La Consulta ribadisce che la Regione Umbria – e non il Comune – deve rendere il parere sugli strumenti urbanistici attuativi dei comuni siti in zone sismiche di Fabio Cusano

Con la sentenza n. 264 del 22 dicembre 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 9, della L.R. Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale), nel testo in vigore anteriormente all’abrogazione disposta dall’art. 271, comma 1, lett. p, della L.R. Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), nella parte in cui prevede che sia il Comune, anziché l’Ufficio Tecnico Regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

In particolare, il Consiglio di Stato, sez. IV, ha rimesso la questione alla Consulta. Ad avviso del rimettente, la norma regionale censurata violerebbe l’art. 117, comma 3, Cost., ponendosi in contrasto con la previsione dell’art. 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, da ritenere espressiva di un principio fondamentale nelle materie «governo del territorio» e «protezione civile», in base alla quale il parere sugli strumenti urbanistici generali dei Comuni siti in zone sismiche o in abitati da consolidare deve essere richiesto al competente Ufficio Tecnico Regionale.

La L.R. Umbria 11/2005, nel regolare la pianificazione urbanistica comunale, recava una disciplina derogatoria del disposto dell’art. 89 del d.P.R. 380/2001, in forza del quale tutti i comuni siti in zone sismiche o comprendenti abitati da consolidare «devono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio».

La citata legge regionale demandava, per converso, agli stessi comuni l’espressione del parere in questione, sia in rapporto agli strumenti urbanistici generali, sia in relazione ai piani attuativi.

Quanto ai primi, l’art. 13, comma 9, della L.R. Umbria 11/2005 prevedeva, infatti, che il parere di cui all’art. 89 del d.P.R. 380/2001 «in merito alle previsioni del PRG, parte strutturale», fosse espresso – al pari di quello in materia idraulica e idrogeologica – «dal comune in sede di adozione, tenuto conto degli elaborati del PRG relativi alle indagini geologiche, idrogeologiche e idrauliche, nonché agli studi di microzonazione sismica effettuati nei casi e con le modalità previste dalle normative vigenti, nonché di quanto previsto all’articolo 3, comma 1, lettera b)».

Una disposizione similare era contenuta nell’art. 24, comma 9, della stessa legge regionale – oggi censurato – con riguardo ai piani attuativi. Ivi si stabiliva, in particolare, che «il comune, in sede di adozione del piano attuativo e tenuto conto della relazione geologica, idrogeologica e geotecnica, relativa alle aree interessate, nonché degli studi di microzonazione sismica di dettaglio nei casi previsti dalle normative vigenti, esprime parere ai fini dell’articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio».

Le due disposizioni ora ricordate sono state espressamente abrogate – unitamente all’intera L.R. Umbria 11/2005 – dall’art. 271, comma 1, lett. p, della L.R. Umbria 1/2015.

Il contenuto delle disposizioni abrogate è stato peraltro trasfuso, rispettivamente, negli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della stessa L.R. 1/2015.

La prima di tali nuove disposizioni – sulla falsariga dell’abrogato art. 13, comma 9, della L.R. Umbria 11/2005 – ribadiva, infatti, che il parere di cui all’art. 89 del d.P.R. 380/2001, «sulla verifica di compatibilità delle previsioni del PRG, parte strutturale, con le condizioni geomorfologiche del territorio, nonché quello in materia idraulica e idrogeologica, in merito alle stesse previsioni del PRG, sono espressi dal comune in sede di adozione» dello stesso piano regolatore generale.

Rispetto, poi, alla pianificazione attuativa, l’art. 56, comma 3, della L.R. Umbria 1/2015 – ponendosi sulla scia del censurato art. 24, comma 9, della L.R. Umbria 11/2005 – prevedeva che lo sportello unico per le attività produttive e per l’edilizia acquisisse direttamente, ove essi non fossero già stati allegati dal richiedente il piano attuativo, «gli altri pareri, assensi, autorizzazioni e nulla-osta comunque denominati, nonché i pareri che debbono essere resi dagli uffici comunali, necessari ai fini dell’approvazione del piano attuativo compreso il parere in materia sismica, idraulica ed idrogeologica da esprimere con le modalità di cui all’articolo 112, comma 4, lettera d)».

