Il Dibattito sulla sentenza 70/2020 della Corte Costituzionale di Eugenio Falcone.

di 3 Giugno 2020 Rivista

L’intervento dell’avvocato Eugenio Falcone.

Sentenza 70/2020 della Corte Costituzionale: le previsioni di principio della legislazione statale per gli interventi di demolizione e ricostruzione irrompono sul Piano Casa.

 

Nella sentenza n. 70/2020 in commento, la Consulta ha sottoposto a giudizio di legittimità costituzionale l’art. 2 della L. R. Puglia n. 59/2018, asseritamente di interpretazione autentica[1] dell’art. 4 della L. R. 14/2009 (“Piano Casa”) disciplinante gli interventi straordinari di demolizione e ricostruzione mediante i quali conseguire un miglioramento della “qualità architettonica, energetica e ambientale del patrimonio edilizio esistente (…) anche in deroga agli indici e parametri prescritti dalla pianificazione urbanistica locale”.

Con l’”interpretazione autentica” in realtà il legislatore regionale è andato ad incidere sui parametri normativi distintivi della ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione disciplinata dal Testo Unico dell’Edilizia[2].

Dopo aver effettuato una ricostruzione dell’evoluzione normativa che l’intervento di edilizio di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione ha conosciuto, a partire almeno dall’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia[3], la Consulta rileva come:

  • al momento dell’entrata in vigore della L. R. 14/2009 “la normativa statale richiedesse, per la demolizione ricostruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma, non l’identità di sedime, limiti da rispettare affinché la ristrutturazione non si traducesse in una nuova costruzione, diversamente regolata dalla legislazione nazionale di settore”[4].
  • con l’interpretazione autentica prevista dalla norma censurata viceversa, fosse stato previsto che, a seguito degli interventi di demolizione, potesse essere effettuata una ricostruzione: “anche con diverse sistemazioni plano-volumetriche[5] e con diverse dislocazioni[6] del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza”.

Pertanto, considerata la non coincidenza dei parametri distintivi della definizione normativa di demolizione e ricostruzione del Testo Unico dell’Edilizia rispetto a quello previsto nella norma di “interpretazione autentica”, la Consulta conclude che la previsione introdotta con la norma oggetto di giudizio di legittimità non possa ritenersi come meramente interpretativa[7].

Con riferimento alla L.R. 5/2019 pure oggetto di giudizio di legittimità e con cui si è inteso stabilizzare la norma introdotta con L.R. 59/2018 di cui si è detto, si è posto in rilievo anche la valutazione della legittimità di tale previsione con riferimento alla novella del comma 1 ter dell’art. 2bis del Testo unico dell’Edilizia, introdotto dal c.d. Decreto Sblocca Cantieri che sancisce che la ricostruzione conseguente alla demolizione “è comunque consentita nel rispetto delle distanze preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo“.

Tale previsione normativa – che è preceduta da una serie di disposizioni con cui il legislatore ha inteso recepire quanto già la stessa Corte Costituzionale aveva elaborato con riferimento alle condizioni di derogabilità delle distanze legali stabilite dal DM 1444/1968 in cui si richiedeva che l’eccezione fosse “inserita in strumenti urbanistici funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (sentenza n. 86/2019) –  riflette a sua volta l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio Stato (sentenza n. 4337/2017) che con riferimento all’ipotesi di demolizione di edificio che si poneva a distanza inferiore rispetto a quella inderogabile prevista dal DM 1444/1968, aveva sancito che la ricostruzione potesse avvenire mantenendo la distanza “preesistente”, purché effettuata “assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”.

Tale previsione normativa in buona sostanza, non introduce modifiche alla definizione generale di ristrutturazione edilizia tramite demolizione e ricostruzione che resta quella disciplinata all’art. 3, comma 1,  lettera d) del Testo Unico dell’Edilizia (ossia quella da ultimo prevista dal Decreto Sviluppo, per cui cfr. nota n. 3) ma disciplina l’ipotesi peculiare in cui l’originario edificio oggetto di demolizione si ponga già a una distanza inferiore rispetto a quella prevista dal DM 1444/1968, allineandosi con l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordata che ha ammesso la ricostruzione in deroga alle distanze previste dal D.M. 1444/1968, disponendo tuttavia in tale ultima ipotesi l’obbligo di rispettare l’area di sedime (che come sopra evidenziato costituisce parametro oramai “caduto” dal lontano 2002) nonché l’altezza massima.

Anche tale previsione normativa, come la disciplina degli interventi edilizi di cui all’art. 3, comma 1 del Testo Unico dell’Edilizia è qualificata dalla Consulta come principio generale della materia e anche con riferimento a tale norma di principio si constata l’illegittimità della norma di “interpretazione autentica” come stabilizzata nella L.R.5/2019 in quanto con tutta evidenza, nel prevedere in via generale una “diversa sistemazione planivolumetrica” e “diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza” non recepisce l’obbligo previsto dalla norma statale di principio di rispettare l’area di sedime, nei casi specifici in cui la ricostruzione avvenga a seguito di demolizioni di edifici che originariamente si ponevano a una distanza  inferiore rispetto a quella disposta come inderogabile dal DM 1444/1968.

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Le argomentazioni che la Consulta pone a supporto dell’illegittimità delle previsioni normative regionali censurate, muovono dalla considerazione del contrasto con i parametri normativi che il Testo Unico dell’Edilizia individua per la definizione dell’intervento edilizio di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione.

