Il Prg di Milano e giurisprudenza TAR Lombardia di Luca Golisano

di 15 Maggio 2019 Rivista, Urbanistica

Il Prg di Milano e giurisprudenza TAR Lombardia

 

Meno di due mesi fa, il 12 ottobre 2018, la Giunta del Comune di Milano ha approvato la proposta di deliberazione per l’adozione di un nuovo Piano di Governo del Territorio con conseguente riforma dei documenti di cui si compone a norma della L.R  n. 12 del 2005, ovverosia mediante variante al Piano dei Servizi e al Piano delle Regole, nonché attraverso la predisposizione di un nuovo Documento di Piano.

Il testo proposto è ancora all’inizio del proprio iter dovendo ancora passare per l’adozione e la successiva approvazione del Consiglio Comunale, cionondimeno è possibile sin da ora individuare gli scopi e l’ossatura del futuro piano meneghino, il quale s’inserisce nella più recente ed ormai diffusa impostazione rigenerativa, riscontrabile nella pressoché totalità della legislazione regionale.

Difatti, il modello proposto incentiva gli interventi rigenerativi legandoli alle politiche infrastrutturali e della casa; più precisamente, in prossimità di 12 nodi di interscambio espressamente individuati oppure al fine della realizzazione dell’edilizia sociale mediante la calmerazione dei prezzi di vendita o locazione, si ammette la facoltà di superare anche l’indice edificatorio massimo previsto dalla peculiare tecnica di perequazione generalizzata adottata dal Comune Meneghino.

Sul punto si ricorda come il Comune di Milano, discostandosi dal modello consacrato nella legge lombarda medesima, non ricorre alla previa ricognizione dello stato di fatto e di diritto per l’attribuzione dell’indice volumetrico, ma proceda al riconoscimento di un comune indice minimo e massimo cui accedere attraverso il ricorso al modulo consensuale e perequativo (in realtà tale indice di edificabilità massimo  è fissato a 1 mq/mq nelle aree cittadine ad elevata accessibilità e scende a 0,7 mq/mq massimo negli ambiti meno accessibili).

In aggiunta, conformemente alle numerose previsioni rigenerative introdotte dalle Regioni nelle proprie leggi di governo del territorio o in apposite normative ad hoc, il Comune di Milano si ispira al ben noto fine del contenimento del consumo del suolo mediante una riqualificazione e riuso del patrimonio edilizio esistente. Nello specifico la Giunta comunale prevede la riduzione del consumo di suolo del 4% rispetto alla pianificazione vigente attraverso un’ampia gamma di misure, dall’innalzamento degli standard urbanistici richiesti, all’estensione delle aree da sottoporre a destinazione agricola, o ancora attraverso l’implementazione di aree verdi financo all’interno delle zonee metropolitane. Quanto brevemente enunciato non presenta tuttavia alcun apprezzabile elemento di novità tant’è che in tale sede si vuole porre l’attenzione su una specifica politica proposta del nuovo piano milanese volta a supportare la politica rigenerativa.

Più precisamente si fa riferimento a quanto previsto dall’art. 11 del Piano di Regole deliberato dalla Giunta Comunale, nel quale si prevede la periodica ricognizione, da effettuarsi con determina dirigenziale, degli edifici abbandonati e degradati, ovverosia degli immobili dismessi da più di 3 anni, ai cui proprietari viene riconosciuta la facoltà di presentare piani attuativi con l’onore di avviare i lavori entro 18 mesi dall’individuazioni degli immobili diversi. L’elemento di novità risiede però nella sanzione da parte dell’amministrazione della mancata iniziativa privata, tant’è che decorsi inutilmente i termini si introduce l’obbligo di demolizione dell’edificio stesso o, in caso di omessa sanzione da parte del proprietario, la perdita di tutti i diritti dei diritti volumetrici esistenti e l’assegnazione del solo ’indice di edificabilità minimo pari a 0,35 mq/mq.

Pertanto nell’affrontare il tema rigenerativo, il Comune di Milano al tradizionale approccio di promozione edificatoria viene ad associare un nuovo approccio sanzionatorio che non solo, come può agevolmente intuirsi, può garantire maggiore forza ed efficacia alle politiche di riqualificazione urbana, ma è altresì pienamente legittima alla luce dei principi dell’ordinamento. Difatti dalla norma traspare con forza la funzione sociale della proprietà consacrata dall’art. 43 Cost anche in considerazione dell’accortezza del comune di Meneghino che al primo comma dell’art.11 si è preoccupati di sancire che il recupero degli edifici abbandonati costituisca “attività di pubblica utilità e di interesse generale”

Si riafferma quindi quanto già affermato già dalla Repubblica di Weimar, ovverosia che la proprietà obbliga sicché ormai è da circoscriversi sempre più lo “ius abutendi” del proprietario almeno per quanto concerne i beni immobili.

