Con la sentenza n. 163 del 27 luglio 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, lettera a), comma 6, lettere b) e d), numeri 1) e 2), della LR Molise n. 7 del 2022.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale concernenti alcune disposizioni della LR Molise n. 7 del 2022.
È impugnato anzitutto l’art. 6, comma 2, della LR Molise n. 7 del 2022. Come emerge chiaramente dal testo della censura, essa è limitata alla previsione recata dalla lettera a), che sostituisce le parole «30 aprile 2022» con quelle «30 aprile 2023» nel testo dell’art. 1, comma 1, ultimo periodo, della LR Molise n. 25 del 2008, concernente la disciplina degli interventi edilizi per il recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati e dei porticati.
La disposizione denunziata prolunga il termine entro il quale sono transitoriamente ammessi gli interventi modificativi dell’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori assoggettati a tutela paesaggistica, in attesa che sopraggiunga un accordo tra Regione e Ministero della cultura.
La proroga si innesta in un testo normativo frutto di precedenti integrazioni, via via succedutesi nel tempo. In tal modo, il legislatore molisano, pur nella perdurante assenza di un piano paesaggistico condiviso con lo Stato ai sensi delle previsioni del cod. beni culturali, aveva già ammesso la possibilità di modifiche all’aspetto esteriore degli edifici purché entro i binari di una concertazione di livello preliminare, destinata teoricamente a confluire nella pianificazione paesaggistica (una volta, naturalmente, che questa fosse stata definitivamente varata).
Le questioni sono fondate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La Corte ha ripetutamente affermato che il sistema di pianificazione paesaggistica, come delineato dal codice di settore, costituisce «attuazione dell’art. 9, secondo comma, Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti (da ultimo, sentenze n. 187, n. 45 e n. 24 del 2022, n. 219 e n. 74 del 2021)» (sentenza n. 229 del 2022). L’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica assurge, dunque, a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale (ex plurimis, sentenze n. 187, n. 45 del 2022, n. 74 del 2021 e n. 240 del 2020), ed è espressione delle scelte del legislatore nazionale, dotato in materia di competenza legislativa esclusiva ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La «tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali» (sentenza n. 367 del 2007), rimanendo comunque salva la facoltà delle regioni «di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell’ambiente» (sentenze n. 272 e n. 12 del 2009).
Coglie pertanto nel segno la censura che lamenta la violazione del principio della copianificazione paesaggistica, come codificato nelle norme nazionali di settore richiamate dal ricorso, che costituiscono espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La previsione impugnata, infatti, protrae nel tempo la possibilità, già eccezionale e transitoria, di realizzare modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, anche nei territori che risultino assoggettati a tutela paesaggistica (sulla base di vigenti prescrizioni ministeriali); e ciò stabilisce prescindendo, in modo esplicito, dal necessario percorso condiviso con lo Stato, finalizzato a confluire nel piano paesaggistico. Essa si pone, pertanto, al di fuori di qualsiasi schema di cooperazione o di collaborazione con l’autorità statale competente, pur con riferimento a beni il cui rilievo paesaggistico risulti attestato da apposito provvedimento ministeriale e che, come tali, richiedono la pianificazione congiunta ai sensi degli artt. 135, comma 1, e 143, comma 1, cod. beni culturali.
Siffatta previsione, come ulteriormente riferito nel ricorso, è stata introdotta dal legislatore molisano dopo che la stessa Regione si era formalmente impegnata con il Ministero ad introdurre modifiche legislative che avrebbero dovuto essere di opposto tenore, in quanto dirette a contenere – e non a ulteriormente aggravare – la deroga al principio di pianificazione congiunta che era stata introdotta con la LR Molise n. 1 del 2021. A fronte di simile impegno, peraltro, il ricorrente riferisce di non aver provveduto a impugnare la predetta legge regionale del 2021 proprio in un’ottica di collaborazione istituzionale.
