Inammissibili gli atti processuali troppo lunghi, di Fabio Cusano

Come rappresentato dal Collegio al difensore di parte appellante, il ricorso introduttivo del presente grado di giudizio supera i limiti dimensionali stabiliti in applicazione dell’art. 13-ter, comma 2, dell’allegato II al codice del processo amministrativo, secondo cui al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza di cui all’articolo 3, comma 2, del codice del processo amministrativo, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 dicembre 2016.

Il predetto decreto è stato adottato in data 22 dicembre 2016 e, all’articolo 3, comma 1, lett. b), prevede, per i ricorsi ordinari, il limite massimo di 70.000 caratteri, al netto dell’epigrafe, delle conclusioni, della premessa riassuntiva, degli spazi, e delle ulteriori parti indicate al successivo articolo 4. Tale limite è derogabile ma, nella specie, non risulta richiesta la prescritta autorizzazione né in via preventiva (cfr. art. 6) né a sanatoria (cfr. art. 7).

Nel caso di specie, al netto dell’epigrafe e delle ulteriori parti escluse ai sensi dell’art. 4, il numero massimo di 70.000 caratteri consentiti, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b) del menzionato decreto, risulta utilizzato ed esaurito a p. 52 del ricorso, prima della articolazione dei motivi di appello che quindi il Collegio non è tenuto ad esaminare, quale sanzione prevista dal legislatore per i casi di violazione del principio di sinteticità degli atti processuali previsto dall’art. 3 c.p.a.

Recita infatti l’art. 13-ter, comma 5 dell’allegato II al c.p.a. che “Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione.”.

Ne discende che il ricorso, in presenza di motivi di appello che il collegio non è tenuto ad esaminare diviene inammissibile perché, in relazione ad una parte essenziale per la identificazione della domanda – richiesta dall’art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità -, viene meno l’obbligo di provvedere e con esso la stessa possibilità di esame della domanda.

Inoltre, è stato chiarito che “secondo la più corretta esegesi, tale previsione non lascia al giudice la facoltà di esaminare o meno le questioni trattate nelle pagine successive al limite massimo, ma, invece, in ossequio ai principi di terzietà e imparzialità, obbliga il giudice a non esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine” (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487).

In generale sulla violazione del principio di sinteticità degli atti processuali la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito che “il superamento dei limiti dimensionali è questione di rito afferente all’ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell’interesse pubblico all’ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d’ufficio a prescindere da eccezioni di parte. Il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai canoni di economia processuale e celerità” (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487 nonché Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 280 ivi ampi riferimenti di giurisprudenza).

L’appello è stato pertanto dichiarato inammissibile.