Infine va evidenziato come tale misura, “costringendo” per così dire i privati ad intervenire sugli edifici di propria proprietà, permetterebbe di arginare il principale limite della micro-rigenerazione.

Tale tecnica difatti, benché ormai diffusa nell’esperienza delle amministrazione locale mediante la predisposizione dei ben noti regolamenti per gestione dei beni comuni urbani, si limita a promuovere l’intervento dei cittadini nella riqualificazione dei beni pubblici che costituiscono soltanto una parte del patrimonio edilizio complessivo, trovando nel mancato consenso dei privati un ostacolo difficilmente superabile per quanto concerne la riqualificazioni dei beni immobili di proprietà privata

1) La perequazione generalizzata nel piano milanese: Tar Lombardia, sez. II n. 1281 del 7 giugno 2017, 1281_2017_tar lombardia Cons. Stato Sez. I n. 1971 del 13 maggio 2015;

Secondo il modello meneghino il PGT fissa per tutte le aree comprese nel Tessuto Urbano Consolidato, sia a pertinenza diretta che indiretta[1], un unico indice di utilizzazione territoriale pari a 0,35 mq/mq ed un indice di utilizzazione territoriale massimo di 1 mq/mq, cui è possibile accedere mediante l’acquisto di diritti edificatori perequati attraverso la cessione al Comune di aree a pertinenza indiretta, così come ricordato nella sentenza del TAR Lombardia, Sez. II, 4 febbraio 2015, n. 1032.

Tale indice massimo è raggiungibile anche attraverso gli strumenti di incentivazione che ricollegano al conseguimento di determinate finalità il riconoscimento di premialità volumetriche con due soglie distinte, a seconda della tipologia d’intervento, e non cumulabili con altri meccanismi previsti a livello nazionale o regionale.

Limitando la presente analisi alla sola tematica perequativa, questa viene espressamente ricostruita nel PGT milanese come finalizzata all’acquisizione, da parte dell’amministrazione comunale, delle aree classificate come pertinenze indirette e pertanto da destinarsi alla realizzazione di opere di urbanizzazione, di servizi o infrastrutture di interesse pubblico o generale (tra i quali il verde urbano, le infrastrutture per la mobilità e l’edilizia residenziale sociale).

La cessione gratuita, previa bonifica, delle aree al Comune innesta il trasferimento sulle aree a pertinenza diretta, ossia le aree di atterraggio, dei diritti edificatori generati dalle aree a pertinenza indiretta cedute, ovverosia le aree di decollo. Come si evince, il modello postula un’ampia circolazione dei diritti edificatori concernente anche i diritti derivanti dai singoli meccanismi di incentivazione e quelli generati nelle stesse aree a pertinenza diretta ma non utilizzabili in loco alla luce di vincoli amministrativi e di tutela sovraordinata.

Il Comune, dopo un primo tentativo di predisporre un’apposita “borsa” dei titoli volumetrici, ha introdotto il “Registro della cessione dei diritti edificatori”; ciò conformemente all’espressa commerciabilità della volumetria sancita dall’art. 11.4 della L.R n. 12 del 2005 ed altresì in forza dell’onere di trascrizione dei contratti inerenti i diritti edificatori, introdotto dall’ art. 2643. 2-bisdel Codice Civile sulla falsariga della stessa legislazione lombarda e veneta.

Il presente apparato di registrazione è deputato alla concreta individuazione delle aree di atterraggio e di decollo, compresa la quantità di diritti edificatori ingenerati in quest’ultima, nonché del successivo trasferimento e sfruttamento finale delle medesime quote di ius aedificandi,il cui esercizio resta subordinato al rilascio dell’apposito certificato.

L’annotazione del diritto edificatorio e il conseguente rilascio del certificato sono a loro volta condizionati, per le aree a pertinenza indiretta, al trasferimento a titolo gratuito in favore dell’amministrazione e, per le aree in cui l’edificabilità è esclusa o comunque limitata, all’atto di cessione, trasferimento o comunque all’asservimento ad uso pubblico del lotto stesso.

