La Corte costituzionale sul trasferimento degli alloggi statali per il sisma del 1980, di Fabio Cusano

La Corte di cassazione, sezione II civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-bis, comma 1, primo periodo, del d.l. n. 244 del 1995 nella parte in cui non prevede la cessione gratuita in proprietà, ai relativi assegnatari, degli alloggi prefabbricati costruiti o acquistati dai comuni delle Regioni Campania e Basilicata, quali concessionari del Commissario straordinario per il terremoto del 1980, ai sensi del d.l. n. 776 del 1980, per violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto agli assegnatari degli alloggi prefabbricati costruiti dallo Stato, ai sensi del d.l. n. 75 del 1981.

Ad avviso della Corte costituzionale, la questione è fondata.

L’art. 21-bis, comma 1, primo periodo, è stato introdotto in sede di conversione del d.l. n. 244 del 1995: uno dei numerosi decreti-legge che si ascrivono alla sequenza di provvedimenti normativi emanati per far fronte, tramite varie tipologie di interventi, alle molteplici criticità determinate dal terremoto che ha colpito l’Irpinia nel 1980. La norma censurata prevede il trasferimento a titolo gratuito, insieme alle parti comuni, di alloggi prefabbricati a favore di chi ne abbia ottenuto formale assegnazione, anche provvisoria. In particolare, l’art. 21-bis, comma 1, primo periodo, individua i beni oggetto di tale trasferimento: in rapporto alla loro ubicazione, nei comuni della Campania e della Basilicata; in funzione di chi li ha costruiti, lo Stato; e in relazione alla fonte normativa, in virtù della quale sono stati realizzati e finanziati, il d.l. n. 75 del 1981. Sennonché tale delimitazione non ricomprende i beni oggetto della pretesa fatta valere nel giudizio principale, che condividono con la fattispecie disegnata dal legislatore, e in specie con i criteri normativi che determinano gli alloggi oggetto del trasferimento, solo il dato relativo alla loro ubicazione, trattandosi, per il resto, di prefabbricati acquistati o costruiti dal Comune, e non dallo Stato, e realizzati ai sensi del d.l. n. 776 del 1980, e non del d.l. n. 75 del 1981.

Va preliminarmente precisato che il riferimento alla costruzione degli alloggi da parte dello Stato non identifica, di necessità, anche la titolarità dei beni in capo al medesimo, tanto più se si considera che la norma censurata si colloca nell’ambito di un atto normativo che, per effetto di successive integrazioni, fornisce con riguardo a tale profilo indici interpretativi non univoci. Nel senso della titolarità dei beni in capo allo Stato depongono i commi 3 e 4 del medesimo art. 21-bis, i quali prevedono, rispettivamente, che «[l]e domande per ottenere la cessione in proprietà degli alloggi di cui al comma 1 debbono essere presentate dagli interessati all’ufficio del territorio dell’Amministrazione finanziaria della provincia territorialmente competente entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» e che «il responsabile dell’ufficio del territorio stipula nei successivi tre mesi dalla presentazione della domanda stessa l’atto di cessione in proprietà dell’immobile assegnato a ciascun avente diritto». D’altro canto, il secondo periodo del comma 1 dell’art. 21-bis evoca una possibile titolarità degli alloggi in capo al comune, essendo quest’ultimo indicato quale soggetto cedente. La previsione stabilisce, infatti, che «[l]e disposizioni di cui al precedente periodo si applicano anche agli alloggi prefabbricati che siano stati realizzati con parziale ricorso a tecniche di edilizia tradizionale, fatta salva la facoltà del comune cedente di determinare un prezzo di cessione commisurato agli eventuali oneri di manutenzione sostenuti». Deve, dunque, ritenersi che i beni individuati dall’art. 21-bis, comma 1, primo periodo, sono tanto quelli rimasti nella titolarità dello Stato, quanto quelli costruiti con oneri a carico dello stesso e trasferiti ai comuni.