A seguito di impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri, con la sentenza n. 68 del 2018, la Consulta ha dichiarato, peraltro, costituzionalmente illegittimi i citati artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della L.R. Umbria 1/2015, proprio nella parte in cui stabilivano che fossero i Comuni, anziché l’Ufficio Tecnico Regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali ed attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

La Consulta ha ritenuto che le norme regionali impugnate violassero l’art. 117, comma 3, Cost., in ragione del loro contrasto con l’art. 89 del T.U. Edilizia, che, nel demandare il parere in questione all’ufficio tecnico regionale competente, esprimeva un principio fondamentale in materia non solo di «governo del territorio», ma anche di «protezione civile», in quanto volto ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica.

Deve affermarsi che il contenuto normativo di una disposizione, allorché quest’ultima non sia stata formalmente rimossa dall’ordinamento, è vigente e applicabile (e, di conseguenza, ove ne ricorrano le condizioni, sottoponibile a verifica di legittimità costituzionale), pur se, in precedenza, un contenuto normativo identico, ma promanante o ricavabile da una differente disposizione, sia stato già dichiarato costituzionalmente illegittimo.

La Consulta ha già avuto modo di rilevare che «le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale di una o più norme non si estendono a quelle che non siano in esse esplicitamente menzionate, il che per argumentum si desume anche dall’art. 27 della legge n. 87 del 1953, che prevede la possibilità di estendere la pronuncia di illegittimità costituzionale a norme non espressamente impugnate. Da ciò la conseguenza che, quando la Corte non abbia fatto espresso uso di tale potere rispetto a norme analoghe o connesse […], le norme che non siano formalmente comprese nella dichiarazione di illegittimità costituzionale debbono considerarsi ancora vigenti, ancorché rispetto ad esse siano ravvisabili gli stessi vizi di incostituzionalità» (sentenza n. 436 del 1992; in senso analogo, più di recente, sentenza n. 40 del 2020).

Tale conclusione trova puntuale conferma nella nota affermazione contenuta nella sentenza n. 84 del 1996, secondo la quale la Corte «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni», e queste ultime sono altresì «il tramite di ritrasferimento nell’ordinamento» delle valutazioni operate in sede di controllo di costituzionalità. Ne discende che, se su una data disposizione questa Corte non si pronuncia, non solo la disposizione, ma anche la norma da essa espressa o da essa ricavabile continuerà a vivere nell’ordinamento, potendo peraltro quest’ultima divenire oggetto, per il tramite della relativa disposizione, d’una diversa questione di legittimità costituzionale.

In definitiva, dunque, la rimozione dall’ordinamento d’una disposizione, e del correlato contenuto normativo, si verifica solo quando la dichiarazione di illegittimità costituzionale ricada espressamente su detta disposizione, ritrasferendo su di essa gli esiti e gli effetti dello scrutinio sulla relativa norma condotto da questa Corte.

Ciò chiarito, la Corte ha ribadito quanto già affermato nella richiamata sentenza n. 68 del 2018. Anche l’art. 24, comma 9, della L.R. Umbria 11/2005, prevedendo che il parere sismico sugli strumenti urbanistici attuativi sia reso dal Comune, si pone dunque in contrasto con il principio fondamentale posto dall’art. 89 del d.P.R. 380/2001.

È, pertanto, costituzionalmente illegittima la norma censurata, nella parte in cui prescrive che sia il Comune, anziché l’Ufficio Tecnico Regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici attuativi dei comuni siti in zone sismiche.

Corte cost. 264 del 2022