In questo complessivo contesto, in cui la Regione, come chiarito, è priva di un piano paesaggistico frutto di condivisione con lo Stato, e in cui non è neppure stato raggiunto l’accordo preliminare volto alla sola regolazione degli interventi edilizi di modifica degli aspetti esteriori degli edifici (pur preannunziato dalla LR n. 14 del 2020), la decisione unilaterale della Regione di prorogare il termine entro il quale sono consentiti quegli interventi costituisce violazione non solo degli impegni assunti con il Governo, ma soprattutto di quanto prescritto dal cod. beni culturali che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire «l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente» (sentenza n. 210 del 2016).
Deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettera a), della LR Molise n. 7 del 2022, per violazione della competenza esclusiva del legislatore statale che, nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ha codificato il principio della pianificazione paesaggistica congiunta negli artt. 135 e 145 cod. beni culturali.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato altresì l’art. 6, comma 6, lettere b) e d), della LR Molise n. 7 del 2022, deducendo la violazione del principio di leale collaborazione, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e degli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (evocati quali norme interposte). Le disposizioni impugnate modificano, estendendone la portata, la disciplina degli interventi edilizi straordinari di cui alla LR Molise n. 30 del 2009 (c.d. legge sul Piano Casa). L’estensione opera su un duplice piano, interessando ora la tipologia di costruzioni che possono subire ampliamenti della volumetria edilizia, ora il margine temporale entro il quale gli interventi in deroga vengono consentiti. Tratto comune è l’allargamento delle precedenti ipotesi di deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici.
In particolare, con la lettera b), sono soppresse alcune parole nel testo dell’art. 2-bis, comma 1, della LR Molise n. 30 del 2009, che già consentiva interventi di ampliamento volumetrico per il recupero degli edifici ricadenti nei centri storici. Nel dettaglio, sono soppresse «le parole ricomprese tra “ampliamento degli edifici” ed “esistenti alla data del 31 dicembre 2014”».
La seconda disposizione impugnata, ossia l’art. 6, comma 6, lettera d), al numero 1), ha provveduto invece a sostituire alcune parole nel testo dell’art. 11, comma 1, primo periodo, della LR sul Piano Casa, che ne fissava la tempistica di applicazione. In luogo della data «31 dicembre 2022» viene adesso prevista la data del «31 dicembre 2024». Ancora, il numero 2) della lettera d) opera un’ulteriore sostituzione di date, questa volta intervenendo sul testo dell’ultimo periodo del medesimo art. 11, comma 1, della stessa LR sul Piano Casa. Vengono sostituite le parole «30 aprile 2022» con le parole «30 aprile 2023.
Le questioni sono fondate.
La Corte ha ricondotto le disposizioni regionali attuative della disciplina del Piano Casa alla competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto esse disciplinano, nel loro nucleo essenziale, aspetti attinenti alla normativa edilizia e urbanistica (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 17 del 2023).
Con specifico riguardo alle norme regionali che, successivamente all’adozione della legge sul piano casa di una determinata regione, hanno previsto proroghe per la realizzazione degli interventi in deroga, la Corte ha affermato che il conseguente ampliamento degli interventi assentibili non interferisce, di per sé solo considerato, con il diverso profilo della tutela del paesaggio, in quanto «il valore unitario e prevalente della pianificazione paesaggistica […] mantiene intatta la sua forza imperativa anche con riguardo alle leggi regionali attuative del “Piano casa”, piano che, pur nelle sue differenti versioni, deve essere sottoposto a stretta interpretazione per quel che attiene alla sua portata derogatoria» (sentenze n. 17 del 2023, n. 229 del 2022 e n. 170 del 2021; nello stesso senso, ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 124 del 2021).
In questa prospettiva, qualora la legge regionale di proroga (o, comunque, di ampliamento oggettivo degli interventi assentibili secondo il piano casa) non preveda deroghe espresse alle previsioni di tutela paesaggistica, essa «può e deve essere interpretat[a] in termini compatibili con le prescrizioni del piano paesaggistico, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte» (così, ex plurimis, sentenza n. 59 del 2023); ciò, tuttavia, a condizione che, per l’appunto, si tratti di regione dotata di piano paesaggistico, frutto di condivisione con la competente autorità statale, secondo le prescrizioni del cod. beni culturali.
