La Consulta dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 bis, c. 1, del T.U. edilizia di Fabio Cusano

Sentenza n. 85 del 2023

 

Con la sentenza 4 maggio 2023, n. 85, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis, comma 1, del TUED, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettere m) e s), e terzo, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quarta; e le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della LR Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), sollevate, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettere m) e s), e terzo, Cost., dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Il Consiglio di Stato, sez. IV, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia, in riferimento agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettere m) e s), e terzo, Cost.; con la medesima ordinanza sono state altresì sollevate, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettere m) e s), e terzo, Cost.

La vicenda da cui trae origine il giudizio a quo riguarda le determinazioni urbanistiche assunte dal Comune di Villasanta, il quale, in sede di variante generale al PGT, ha stabilito che una vasta area, sulla quale in precedenza insisteva una raffineria ora in stato di dismissione, dovesse essere destinata a una reindustrializzazione «ampliata a funzioni di “mixité”, cioè a esercizi commerciali di vicinato, esercizi pubblici, artigianato e terziario».

Per l’area in questione, le determinazioni pianificatorie comunali prevedevano una dotazione a standard pari al 55% della superficie complessiva del compendio, e in ogni caso superiore alla percentuale minima (10%) che l’art. 5 del DM 1444/1968 prevede per le dotazioni infrastrutturali (spazi pubblici, attività collettive, aree verdi e parcheggi) che devono essere previste, in sede di pianificazione, per gli insediamenti di carattere industriale.

Il TAR Lombardia riteneva che la determinazione delle aree da adibire a standard e da cedere al Comune, di gran lunga superiore ai minimi di cui all’art. 5 del DM 1444/1968, non fosse assistita da adeguata motivazione. Avverso tale pronuncia hanno interposto appello tanto la parte privata, quanto il Comune, il quale, in particolare, ha sostenuto che la deroga alle percentuali contenute nel DM 1444/1968 fosse consentita dall’art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il sindacato sulla legittimità di tale scelta derogatoria imponga preliminarmente di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia, il quale costituirebbe il presupposto della disposizione regionale, per il fatto di aver consentito a tutte le Regioni di derogare al rispetto delle previsioni sui limiti e i rapporti concernenti gli standard urbanistici. Dalla caducazione di tale disposizione statale deriverebbe, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale della norma regionale che si porrebbe a fondamento dell’esercizio del potere derogatorio concretamente esercitato, nel caso di specie, dal Comune di Villasanta.

Le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e della Regione Lombardia, intervenienti in giudizio, nonché del Comune di Villasanta, costituitosi quale parte, hanno eccepito, sotto diversi profili, l’inammissibilità delle questioni.

La Regione e il Comune osservano come, nel caso di specie, le scelte pianificatorie adottate dal Comune non avrebbero in alcun modo derogato al DM 1444/1968, posto che quest’ultimo, con riguardo alle dotazioni infrastrutturali di interesse pubblico, prevede unicamente un limite minimo, laddove invece la parte privata proprietaria del compendio industriale si è lamentata della scelta del medesimo Comune di sovradimensionare, a carico della stessa, gli standard rispetto alle percentuali minime. Se ne dovrebbe ricavare che, nel caso di specie, non vi sia stata alcuna deroga, sicché il rimettente non sarebbe in alcun modo chiamato a dare applicazione alle due norme che si porrebbero a fondamento di quel potere di deroga, vale a dire l’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia e l’art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005.

Strettamente connessa a questa è poi l’ulteriore eccezione di inammissibilità, prospettata dal solo Comune di Villasanta, secondo cui vi sarebbe uno specifico difetto di rilevanza riguardante la disposizione regionale da ultimo richiamata. Quest’ultima consentirebbe ai Comuni di derogare alle disposizioni del DM 1444/1968 unicamente «ai fini dell’adeguamento, ai sensi dell’art. 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti», laddove le prescrizioni relative al compendio sarebbero contenute in «un nuovo PGT e non in un suo aggiornamento».