Infine nel registro, il quale conformemente al D.l.gs 14 marzo 2013, n. 33, è anche tenuto in forma digitale e reso pubblico sul sito web istituzionale, si procede alle annotazioni, d’ufficio o su richiesta del proprietario, degli atti di trasferimento anche solo parziale dei diritti edificatori relativi a certificati già rilasciati.

Sul nuovo piano il TAR Lombardia è stato più volte chiamato a pronunciarsi salvaguardando frequentemente il disegno urbanistico milanese come nella sentenza, Sez. II, 7 giugno 2017, n. 1281. Nel caso richiamato era stato impugnato il PGT lamentando che questi, con la riduzione dell’indice territoriale da 0,65 a 0,35 mq/mq e con l’introduzione diun indice di utilizzazione massima, comportasse, sulla base dei più elementari principi economici, una maggiore onerosità dei diritti edificatoriconseguente alla complessiva diminuzione degli stessi sul mercato.

Nel giudizio il collegio giudicante ricostruisce espressamente la nuova pianificazione come finalizzata a <<rendere indifferenti i proprietari rispetto alle scelte di pianificazione e garantire le dotazioni territoriali senza oneri per il Comune di Milano>>, nonché <<potenziare progressivamente la c.d. città pubblica, facendo sì che la trasformazione urbana sia sempre connessa alla sistematica realizzazione delle opere di urbanizzazione ed alla cessione delle aree disciplinate dalla disciplina perequativa.>>.

Viene confermata anche la scelta di procedere mediante il riconoscimento di un unico indice territoriale in luogo della differenziazione dello stesso, sulla base dello stato di fatto e di diritto, prevista dall’art. 11.2 della L.R Lombarda n 12 del 2005[2]; nello specifico si evidenzia che eventuali profili di disequazione o disparità di trattamento possano essere ridimensionati dall’adozione di strumenti consensuali che trovano fondamento nel combinato disposto degli artt. 1.1-bise 11 della l. 241/1990. Peraltro il TAR,appellandosi alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, richiama come l’applicazione del principio perequativo, nel caso di specie mediante la previsione di un indice comune preordinato al trasferimento dei diritti edificatori, non può ritenersi tale da: <<integrare una sostanziale ablazione della proprietà né una surrettizia sottrazione di volumetrie le quali, in assenza delle previsioni perequative, sarebbero state edificabili>>.

Sempre con riferimento al sistema perequativo meneghino, la sezione I del Consiglio di Stato nel parere sul ricorso straordinario del. I del 13 maggio 2015, n 1971, ha rimarcato come la sua attuazione, che dipende dalla effettiva circolazione dello ius aedificandi,<<non è alterata dall’assenza di una specificazione sull’allocazione dei diritti volumetrici, che possono essere realizzati su qualsiasi parte del territorio comunale, direttamente o tramite alienazione a terzi.>>

Ricapitolando quanto ricostruito alla luce della legislazione lombarda nonché del peculiare modello milanese, è possibile constatare che il corollario della perequazione generalizzata, al pari della tecnica parziale, sia il superamento della tradizionale logica espropriativa. Nella perequazione estesa non solo le aree non sono soggette a vincoli e godono invece di un indice di edificabilità minimo, sulla cui legittimità vi peraltro è una copiosa giurisprudenza contrastante, ma lo stesso utilizzo dei diritti edificatori, <<così come determinati in applicazione di detto criterio perequativo>>, resta subordinato alla cessione gratuita di aree al Comune il quale riesce pertanto a dotarsi  di un proprio patrimonio pubblico senza dover dipendere dalle proprie deficitarie risorse finanziarie. Da ultimo, è altresì doveroso ricordare che la complessità del modello generalizzato e il necessario ruolo promotore che l’amministrazione è chiamata a ricoprire per incentivare e regolare il mercato dei titoli volumetrici hanno condizionato la diffusione di tale tecnica perequativa, come facilmente si evince dalla prassi pianificatoria regionale. In particolare la perequazione estesa, a differenza di quella endoambito spesso combinata a logiche compensative, non sembra riuscire a superare i confini delle regioni Lombardia e Veneto, salvo sporadiche eccezioni di alcune amministrazioni comunali umbre ed emiliane.

