Il trilemma ambientale, paesaggistico-culturale ed energetico di Fabio Cusano
Una impresa presentava alla Regione Molise due istanze di autorizzazione unica per la realizzazione di due paleeoliche; la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise esprimeva, in sede di conferenza di servizi, vi si opponeva a causa delle interferenze visive che le citate pale avrebbero cagionato a danno di talune croci votive; ciononostante, la Regione rilasciava le autorizzazioni in favore dell’impresa. In seguito, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise dichiarava di particolare interesse culturale le citate croci votive e assoggettava a tutela indiretta le aree limitrofe ai manufatti culturali, inibendo la realizzazione delle suddette pale.
L’impresa richiedente le autorizzazioni impugnava i decreti della Direzione Regionale; il TAR Molise accoglieva il ricorso rilevando l’illogicità, l’incoerenza e l’incompletezza delle valutazioni compiute dalla citata Direzione, poiché gli impugnati decreti si sarebbero limitati ad affermare una rilevanza storico-artistica dei manufatti in questione senza esplicitare né gli elementi dai quali desumerne il valore culturale né l’effettiva e qualificata rilevanza che i manufatti avrebbero concretamente assunto nella comunità di riferimento.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Ministero della Cultura sostenendo che i decreti impugnati sarebbero assistiti da adeguata e congrua motivazione.
Con sentenza del 23 settembre 2022 n. 8167, il Consiglio di Stato ha dichiarato l’appello fondato. Il potere ministeriale di vincolo richiede una valutazione che non può basarsi sulle acquisizioni delle scienze esatte; l’esigenza di oggettività e uniformità di valutazione dei tecnici del settore (storici dell’arte, antropologi, architetti, urbanisti) non può che risentire del predetto limite epistemologico. Di riflesso, la dichiarazione di interesse deve tenere conto di considerazioni che si impongono caso per caso, ben potendo la situazione concreta richiedere la maggiore (o minore) considerazione di alcuni criteri a discapito di altri. Nel caso di specie il Consiglio ha rilevato che il difetto di istruttoria e motivazione è contraddetto dalla quantità e qualità di elementi conoscitivi che sorreggono i decreti impugnati; emergono in modo chiaro le ragioni in base alle quali il sistema delle croci votive caratterizza storicamente l’ampio paesaggio naturale e agrario circostante. In conclusione, non sono stati offerti al Consiglio elementi idonei a smentire la ricostruzione storica ed etnoantropologica operata dalla citata Direzione.
Accolto l’appello principale del Ministero, il Consiglio ha scrutinato quello incidentale presentato dagli appellati-ricorrenti in primo grado, secondo i quali non si comprenderebbe la ragione dell’apposizione del vincolo indiretto rispetto a dei manufatti visibili a pochi metri di distanza, considerando che la visione non sarebbe inficiata dall’eventuale realizzazione di altri manufatti a centinaia di metri di distanza.
Il Consiglio ha dichiarato tale motivo fondato; i decreti impugnati hanno vietato la trasformazione dell’aspetto esteriore dei luoghi ricompresi nell’ambito del vincolo indiretto, prescrivendo il mantenimento dell’uso agricolo del suolo e vietando la realizzazione di palificazioni. L’ampiezza del vincolo viene motivata dalla citata Direzione in funzione dell’esigenza di evitare che siano alterate le condizioni ambientali e visive delle croci votive sottoposte a tutela.
Tuttavia, il Consiglio ha ritenuto tale motivazione inadeguata; la tutela indiretta ‒ ex art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ‒ ha la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione del bene principale (gravato da vincolo “diretto”). Tale vincolo, integrando un limite apposto al diritto di proprietà sulla base di apprezzamenti rimessi all’autorità amministrativa competente, deve essere “dimensionato”; la primarietà della tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione “totalizzante” come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Nel caso di specie, il principio di proporzionalità appare violato; paragonando l’obiettivo perseguito dalla citata Direzione ‒ la tutela culturale delle croci votive ‒ ed il mezzo utilizzato ‒ il radicale svuotamento delle possibilitàd’uso alternativo del territorio ‒ appare evidente quanto sia sbilanciata la ponderazione effettuata. L’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e la produzione industriale. La posizione “totalizzante” espressa dalla citata Direzione contrasta con il D.Lgs. 387/2003 che riconosce agli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili importanza fondamentale, dichiarandoli opere di pubblico interesse proprio ai fini di tutela dell’ambiente (ex art. 12 c. 7).
Gli atti impugnati risultano violativi anche del principio di integrazione delle tutele ‒ riconosciuto ex art. 3 quaterdel Codice dell’ambiente ‒ in virtù del quale le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Il principio si impone non solo nei rapporti tra ambiente e attività produttive ‒ rispetto al quale la L. cost. 1/2022, accostando la tutela dell’ambiente al valore dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva ‒ ma anche al fine di individuare un adeguato equilibrio tra ambiente e patrimonio culturale, nel senso che l’esigenza di tutelare il secondo deve integrarsi con la necessità di preservare il primo. La valenza “procedimentale” del principio di integrazione ‒ ex art. 12 c. 10 del D.Lgs. 387/2003 ‒ implica che il procedimento sia la sedes materiae in cui devono contestualmente e dialetticamente avvenire le operazioni di comparazione, bilanciamento e gestione dei diversi interessi configgenti. Su queste basi, le prescrizioni di tutela indiretta apposte dalla citata Direzione costituiscono un metodo non solo incongruo (in quanto operato al di fuori della delicata operazione di valutazione e comparazione degli interessi), ma anche surrettizio per “disapplicare” gli esiti della conferenza di servizi a danno dell’impresa che aveva già conseguito le autorizzazioni per la realizzazione degli impianti eolici.
In accoglimento dell’appello incidentale, il ricorso di primo grado va dunque accolto, sia pure con differente motivazione, con conseguente annullamento dei decreti impugnati nella parte relativa alle prescrizioni di tutela indiretta. La Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise, in sede di riedizione del potere, dovrà ricercare non già il totale sacrificio dell’uso produttivo di energia pulita delle aree contigue alle croci votive, secondo una logica meramente inibitoria, bensì una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale.