
Il tar Lecce sulla proroga delle concessioni demaniali marittime. Niccolò Millefiori
Tar Puglia Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1321 e n. 1322: La norma nazionale, ancorché in conflitto con quella euro-unionale, è vincolante per la Pubblica amministrazione, essendo il potere di disapplicazione riservato solo ed esclusivamente al giudice.
sommario: 1. Il contesto giuridico. 2. Le vicende processuali. 3. La tesi del Tar Lecce. 4. L’obbligo di disapplicazione. 5. Considerazioni conclusive.
- Il contesto giuridico.
L’annosa vicenda delle proroghe delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo[1] si arricchisce di un nuovo capitolo con due sentenze gemelle (nn. 1321-1322) del T.A.R. Puglia – Sezione distaccata di Lecce pubblicate in data 27 novembre 2020.
Preliminarmente al relativo esame si rende necessario, al riguardo, il richiamo della celebre decisione del 14 luglio 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulle cause riunite C-458/14 e C-67/15 (c.d. sentenza Promoimpresa), nell’ambito delle quali era stata sottoposta al vaglio del Giudice europeo la questione di compatibilità con l’ordinamento dell’Unione della proroga ex lege[2] del termine di scadenza delle suddette concessioni e della loro conseguente esclusione da procedure di evidenza pubblica.
Dopo aver ricondotto tali rapporti giuridici nell’alveo dei regimi autorizzativi all’esercizio di attività economiche soggette alla disciplina della Direttiva 2006/123/UE (c.d. Bolkestein)[3], la Corte di Lussemburgo aveva, infatti, chiaramente stabilito che il relativo articolo 12, paragrafi 1 e 2, “osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.
La risposta del legislatore nazionale ad una simile pronuncia si è poi concretizzata in una proroga ulteriore fino al 31.12.2033 disposta con l’art. 1, co. 682 e ss., L. n. 145/2018, che ha conseguentemente determinato l’insorgenza di notevoli criticità interpretative, sfociate a loro volta in divergenze di opinioni e contrasti in sede applicativa.
In particolare, la posizione (conforme) del Consiglio di Stato[4] e della Corte di Cassazione penale[5] è decisamente attestata sul riconoscimento dell’obbligo dello Stato membro (in tutte le sue articolazioni, compresa quindi la pubblica amministrazione) di disapplicare/non applicare la norma interna contrastante con il diritto sovranazionale.
Per l’effetto, in ragione dell’assolutezza del principio, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti[6] e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato[7] hanno reiteratamente invitato i Comuni ad astenersi dal prorogare le concessioni demaniali marittime; alcuni Uffici della Procura della Repubblica hanno, a loro volta, avviato indagini per verificare la ricorrenza di ipotesi di abusiva occupazione di aree demaniali.
Al contrario, il potere politico è fermo nel ritenere la nuova proroga legittima quale disciplina transitoria in vista di una organica riforma della materia, tant’è che con l’art. 182, co. 2, del D.L. n. 34 del 2020[8], convertito con modificazioni dalla successiva L. n. 77/2020, richiamando altresì il fine di contenere i danni, diretti e indiretti, causati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha formulato espresso divieto alle amministrazioni competenti di “avviare o proseguire, a carico dei concessionari che intendono proseguire la propria attività mediante l’uso dei beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale, i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, di cui all’art. 49 del codice della navigazione, per il rilascio o per l’assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione”.
In conformità si sono comportate numerose Regioni[9], o attraverso l’applicazione diretta della proroga prevista dalla legge nazionale ovvero attraverso formali sollecitazioni nei confronti Comuni interessati e, per essi, dei funzionari responsabili, così resi destinatari di contrapposte pretese.
- Le vicende processuali.
Nelle pronunce in esame il Tar salentino è stato chiamato a giudicare della legittimità di due provvedimenti di autotutela ex art. 21-nonies L. n. 241 del 1990 adottati dal competente Ufficio del Comune di Castrignano del Capo ed aventi ad oggetto l’auto-annullamento degli atti di proroga dei corrispondenti titoli concessori già rilasciati dal medesimo ente ai sensi dell’art. 1, co. 682 e ss., della L. n. 145/2018 nel mese di aprile del 2019.
In particolare, con i provvedimenti di secondo grado l’Organo amministrativo procedente ha dichiaratamente inteso dar seguito alla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 19.12.2019, di recepimento dell’orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato espresso nella nota sentenza 18 novembre 2019, n. 7874, con la quale era stata affermata la inoperatività delle proroghe disposte dal legislatore nazionale nel 2009, nel 2012 e nel 2018, comportante il corrispondente obbligo di disapplicazione da parte di tutti i funzionari dell’apparato amministrativo.
Diverso l’avviso dei concessionari interessati, per i quali un simile obbligo di disapplicazione della normativa interna contrastante con il diritto unionale “per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni” non rappresenterebbe un principio consolidato in giurisprudenza, restando invece la pubblica amministrazione soggetta al rispetto del diritto nazionale ancorché riconosciuto “anticomunitario”.
- La tesi del Tar Lecce.
3.1. La risoluzione della specifica controversia ha richiesto la preliminare ricostruzione da parte del Tar salentino del “diritto vivente” in materia con particolare riguardo al rapporto della conferente legislazione nazionale con la normativa comunitaria o euro-unionale di riferimento (art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio nonché art. 49 del T.F.U.E.), la cui interazione nel tempo ha condotto al riconoscimento, da parte sia della Corte di Giustizia (sentenza C-458/14 e C-67/15, c.d. Promoimpresa) che della Corte costituzionale (sent. n. 180/2010), della incompatibilità della normativa nazionale richiamata in premessa (art. 1, co. 18, D.L. n. 194/2009 e art. 34-duodecies, D.L. n. 179/2012) con l’ordinamento dell’Unione Europea.
Su tali presupposti – ha quindi rilevato il Tar – “il regime di proroga ulteriore introdotto con la Legge Finanziaria 2019 ed avente durata di 13 anni a decorrere dal 31 dicembre 2020, in assenza della approvazione di alcuna normativa di riordino della materia, integrando evidente violazione delle prescrizioni contenute nella direttiva servizi e in disparte la certa prospettiva della riapertura di procedura di infrazione, ha determinato uno stato di assoluta incertezza per gli operatori e per le pubbliche amministrazioni”.
Tant’è che nell’ambito dello stesso distretto giurisdizionale di riferimento la medesima Sezione ha avuto modo di rilevare come alcuni comuni hanno concesso la proroga fino al 31 dicembre 2033, altri hanno espresso diniego disapplicando la norma nazionale, altri ancora, dopo aver accordato la proroga, ne hanno disposto l’annullamento in autotutela (come appunto nel caso esaminato), altri infine sono rimasti inerti rispetto alle istanze dei concessionari.
3.2. Passando quindi allo specifico tema dell’ipotesi di conflitto della norma nazionale con norma comunitaria immediatamente efficace ed esecutiva, il Tar Lecce ha, per un verso, nel solco dell’orientamento giurisprudenziale largamente prevalente, dato atto che il provvedimento amministrativo adottato in conformità alla legge nazionale ma in violazione di direttiva autoesecutiva o di regolamento U.E. costituisce atto illegittimo e non già atto nullo, con conseguente sua annullabilità da parte del Giudice Amministrativo (previa disapplicazione della norma nazionale) su eventuale impugnativa proposta dai soggetti aventi legittimazione ed interesse a ricorrere; per altro verso, ha invece inteso motivatamente discostarsi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e del Consiglio di Stato in ordine all’estensione dell’obbligo di disapplicazione della norma interna “anticomunitaria” oltre che da parte del giudice, anche a carico della pubblica amministrazione.
A tale ultimo riguardo, infatti, ad avviso del giudice territoriale, “la statuizione della C.G.U.E. (che peraltro sembrerebbe «isolata»), con cui si afferma che il principio di dare attuazione alla norma comunitaria disapplicando la norma interna costituirebbe un obbligo dello Stato membro «in tutte le sue articolazioni» ovvero giudice e pubblica amministrazione, non può ritenersi norma dichiarativa di interpretazione autentica della norma comunitaria, perché essa non ha ad oggetto alcuna individuazione della ratio legis di una specifica norma comunitaria, ma attiene invece alle generali regole e modalità di applicazione della normativa unionale in generale considerata, dovendosi riguardare alla stregua di mero obiter dictum”; a sua volta, l’articolata posizione espressa dalle Sezioni Quinta e Sesta del Consiglio di Stato nelle richiamate sentenze n. 1219/2018 e n. 7874/2019 “non appare … condivisibile quanto all’accennato obbligo posto a carico dell’amministrazione di disapplicare la norma nazionale, ritenendosi viceversa tale attività riservata solo ed esclusivamente al giudice”.
Invero, l’attività di disapplicazione del diritto nazionale presuppone il previo espletamento, in tutta la sua complessità, di una operazione esegetica del quadro normativo di riferimento e costituisce il risultato finale di una interpretatio abrogans ammessa soltanto nella accertata presenza di un insanabile conflitto tra due norme vigenti alla stregua di rigorosi canoni ermeneutici.
Proprio in considerazione della delicatezza e complessità di una simile operazione da cui deriverebbe una concreta ipotesi di sottrazione all’obbligo generale di osservanza della legge, tanto l’ordinamento nazionale quanto quello euro-comunitario attribuiscono al giudice la facoltà (ed in certe ipotesi l’obbligo), nella ricorrenza di determinati presupposti, di sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla competente Corte in vista di una pronuncia di merito o pregiudiziale.
Nell’ottica del Tar Lecce tali facoltà sono strumentali, ancillari e prodromiche rispetto alla eventuale successiva determinazione giudiziale di disapplicare la norma interna e per ragioni speculari non sono invece attribuite alla pubblica amministrazione e, per essa, al dirigente preposto; onde, “(p)roprio tale considerazioneinduce a ritenere che la norma nazionale, ancorché in conflitto con quella euro-unionale, risulti pertanto vincolante per la pubblica amministrazione e, nel caso in esame, per il dirigente comunale, che sarà tenuto ad osservare la norma di legge interna e ad adottare provvedimenti conformi e coerenti con la norma di legge nazionale”.
3.3. In conclusione, l’impossibilità per la pubblica amministrazione di esercitare il potere di disapplicazione del diritto nazionale (pur) anticomunitario fonda, ad avviso del Collegio, il dovere di annullamento giurisdizionale dei provvedimenti di autotutela amministrativa adottati nell’esercizio di una potestà riservata al giudice.
- L’obbligo di disapplicazione.
4.1. Rispetto alla questione centrale implicata dalle specifiche vicende esaminate, ovvero dell’obbligo posto a carico dell’amministrazione di disapplicare la norma nazionale anticomunitaria, il Tar Lecce ha espressamente dichiarato di non condividere l’orientamento favorevole, ritenendo invece tale attività riservata solo ed esclusivamente al giudice.
L’orientamento favorevole è quello recentemente compendiato dal Consiglio di Stato nella menzionata sentenza n. 7874/2019 secondo cui “(q)ualora … emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale e i principi del diritto eurounitario, è fatto obbligo al dirigente che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale (o regionale) di non applicarla (in contrasto con la norma eurounitaria di riferimento), salvo valutare la possibilità di trarre dall’ordinamento sovranazionale una disposizione con efficacia diretta idonea a porre la disciplina della fattispecie concreta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2018 n. 1342)”.
A tal riguardo, mette conto peraltro rilevare che già in occasione dell’esame del celebre caso Costa contro Enel con pronuncia del 15 luglio 1964 la Corte di Giustizia[10] aveva affermato che l’esigenza di garantire la uniforme ed omogenea integrazione del diritto comunitario negli ordinamenti giuridici degli Stati membri imponesse in capo ai giudici nazionali l’obbligo di disapplicare le norme interne contrastanti con i Trattati.