 

2) La perequazione generalizzata lombarda ed i margini dell’amministrazione nel caso di “reformatio in peius”:TAR Lombardia, Sez. II, 6 settembre 2017, n 1788 1788_2017_tar lombardia

In forza del secondo comma dell’art. 11 della L.R n. 12 del 2005, il piano delle regole, nel rispetto dei criteri definiti dal documento di piano, fissa per più aree un identico indice di edificabilità territoriale, comunque inferiore a quello minimo fondiario, ed individua le aree da cedere gratuitamente o le opere da realizzare in favore del comune e cui subordinare l’utilizzazione dei diritti edificatori determinati in chiave perequativa.

La norma, pur costituendo lo specifico riferimento normativo per tale tecnica nel territorio lombardo, presenta una formulazione di carattere generale che impone una serie di precisazioni.

In primisil riconoscimento dell’indice di edificabilità presuppone una previa classificazione del territorio per aree omogenee sicché lo stesso indice, come espressamente statuito, è <<differenziato per parti del territorio comunale (dal piano delle regole) disciplinandone altresì il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti>>.

Tale classificazione si basa sullo stato di diritto e di fatto in cui versano le aree seguendo criteri che rimandino a valutazioni “ripetibili e verificabili” anche di fronte ai tribunali amministrativi o al Consiglio di Stato.

La catalogazione delle aree è strumentale a due distinti obbiettivi, la generalizzazione del ricorso alla discrezionalità tecnica in forza dei dati conoscitivi propri del documento di piano ed il superamento della discriminazione nel processo di infrastrutturazione della pubblica città; difatti, una rappresentazione per quanto possibile oggettiva della situazione di “partenza” permette di limitare l’attività discrezionale dell’amministrazione comunale entro confini ipoteticamente certi.

In secondo luogo, si attua l’equità all’interno della perequazione estesa rendendo i proprietari indifferenti rispetto alla realizzazione delle pubbliche utilità mediante una rigida valutazione delle aree e con conseguente riconoscimento di un indice coerente sia con la pianificazione generale del territorio comunale che con il valore di mercato del lotto.

L’ “indice convenzionale di edificabilità”, assegnato a seguito della classificazione, costituisce la misura del quantumdi edificabilità intrinseca al terreno ma priva di una efficacia conformativa, in quanto non parametrato al carico urbanistico delineato in un secondo momento con l’approvazione del piano.

Risulta invece meno chiaro se l’indice sia comunque in grado di ingenerare una aspettativa qualificata in capo ai proprietari ed, in special modo, entro quali margini l’amministrazione possa discrezionalmente variare precedenti previsioni o diversamente individuare le aree soggette ad interventi di trasformazione.

Sulla tematica viene fortunatamente in soccorso la sentenza del TAR Lombardia, Sez. II, 6 settembre 2017, n 1788 nella quale si traccia una ricostruzione sistematica della giurisprudenza in materia.

Il giudizio verteva intorno al ricorso proposto avverso la delibera di approvazione del PGT del Comune di Milano che avrebbe determinato una reformatio in peiusdella disciplina applicabile all’area di proprietà della ricorrente senza alcuna motivazione e istruttoria, segnatamente senza una ripubblicazione del piano, frustrando le prerogative di partecipazione procedimentale dell’interessata.Tra le varie doglianze della San Donato Seconda s.p.a. vi era, in particolare, la riduzione a 0,35 mq/mq dell’indice perequativo, precedentemente stabilito dal piano adottato nella misura di 0,50 mq/mq.

Si era inoltre denunciato un eccesso di potere sia per disparità di trattamento che per contraddittorietà; ciò dal momento che la relativa delibera  aveva  viceversa mantenuto la precedente classificazione per un altro fondo  prossimo a quello della ricorrente ed, al contempo, si poneva in contrasto con le scelte assunte in sede istruttoria del programma integrato d’intervento, precedentemente proposto dalla stessa società ricorrente, il cui contenuto in chiave perequativa era stato successivamente inglobato nello stesso PGT.

Nel dichiarare infondato il ricorso il giudice amministrativo ha richiamato dapprima un orientamento consolidato per il quale <<non costituisce posizione di affidamento tutelabile in sede giurisdizionale quella del soggetto che veda semplicemente assegnata alla sua area una disciplina peggiorativa rispetto a quella dettata dai previgenti atti di pianificazione>>, con la conseguenza che non si doveva alcun onere di motivazione aggiuntivo rispetto al rinvio a meri criteri di carattere generale del nuovo piano.

