Il parere negativo espresso al di fuori della conferenza prevista per il PAUR è illegittimo per incompetenza, di Fabio Cusano

Il Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 2024, n. 4818 ha ribadito che è illegittimo il diniego di autorizzazione paesaggistica in relazione al progetto di costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica che si fondi sul parere contrario di compatibilità paesaggistica reso dalla Soprintendenza successivamente alla chiusura, con esito positivo, della conferenza di servizi prevista per il procedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR). Nel procedimento scandito dall’art. 27-bis del D. Leg.vo 152/2006 tutte le amministrazioni interessate dal progetto, e dunque con competenza propria in materia, sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in tale sede anche i pareri di cui sono investite per legge, secondo le dinamiche collaborative proprie dello strumento di semplificazione procedimentale previsto dalla legge, cosicché il parere negativo espresso al di fuori della conferenza è illegittimo per incompetenza alla stregua di un atto adottato da un’Autorità priva di potere in materia.

Successivamente alla favorevole conclusione della conferenza di servizi, né la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio, né la Commissione per il paesaggio, né tantomeno la Provincia avrebbero potuto validamente esprimere un nuovo parere circa la compatibilità paesaggistica del progetto della società appellante, reiterando il contrario avviso già reso, come nel caso della Soprintendenza, o mutando radicalmente la propria posizione.

Nel procedimento scandito dall’art. 27 bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa “tutte le Amministrazioni interessate dal progetto, e dunque con competenza propria in materia, sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in tale sede anche i pareri di cui sono investite per legge, secondo le dinamiche collaborative proprie dello strumento di semplificazione procedimentale previsto dalla legge”, cosicché “il parere negativo espresso al di fuori della conferenza è illegittimo per incompetenza alla stregua di un atto adottato da un’Autorità priva di potere in materia” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 novembre 2018 n. 6273).

Né può reputarsi che tale atto dovesse essere immediatamente impugnato dalla originaria ricorrente nel termine di 60 giorni dalla sua adozione da parte della Regione: le previsioni in esso contenute in ordine alla ritenuta possibilità “di adottare la determinazione di autorizzazione unica”, che avrebbe dovuto “essere recepita ai fini della sua efficacia all’interno del PAUR a cura della Provincia con la contestuale definizione del pronunciamento dirigenziale delle riferite compatibilità ambientale e paesaggistica” e alla adozione del provvedimento “sotto riserva espressa di revoca ove, all’atto delle eventuali verifiche (fossero venuti) a mancare uno o più presupposti di cui ai punti precedenti o alle dichiarazioni in atti, allorquando non veritiere”, non appaiono, in verità, direttamente e concretamente lesive di alcun interesse della società richiedente, non essendo in grado, come sottolineato dalla originaria ricorrente sia in primo grado che nelle doglianze riproposte in appello, di alterare l’assetto delle competenze così come attribuite dal legislatore e come regolarmente esplicatesi nel modulo procedimentale e provvedimentale della conferenza di servizi.

Alla luce delle suddette argomentazioni non può, dunque, condividersi quanto affermato dal T.a.r. circa la possibilità di prendere in considerazione anche semplicemente “come fatto storico” il diniego di autorizzazione paesaggistica tardivamente emesso dalla Provincia, risultando tale atto, in realtà, insuscettibile di entrare nel quadro procedimentale non (più) in corso di svolgimento e perciò di produrre qualsiasi effetto e non solo quello suo tipico, come ritenuto dal giudice di primo grado.

L’interpretazione suesposta, frutto della attuale riflessione giurisprudenziale sulla trasformazione del ruolo della semplificazione, da valore strumentale (ossia come principio generale da collegare all’esigenza di migliorare l’efficienza amministrativa nel valutare tutti gli interessi che si confrontano nel procedimento e di aumentare l’efficacia nella cura degli interessi pubblici al contempo garantendo una più agevole tutela delle pretese del cittadino) a bene o valore di natura finale, autonomo rispetto agli interessi curati dalle amministrazioni competenti al rilascio di assensi comunque denominati e sulla attenuazione della valenza forte e assolutizzante dell’attributo di primarietà associato agli interessi sensibili come quello del paesaggio, nella misura in cui viene ammesso un loro bilanciamento in concreto con altri valori e principi, quale quello della salvaguardia dell’ambiente – nella consapevolezza dell’importanza centrale del fattore tempo nella programmazione finanziaria del privato e per il raggiungimento dell’obiettivo della competitività del sistema Paese (cfr. Cons. Stato, sez. IV. n. 8610/2023 cit.) – conduce, quindi, a giudicare illegittimi, a differenza di quanto reputato dal T.a.r., gli atti impugnati in primo grado, poiché l’Amministrazione per mutare il proprio avviso sui temi in questione avrebbe dovuto utilizzare, se del caso, il suo potere di autotutela nelle forme consentite dalla legge e non limitarsi ad esprimere al di fuori dalla conferenza di servizi e successivamente alla conclusione di essa il suo parere contrario alla realizzazione dell’intervento de quo.

In conclusione, l’appello deve essere accolto con annullamento dei provvedimenti impugnati con l’originario ricorso e con i motivi aggiunti ed assorbimento di ogni altra doglianza.