Obbligo ritenuto essenziale a contrasto di disposizioni o prassi interne comportanti la subordinazione della concreta effettività del diritto sovranazionale alla devoluzione della soluzione del conflitto tra norme ad autorità terze rispetto al giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia sottoposta dalle parti.
Negli anni successivi il Giudice europeo ha confermato, sviluppato ed esteso tale orientamento con l’ulteriore rilievo, per la prima volta con la sentenza del 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo, C-103/88, che “(s)arebbe … contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva aventi i requisiti sopramenzionati, allo scopo di far censurare l’operato dell’amministrazione, e al contempo ritenere che l’amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi. Ne segue che, qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni”[11].
Tale principio, corollario della primazia e della efficacia diretta dell’ordinamento UE, è poi stato costantemente applicato della Corte di Giustizia a più riprese[12] ed anche recentemente nella sentenza 4 dicembre 2018[13], restando così escluso che l’applicazione del diritto comunitario all’interno di un ordinamento nazionale possa avvenire soltanto in via indiretta e meramente eventuale attraverso la propedeutica azione in sede giurisdizionale del privato cittadino al fine di imporre alla pubblica amministrazione il rispetto di quanto stabilito dagli Stati membri e dal legislatore europeo.
4.2. In vero, l’attività di interpretazione svolta dalla P.A. nell’esercizio della corrispondente funzione istituzionale comporta fisiologicamente la pregiudiziale individuazione della regula iuris nel quadro dell’intero dell’ordinamento giuridico composto da molteplici disposizioni di varie ed eterogenee fonti normative, a loro volta anche di differenti livelli gerarchici.
Nell’espletamento di tale operazione, l’eventuale contrasto tra più norme astrattamente applicabili (sia interne che comunitarie ad efficacia diretta) comporta per il funzionario amministrativo l’obbligo di applicazione di quella superiore o prevalente.
Non si tratta, pertanto, di una interpretazione discrezionale né di sottrazione all’obbligo di osservanza della legge, quanto piuttosto di una valutazione alla stregua di parametri oggettivi, tanto più poi se il contrasto risulti già accertato da orientamenti giurisprudenziali consolidati conducenti al consolidamento della coerenza ed effettività del complessivo sistema normativo.
- Considerazioni conclusive.
A causa delle profonde incertezze che caratterizzano in particolare il vigente ordinamento dello specifico settore in considerazione, le autorità amministrative interessate hanno proceduto e provveduto in maniera assolutamente eterogenea in rapporto alla imminente scadenza dei titoli concessori (31 dicembre 2020).
Alcuni uffici si sono, infatti, determinati ad emettere gli atti di proroga[14], altri hanno invece espressamente rinunciato nell’immediato all’avvio delle procedure di evidenza pubblica[15] ovvero deciso di non applicare l’art. 1, co. 682 e ss. L. n. 145/2018[16]; nel complesso, gran parte degli enti locali è rimasta sostanzialmente inerte a causa del timore diffuso tra i funzionari competenti di adottare provvedimenti illegittimi, incorrendo in ipotesi di responsabilità, anche di natura penale.
Sicché, è proprio un siffatto status quo alla base della specifica affermazione del Tar Lecce in ordine alla riserva in capo al giudice in via esclusiva e non anche alla pubblica amministrazione del potere di disapplicazione del diritto interno anticomunitario, operando il primo – a differenza della seconda – all’interno di “un contesto coerente e tendenzialmente unitario, quale quello proprio del sistema di tutela giurisdizionale offerto dall’ordinamento, che – attraverso il ricorso ai mezzi di impugnazione ordinaria e straordinaria – garantisce uniformità di applicazione della norma sul territorio nazionale, laddove la disapplicazione vincolata ed automatica disposta dalle singole pubbliche amministrazioni determinerebbe una situazione caotica ed eterogenea, nonché caratterizzata in ipotesi di disparità di trattamento tra gli operatori a seconda del comune di riferimento”.
Per l’effetto, il dibattito resta aperto sul tema del regime e delle sorti delle concessioni demaniali, ma ancor di più ed ancor prima nell’analisi dello sviluppo del sistema di integrazione e di omogeneizzazione degli Stati nel contesto euro-unitario.