Neppure era da ritenersi necessaria la ripubblicazione dello strumento urbanistico che si impone soltanto nell’ipotesi in cui le variazioni della delibera di approvazione siano tali da comportare, come statuito dalla sezione IV del Consiglio di Stato nella sentenza n.1829 del 19 aprile 2017, <<una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano stesso>>, deviazione che a sua volta deve riguardare l’atto di pianificazione nella sua interezza e non solo le aree di un singolo proprietario. Infine le censure sotto il profilo dell’eccesso di potere vennero rigettate alla luce di un’ampia discrezionalità nel compimento delle scelte pianificatorie, le quali di per sé portano ad una differenziazione nel trattamento dei suoli, <<la cui coerenza va apprezzata esclusivamente in rapporto ai criteri informatori del nuovo piano>>.

 

3) La giurisprudenza dei TAR sulla circolazione dei diritti edificatori in chiave perequativa:TAR Lombardia Sez. I n. 1821 del 5 ottobre 2015,1821_2015_tar lombardia  TAR Emilia Romagna Sez. I n. 332 del 23 novembre 2016 332_2016_tar emilia

L’attuazione delle tecniche perequative nell’ambito di più comparti, anche non confinanti, ha segnato il passaggio dalla circolazione dei lotti edificabili, ovverosia delle aree, al trasferimento dello ius aedificandie dunque delle quote edificatorie da spendere successivamente sulle aree medesime. In aggiunta, anche il superamento della prassi vincolistica si fonda sulla scissione tra il diritto edificatorio e il suolo afferente, consentendosi in tal modo la circolazione dei diritti edificatori relativi anche alle aree che i privati cedono gratuitamente al Comune a seguito del ricorso ai moduli consensuali.

Pertanto, non viene pregiudicata la possibilità per il privato di beneficiare della volumetria riconosciutagli dall’amministrazione nell’esercizio della propria discrezionalità in quanto, nell’ambito di un’urbanistica relazionale, egli può instaurare rapporti civilistici con altri proprietari; più precisamente, può alternativamente acquistare aree su cui trasferire i propri diritti edificatori oppure cedere le proprie quote edificatorie al proprietario di un’altra area cui gli strumenti urbanistici consentano di sfruttare la volumetria acquisita (.

Il meccanismo è ben esemplificato nell’ordinanza del TAR Lombardia, Sez. I, 5 ottobre 2015, n. 1821. Secondo il giudice e sotto il profilo amministrativo, la cessione di cubatura ha la sola funzione di trasferire lo ius aedificandi daun fondo all’altro entro i limiti dell’equilibrio generale fissato dalla perequazione urbanistica. Il fondo, privato della propria volumetria, resta inedificabile soltanto fino a quando un nuovo atto di pianificazione o di trasferimento tra privati non vi ammetta nuovi diritti edificatori; inoltre <<Qualora il proprietario del fondo di cui è stata ceduta la cubatura disponga di diritti edificatori derivanti da altri fondi, al medesimo proprietario spetta in via esclusiva la scelta sulla collocazione più opportuna di tali diritti, nel rispetto degli indici fondiari>>.

Viceversa sotto il profilo civilistico e con riferimento agli atti traslativi, << i diritti edificatori possono anche staccarsi dalla proprietà del fondo che li ha prodotti e circolare in modo indipendente. Se su un’area la cubatura è stata sfruttata solo in parte, il proprietario può cedere separatamente la proprietà dell’edificio e del sedime e la titolarità dei diritti edificatori residui, purché abbia fatto riserva di questi ultimi al momento della cessione dell’edificio e del sedime>>.

L’assenza di una espressa previsione legislativa del fenomeno aveva richiesto un intervento, meramente suppletivo, dapprima dei Comuni e successivamente di alcune Regioni. Diversi Comuni introdussero degli appositi registri dei diritti edificatori per garantire una pubblicità minima ai diritti medesimi e successivamente, nel tentativo di dare una copertura legislativa minima ai registri nonostante la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, le Regioni Veneto, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento[3]stabilirono espressamente la commerciabilità dei diritti edificatori (in tali termini ha recentemente riassunto la vicenda Bartolini inA. Bartolini,Circolazione dei diritti edificatori in P. Urbani – F.G Scoca – P. Stella Richter, Trattato di diritto del territorio, Giappichelli, 2018).

In un secondo momento si inserì l’intervento del legislatore statale che all’art. 2643.2-bisdel codice civile, novellato dall’art. 5 del d.l 13 maggio 2011 n. 70, estese l’obbligo di trascrizione anche per <<i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati>>.

