, auspicato da molti, della nuova normativa-quadro sul “governo del territorio”, della progressiva eliminazione dei piani di settore e della unificazione nel piano urbanistico di tutte le discipline.
Forse, occasioni irrimediabilmente perdute.
Michele Pallottino