Come ritenuto dalla Corte, infatti, l’omessa indicazione, da parte del legislatore regionale, della espressa necessità di rispettare il piano paesaggistico o il codice di settore «non determina di per sé l’illegittimità costituzionale della disposizione solo ove nella stessa regione sia operante un piano paesaggistico approvato secondo quanto previsto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (sentenze n. 187 e n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021)» (così, da ultimo, sentenza n. 251 del 2022).
Conseguentemente, la Corte ha predicato la necessità di una «maggiore cautela» nel valutare le norme regionali che intersechino profili attinenti alla pianificazione paesaggistica, qualora ci si trovi di fronte alla mancanza di un piano paesaggistico codeciso tra lo Stato e la regione; e ciò, «[n]on perché la Regione non possa in nessun caso attivare le proprie competenze legislative, ma perché va evitato il rischio che esse […] permettano il consolidamento di situazioni tali da ostacolare il compiuto sviluppo della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 187 del 2022, sul punto richiamata dalla sentenza n. 251 del 2022).
Nel caso di specie, ai fini dell’accoglimento delle questioni promosse, assume rilevanza la medesima premessa da cui la Corte è più sopra partita nell’esame della prima questione, cui va aggiunta un’ulteriore circostanza che caratterizza il complessivo scenario di tutela paesaggistica vigente nella Regione Molise. Da un lato, si ribadisce il rilievo della perdurante mancanza di una pianificazione paesaggistica condivisa con lo Stato. Non solo non è stato ancora approvato un piano paesaggistico secondo il procedimento indicato dal cod. beni culturali, ma (analogamente a quanto visto con riguardo alla prima questione) non sono stati nemmeno conclusi accordi prodromici a detta approvazione, pur già astrattamente previsti dalle norme che regolano aspetti settoriali della tutela paesistica, come nel caso che riguarda le possibili modifiche dell’aspetto esteriore degli edifici in contesti paesaggisticamente tutelati. Dall’altro lato, ad aggravare il precario contesto di tutela, si è introdotta una deroga espressa al principio di prevalenza della tutela paesaggistica, pur se temporanea e limitata a specifici interventi edilizi.
Una delle disposizioni impugnate, infatti, ammette la possibilità di realizzare modifiche all’aspetto esteriore degli edifici pur in contesti paesaggisticamente tutelati, prescindendo dunque dalle prescrizioni vigenti; e ciò è tanto più grave, in quanto tale norma è introdotta, come eccezione esplicita, in chiusura della disposizione (l’art. 11, comma 1, della LR n. 30 del 2009) che stabilisce l’ambito di applicazione temporale della legge sul “Piano casa”.
Alla luce delle osservazioni che precedono, emerge anzitutto l’illegittimità costituzionale della modifica che ha interessato la disciplina sul recupero degli immobili situati nei centri storici di cui all’art. 2-bis, comma 1, della LR Molise n. 30 del 2009. L’ampliamento fino al venti per cento del volume esistente, oggi consentito anche per gli edifici non residenziali situati nei centri storici (purché esistenti alla data del 31 dicembre 2014), senza una contestuale ed esplicita clausola di salvaguardia delle norme dettate dal cod. beni culturali, e nell’attuale assenza di una pianificazione paesaggistica condivisa (sentenza n. 251 del 2022), rischia di sottoporre i beni dotati, anche potenzialmente, di rilevanza paesaggistica ad un abbassamento della tutela praticabile, anche e soprattutto in prospettiva futura. Il procedimento di pianificazione, nel momento in cui interverrà, dovrà infatti confrontarsi con situazioni già consolidate (sentenza n. 187 del 2022), eventualmente anche in modo irreversibile, per effetto dell’attuale disciplina maturata al di fuori del percorso condiviso con lo Stato.
In simile situazione, non è sufficiente la clausola di salvezza, pur contemplata dal comma 2 dell’art. 2-bis in esame, che ammette gli ampliamenti in questione «ferme restando le autorizzazioni connesse alla disciplina dei vincoli». Al momento, infatti, i «vincoli» così preservati sono solo quelli apposti in assenza della pianificazione condivisa con lo Stato, e dunque non si riferiscono a quelle situazioni che – pur potenzialmente tutelabili, all’esito del procedimento di pianificazione regolato ai sensi del codice di settore – rischiano di rimanere definitivamente compromesse per l’assenza di attuali protezioni.