Ciò premesso, il riferimento alla possibile titolarità degli alloggi, in capo sia allo Stato sia al comune, non risolve il problema della esclusione, dal perimetro normativo dei beni oggetto della cessione obbligatoria e gratuita, dei prefabbricati di cui si chiede il trasferimento nel giudizio principale. Anche, infatti, a voler adottare una interpretazione più estesa del richiamo agli alloggi «costruiti dallo Stato», l’oggetto della cessione obbligatoria e gratuita, di cui all’art. 21-bis, comma 1, primo periodo, resta comunque circoscritto ai beni costruiti e finanziati sulla base di una precisa fonte normativa: il d.l. n. 75 del 1981. La norma, pertanto, non include gli alloggi prefabbricati che, al pari di quelli di cui si controverte nel giudizio principale, sono stati realizzati in virtù di quanto disposto da altra fonte normativa (il d.l. n. 776 del 1980), diversa e antecedente rispetto a quella richiamata nel citato comma 1 dell’art. 21-bis. Il puntuale riferimento testuale a una specifica disciplina, che identifica gli alloggi oggetto della cessione gratuita, senza includere quelli realizzati in base a una fonte normativa antecedente, è un dato non certo irrilevante e che anzi depone nel senso di una esclusione degli alloggi costruiti in precedenza. Al contempo, non può invocarsi, tanto più all’interno di una disciplina che attribuisce un beneficio, la sola della norma per ravvisare una analogia tra le diverse fonti che disciplinano in maniera ratio articolata la realizzazione degli alloggi prefabbricati, grazie a risorse provenienti talora direttamente dallo Stato, talora da donazioni effettuate allo Stato con vincolo di destinazione a favore delle zone terremotate (art. 2, comma 1, del decreto-legge 27 febbraio 1982, n. 57, il cui testo è riprodotto nell’art. 92, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 1990, n. 76). Pertanto, benché sarebbe stata auspicabile una disciplina organica concernente il trasferimento gratuito degli alloggi prefabbricati a favore degli assegnatari, rimasti privi della loro abitazione a causa del terremoto, non è dato disattendere il dato testuale, in nome della sola ratio della norma censurata.

Dove, dunque, il testo della disposizione frappone ostacoli all’interprete, è allora che la ratio della norma opera quale metro del giudizio sulla irragionevole disparità di trattamento tra la fattispecie delineata dal legislatore e quella cui si ascrive la situazione oggetto del giudizio principale.

Secondo la giurisprudenza della Corte, «la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso» (da ultimo sentenza n. 270 del 2022, nello stesso senso sentenze n. 43 del 2022 e n. 276 del 2020), sicché «“l’introduzione di regimi differenziati è consentita solo in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioè giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio […] (sentenza n. 172 del 2013)” (sentenza n. 107 del 2018)» (sentenza n. 112 del 2021).

Ebbene, non vi è dubbio che la ragione giustificativa della norma censurata si debba rinvenire – come già anticipato – nell’esigenza di garantire agli assegnatari di tali alloggi una maggiore stabilità nella tutela della loro esigenza abitativa tramite l’acquisizione di un diritto di proprietà, vincolato al soddisfacimento del richiamato bisogno. L’art. 21-bis, comma 5, del d.l. n. 244 del 1995, come convertito, dispone, infatti, che «[g]li alloggi ceduti in proprietà agli aventi diritto devono conservare, a pena di nullità dell’atto di cessione, la loro destinazione abitativa, non sono cedibili in locazione, permuta, usufrutto o comodato e non sono alienabili per venti anni a decorrere dalla data di accatastamento».

Chiarita la funzione della norma censurata, non si ravvisa alcuna ragionevole e necessitata connessione fra tale ratio, orientata alla tutela degli assegnatari degli alloggi prefabbricati, ubicati nei comuni colpiti dal terremoto dell’Irpinia, e il tipo di ente pubblico che si è fatto carico della loro costruzione o acquisizione: il comune piuttosto che lo Stato. Ancor meno giustificabile è restringere l’ambito dei beneficiari a coloro che siano assegnatari di un prefabbricato realizzato sulla base di uno specifico decreto-legge, anziché di un diverso atto normativo parimenti intervenuto nello stesso contesto di gestione dell’emergenza abitativa suscitata dall’evento sismico. Gli elementi che differenziano la previsione legislativa dalla condizione in cui versano i ricorrenti del giudizio principale attengono a profili che risultano del tutto estranei alle istanze di tutela che sorreggono la norma: istanze che si limitano a sopperire, con la proprietà di alloggi prefabbricati, alle esigenze abitative di chi, oltre quarant’anni fa, è stato vittima degli effetti distruttivi del terremoto verificatosi in Irpinia. L’esclusione dalla norma censurata della platea di beneficiari individuata dal giudice a quo non trova, dunque, alcuna logica giustificazione e comporta una irragionevole disparità di trattamento fra le due categorie di soggetti, parimenti meritevoli della medesima protezione.

Le considerazioni svolte conducono a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 21-bis, comma 1, primo periodo, del d.l. n. 244 del 1995, nella parte in cui non prevede la cessione gratuita in proprietà ai relativi assegnatari degli alloggi prefabbricati costruiti o acquistati dai comuni delle Regioni Campania e Basilicata, quali concessionari del Commissario straordinario per il terremoto del 1980, ai sensi del d.l. n. 776 del 1980.