Avendo vincolato i Comuni lombardi, dopo l’approvazione della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, ad aggiornare gli strumenti pianificatori generali, il legislatore lombardo ha previsto che questi ultimi potessero derogare alle disposizioni contenute nel DM 1444/1968. Con l’art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 si è infatti stabilito che «ai fini dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 […], fatto salvo, limitatamente agli interventi di nuova costruzione, il rispetto della distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri, derogabile tra fabbricati inseriti all’interno di piani attuativi e di ambiti con previsioni planivolumetriche oggetto di convenzionamento unitario».

Nell’ambito di questa evoluzione normativa è successivamente intervenuto l’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia. Esso stabilisce che «ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».

Ricostruita la normativa regionale, ad avviso della Consulta le eccezioni di inammissibilità avanzate dalle difese della Regione e del Comune devono essere accolte.

Il presupposto da cui muove il rimettente è che il censurato art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia si ponga a fondamento dell’art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, con cui è stato attribuito ai Comuni lombardi il potere di derogare in via generale alle prescrizioni sugli standard urbanistici di cui al DM 1444/1968; un potere di cui si sarebbe avvalso, nel caso di specie, il Comune di Villasanta nel momento in cui, approvando la variante generale al PGT, ha sovradimensionato gli standard dell’area de quo. Ad avviso del Consiglio di Stato, «essendo venuto meno, per il tramite del meccanismo di deroga di cui all’articolo 2-bis, anche il limite minimo nella fissazione degli standard», al giudice sarebbe impedito «di sindacare, in base ai parametri di legittimità, di ragionevolezza e di proporzionalità, le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’ambito della pianificazione urbanistica».

Tale motivazione non può essere condivisa con riferimento sia alla norma statale che alla norma regionale. Innanzitutto, è manifestamente errato il presupposto da cui muove il rimettente, secondo cui l’art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 costituirebbe «attuazione di quanto stabilito» nell’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia.

Come si è detto, la disposizione regionale è stata inserita nel 2008 all’interno della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 e, quindi, in un momento in cui l’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia (introdotto solo con il d.l. n. 69 del 2013) e la supposta deroga in esso contenuta non facevano ancora parte dell’ordinamento giuridico. Deve, pertanto, escludersi che tra le due disposizioni sussista quel nesso di reciproca implicazione che vi ha visto il rimettente, restando così del tutto indimostrata, con riguardo alla questione avente ad oggetto l’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia, la necessità che «il giudice debba effettivamente applicare la disposizione della cui legittimità costituzionale dubita nel procedimento pendente avanti a sé (ex plurimis, sentenze n. 202 e n. 15 del 2021, n. 253 del 2019 e n. 20 del 2018)» (sentenza n. 31 del 2022).

Se quindi, per un verso, si deve escludere che l’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia trovi applicazione nel giudizio a quo, parimenti erroneo si dimostra, per altro verso, l’ulteriore assunto del rimettente, secondo cui la decisione comunale di sovradimensionare gli standard costituirebbe esercizio di un potere derogatorio riconducibile al richiamato art. 103, comma 1-bis, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005. Quest’ultimo stabilisce infatti che i Comuni lombardi sono autorizzati a derogare alle disposizioni del DM 1444/1968 «ai fini dell’adeguamento, ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti». Tali ultime previsioni si riferiscono ai termini a disposizione dei Comuni per avviare il procedimento di adeguamento dei PRG alla nuova conformazione dei piani di governo del territorio.

Alla luce di ciò, si deve ritenere che la deroga consentita dal citato art. 103, comma 1-bis ha avuto un ambito di applicazione limitato sia dal punto di vista funzionale che temporale, avendo operato unicamente nella fase in cui i Comuni hanno adeguato i PRG in vista dell’adozione dei PGT.

Per tali ragioni, si deve ritenere che, nel giudizio a quo, non operando né la deroga di cui alla norma statale, né, ancor prima, quella di cui alla norma regionale, l’asserito sovradimensionamento della dotazione a standard vada riferito, ai fini del sindacato sul relativo potere discrezionale del Comune, ai limiti e ai rapporti disciplinati dallo stesso DM 1444/1968, che risulta applicabile alla fattispecie da cui trae origine la controversia.

Le questioni sollevate sono quindi inammissibili, perché esse, e in particolare quelle aventi ad oggetto l’art. 2-bis, comma 1, T.U. edilizia, muovono da un presupposto interpretativo manifestamente erroneo, che le rende prive del requisito della rilevanza.