Ancor più grave è il vulnus recato dalle due ulteriori previsioni impugnate, che allargano la finestra temporale entro la quale sono consentiti gli interventi in deroga previsti dalla legge molisana sul “Piano casa”. Da un lato, viene prorogata al 31 dicembre 2024 la possibilità di presentare la SCIA o la dichiarazione di inizio attività (DIA) per tutti gli interventi edilizi in deroga (nuovo testo del primo periodo dell’art. 11, comma 1); dall’altro lato, è disposta la proroga al 30 aprile 2023 per gli interventi che comportano modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, pur se in contesti paesaggisticamente tutelati, nelle more dello specifico accordo Regione-Ministero (nuovo testo dell’ultimo periodo dell’art. 11, comma 1).
Entrambe le proroghe scontano una duplice mancanza. Per un verso, analogamente alla disposizione prima esaminata di cui all’art. 2-bis, comma 1, anche qui non può considerarsi sufficiente la clausola di salvezza contenuta nel comma 2 dell’art. 11 (secondo cui «Le disposizioni di cui alla presente legge, fatto salvo quanto previsto ai successivi commi, si applicano anche agli edifici soggetti a specifiche forme di tutela, a condizione che gli interventi siano espressamente autorizzati dall’autorità competente alla relativa tutela, in conformità della normativa statale, regionale o degli strumenti urbanistici e territoriali»). Come nel caso prima esaminato, tale clausola fa salve unicamente le «specifiche forme di tutela» attualmente vigenti, derivanti quindi da una cornice pianificatoria che non è frutto della condivisione con lo Stato, mettendosi così a repentaglio la futura pianificazione che, pur entro i binari procedimentali segnati dalle norme del cod. beni culturali, non potrà che prendere atto delle situazioni di fatto irrimediabilmente ormai consolidatesi.
Per altro verso, e ancor più gravemente, l’effettiva vigenza di quella clausola di salvezza è revocabile in dubbio per il sopravvenire di altra clausola, meno ampia, che è stata introdotta direttamente nel testo del comma 1 (a opera, come già visto, dell’art. 3, comma 1, della LR Molise n. 14 del 2020, che ha introdotto il terzo periodo dell’art. 11, comma 1, della LR Molise n. 30 del 2009) e che, pur collocata all’interno della disposizione originariamente dedicata a segnare il generale ambito temporale di applicazione di tutti gli interventi del “Piano casa”, si riferisce bensì alla salvaguardia dei beni paesaggistici, ma limitatamente «[a]gli interventi comportanti modifiche all’aspetto esteriore degli edifici» (non, dunque, a tutti gli interventi assentibili in deroga, secondo la legge sul “Piano casa”).
Oltretutto, tale meno ampia clausola di salvezza è ulteriormente limitata dall’esplicita introduzione, proprio con una delle disposizioni impugnate nel presente giudizio, della deroga transitoria, che ammette le modifiche all’aspetto esteriore degli edifici anche nei contesti paesaggisticamente vincolati fino al 30 aprile 2023.
Ne risulta un quadro normativo regionale in cui l’ampliamento oggettivo degli interventi edilizi in deroga, assentibili secondo la legge sul “Piano casa” (a notevole distanza di tempo dall’approvazione di quest’ultima), non è assistito da adeguate clausole di salvaguardia paesaggistica, in un contesto che tuttora vede inattuate le norme del cod. beni culturali sulla pianificazione paesaggistica condivisa.
Tutte e tre le disposizioni impugnate sono, pertanto, costituzionalmente illegittime per violazione della competenza esclusiva del legislatore statale – che, nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ha codificato il principio della pianificazione paesaggistica congiunta agli artt. 135 e 145 cod. beni culturali – e per il conseguente abbassamento del livello di tutela ambientale (art. 9 Cost.).