[1]L’origine della questione in esame risale alla procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata dalla Commissione europea con la lettera di messa in mora del 29 gennaio 2009 e quella complementare del 5 maggio 2010, aventi ad oggetto la incompatibilità con il diritto comunitario, rispettivamente: (i) del c.d. diritto di insistenza dei concessionari di cui all’art. 37, secondo comma, Codice della Navigazione; (ii) del rinnovo automatico ex lege delle concessioni stabilito dall’articolo 01, secondo comma, del D.L. n. 400 del 1993, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 4 dicembre 1993, n. 494.
[2]Dapprima al 31 dicembre 2015 (art. 1, co. 18, D.L. n. 194/2009), poi ulteriormente estesa sino al 31 dicembre 2020 (art. 34-duodecies, D.L. n. 179/2012).
[3]Cfr. in particolare punti 37 e ss.
[4]Cfr. in particolare Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2019, sent. n. 7874.
[5]Vds. da ultimo Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2020, sent. n. 29105.
[6]Cfr. Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 19.12.2019 di recepimento dell’orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, sent. n. 7874/2019.
[7]AS1550, Concessioni e criticità concorrenziali, Bollettino n. 48 del 24.12.2018; AS1684, Osservazioni in merito alle disposizioni contenute nel decreto rilancio, Bollettino n. 28 del 13.07.2020; AS1701, Comune di Piombino (LI) – Concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative, Bollettino n. 41 del 19.10.2020.
[8]Per un commento alla novella legislativa cfr. L. Golisano, La proroga delle concessioni balneari, il contrasto tra legislatore e giurisprudenza e le esigenze di riforma, Pausania 1/2020, 12, pp. 45 e ss.
[9]Abruzzo, Toscana, Calabria, Lazio, Sardegna, Marche, Basilicata hanno applicato direttamente la proroga prevista dalla legge nazionale, mentre la Regione Puglia sollecitato più volte i Comuni interessati ad applicare la norma nazionale.
[10] Sentenza 15 luglio 1964, Flaminio Costa contro E.N.E.L., C-6/64, ECLI:EU:C:1964:66.
[11] Cfr. in particolare pt. 38, EU:C:1989:256.
[12] Vds., in tal senso, sentenze del 9 settembre 2003, CIF, C‑198/01, EU:C:2003:430, punto 49; del 12 gennaio 2010, Petersen, C‑341/08, EU:C:2010:4, punto 80, e del 14 settembre 2017, The Trustees of the BT Pension Scheme, C‑628/15, EU:C:2017:687, punto 54.
[13] Sentenza 4 dicembre 2018, The Minister for Justice and Equality e The Commissioner of the Garda Síochána contro Workplace Relations Commission, C-378/17, EU:C:2018:979, pt. 38: “Come stabilito in più occasioni dalla Corte, tale obbligo di disapplicare una disposizione nazionale contraria al diritto dell’Unione incombe non solo sui giudici nazionali, ma anche su tutti gli organismi dello Stato, ivi comprese le autorità amministrative, incaricati di applicare, nell’ambito delle rispettive competenze, il diritto dell’Unione”.
[14]In particolare, in Puglia, tra i Comuni che hanno applicato la proroga vi sono: Bari, Brindisi, Taranto, Otranto, Nardò. Per una recente rassegna in tal senso, cfr. C. Lenzetti, L’attuazione comunale dell’estensione della durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, 30 ottobre 2020, in www.mondobalneare.com.
[15]Il Comune di Piombino, ad esempio, con la Determina dirigenziale n. 408 del 21.05.2020 ha escluso l’applicazione della Direttiva Bolkestein sul rilievo secondo cui non sussisterebbe il presupposto di operatività del relativo art. 12 riguardante la scarsità delle risorse.
[16]Il Comune di Lecce ha disapplicato la proroga nazionale fino al 31.12.2033, optando per una proroga tecnica di tre anni con la Deliberazione di Giunta Comunale n. 342 del 11.11.2020. Per una esaustiva rassegna si rinvia a C. Lenzetti, cit.