Sulla portata dell’intervento normativo statale si è recentemente pronunciato, con la sentenza della Sez. IV n. 3435 del 9 luglio del 2015, il Consiglio di Stato secondo il quale il legislatore si è mosso nell’ottica di risolvere e prevenire i problemi legati alla circolazione dei diritti e,  prevedendo l’obbligo di trascrizione per i contratti prevista da <<normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale>>,  ha implicitamente riconosciuto che <<la posizione giuridica soggettiva, espressamente denominata “diritto edificatorio”, possa essere oggetto di legislazione regionale.>>

Tali statuizioni sono state espressamente riprese dal TAR Emilia- Romagna, Sez. I (sezione staccata di Parma), 23 novembre 2016, n.332, ove il tribunale amministrativo si è pronunciato in un caso in cui la tematica della circolazione dei diritti edificatori si lega alla tecnica perequativa.

Nel giudizio, rigettando il ricorso presentato, si esclude che la cessione gratuita degli standard prevista dal Piano Strutturale Comunale, nel caso di specie la cessione delle aree di proprietà dei ricorrenti destinate al verde pubblico, rappresenti uno svuotamento del diritto di proprietà tale da rappresentare un vincolo avente contenuto sostanzialmente espropriativo. Difatti, richiamando un proprio precedente, il giudice amministrativo definisce la cessione quale <<sistema di controprestazione (all’interno del modulo cooperativo) per consentire l’attuazione dei nuovi insediamenti urbani e per la riqualificazione di quelli esistenti al fine di garantire proprio le dotazioni territoriali fissate dalla pianificazione urbanistica e dalla legge regionale>>[4].

Il TAR, in breve, richiama come la perequazione concerni la sola fase della conformazione edilizia, nonché della sua dinamica evoluzione, e non la creazione di diritti reali sovrapposti a quelli previsti dalla normativa codicistica secondo le garanzie fissate dallo Stato. Sicché, nel caso di specie, l’edificabilità resta subordinata, in luogo dell’esproprio, alla cessione gratuita per uso pubblico delle aree di proprietà dei ricorrenti, i quali possono sfruttare le quote edificatorie sulle aree espressamente individuate dal Comune per riceverle[5]. D’altronde, il giudice amministrativo emiliano si era già precedentemente espresso in tal senso con la sentenza, Sez. I, 6 giugno 2014, n. 603, riconoscendo la pianificazione comunale quale sede naturale non dell’attribuzione ma della sola <<ripartizione dei diritti edificatori>>da cui discendono vincoli conformativi e non espropriativi.

[1]In base all’art. 4 delle norme di attuazione del Piano delle regole di Milano per pertinenza diretta si intende: << l’area di utilizzo dei diritti volumetrici perequati>>; mentre per pertinenza indiretta: si definisce <<l’area di proprietà privata o di proprietà pubblica oggetto di cessione gratuita al Comune in relazione al trasferimento dei diritti edificatori perequati…>>.

[2]La previsione di un unico indice territoriale è stato più volte oggetto di ricorso ed inoltre puntuale motivo di doglianza nella sentenza del TAR Lombardia, Sez. II  26 settembre 2017, n.2109, ove i ricorrenti hanno espressamente lamentato l’assenza di un’effettiva differenziazione per le parti del territorio comunale soggette a trasformazione urbanistica e conseguentemente un meccanismo perequativo che non risulta “equo” eliminando per le aree in ambiti disagiati e disomogenei, come quelli di proprietà delle ricorrenti medesimi, l’indice edificatorio che poteva essere trasferito in altre parti del territorio. Censura non esaminata nel merito in quanto il ricorso è stato preliminarmente dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione e carenza di interesse.

[3]Si fa riferimento all’art.36.4 della L.R Veneto n 11 del 2004, al già citato art. 11.4 della L.R Lombardia n. 12 del 2005 ed all’ art.53.6 della L. n.1 del 2008 della provincia autonoma di Trento

[4]TAR Emilia-Romagna, Sez. I, 18 Ottobre 2015, n. 224.

[5]Operazione effettuata con una variante generale del 2000 da parte del Comune di Sant’Ilario D’Enza, del quale erano state impugnate dai ricorrenti le delibere di approvazione del Regolamento Urbanistico Edilizio ed il Piano Strutturale Comunale che avevano confermato <<l’edificabilità condizionata alla cessione gratuita di ampie aree a verde pubblico.>>.