Infatti alla norma di “interpretazione autentica” regionale: (i) nel punto in cui ammette la ricostruzione conseguente a demolizione “anche con diversa sistemazione plani-volumetrica”, difetta il parametro dell’obbligo di rispetto della sagoma, ancora richiesta –  dopo il Decreto Sviluppo – per gli  edifici vincolati; (ii) nel punto in cui prevede “diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza”, non è riconducibile l’ipotesi  prevista dal Decreto del Fare di “delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse” che attiene all’ipotesi di “decollo” dei volumi da una determinata area di territorio ad altra zona nell’ambito di scelte di pianificazione territoriale e con esclusione di edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta e inoltre, difetta il parametro previsto dall’art. 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell’Edilizia introdotto dal Decreto Sblocca Cantieri che richiede che per interventi di demolizione e ricostruzione la cui distanza originaria fosse inferiore a quella inderogabile prevista dal DM 1444/1968, sia  “assicurata la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”.

Certo, può forse considerarsi, come: (a) il parametro del rispetto della sagoma operi oggi unicamente in relazione agli immobili vincolati e (b)  il rispetto dell’area di sedime, parametro già “caduto” all’epoca dell’approvazione della L.R. 14/2009, è previsto dopo il  Decreto Sblocca Cantieri unicamente con riferimento alla fattispecie normativa di cui all’art. 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell’Edilizia ( ipotesi – si ripete – di edificio oggetto di demolizione e ricostruzione originariamente posto a distanza inferire rispetto a quella inderogabile del DM 1444/1968)[8].

In sostanza ciò che forse non è del tutto persuasivo (è n po’ l’anello che non tiene), nella ricostruzione dell’evoluzione normativa della definizione di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione operata dalla Consulta e posta alla base della decisione sull’illegittimità delle previsioni regionali, è la configurazione dell’art. 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell’Edilizia (introdotto con il c.d. Decreto Sblocca Cantieri) come una sorta di approdo della definizione di ristrutturazione edilizia consistente in demolizione e ricostruzione e “mutamento di tendenza” rispetto alla normativa precedente (inclusa quindi la definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett d) del Testo Unico dell’Edilizia) , così come non persuade la considerazione che la norma contenuta all’art. 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell’Edilizia  abbia “imposto per la ristrutturazione ricostruttiva, il generale limite volumetrico (a prescindere dunque dalla finalità di riqualificazione edilizia) e il vincolo dell’area di sedime”.

In altre parole, pur trattandosi di previsioni normative statali considerate certamente norme di principio nei confronti delle quali la legislazione regionale non può porsi in contrasto; quanto al contenuto, si ha la sensazione che tenuto conto delle norme regionali oggetto di giudizio, le norme statali che la Consulta considera in contrasto con quelle oggetto del giudizio, pur tutt’altro che marginali costituiscano un po’ come una sorta di eccezione rispetto alla previsione generale che è costituita dalla definizione generale di ristrutturazione edilizia.

Tale considerazione “sostanziale”  non è certamente sufficiente a far dubitare della correttezza della decisione della Corte Costituzionale che già con la sentenza n. 302/2003, all’indomani del titolo V della Costituzione e con riferimento alla disciplina degli interventi edilizi soggiungeva come” resti da chiedersi se nelle disposizioni denunciate vi siano aspetti eccedenti la formulazione di un principio di legislazione. Un accurato esame della disciplina poc’anzi richiamata conduce a una risposta negativa. Non vi è nulla in essa che non sia riconducibile ad una enunciazione di principio e che possa essere qualificato normativa di dettaglio”.

Distinta considerazione di ordine più sistematico è se con riferimento a strumenti come la normativa sul Piano casa che si pongono in deroga (ossia “fanno a meno”) alla pianificazione urbanistica e dove le correlazioni tra le prescrizioni normative e regolamentari urbanistiche e i titoli abilitativi edilizi non sono evidenti, possa continuare ad affermarsi come persistente il rapporto ancillare dell’edilizia rispetto all’urbanistica[9].

La sentenza della Corte Costituzionale in commento suggerisce forse che le norme di principio del Testo Unico dell’Edilizia costituiscano nel caso che ci occupa un limite – probabilmente l’unico –  alla potestà normativa regionale derogatoria del governo del territorio[10].

 

 

[1] La previsione normativa è stata poi oggetto della L.R. 5/2019, altresì oggetto di giudizio di legittimità nella sentenza in commento, con cui il legislatore regionale ha abrogato la norma di interpretazione autentica trasfondendone il contenuto in una nuova disposizione non più interpretativa.

 

[2] Nel nel punto in cui ha ammesso la possibilità che la ricostruzione conseguente alla demolizione potesse “essere realizzata anche con una diversa sistemazione planivolumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza alle condizioni di cui all’art. 5, comma 3 , della medesima L. 14/2009 e, qualora insista in zona dotata delle urbanizzazioni primarie previste dalle vigenti disposizioni normative , statali e regionali”. L’art. 5, comma 3 della L.R. 14/2009 prevede in particolare che “tutti gli interventi previsti dagli articoli 3 e 4 sono realizzabili mediante permesso di costruire o mediante segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire. La formazione del titolo abilitativi per la realizzazione degli interventi previsti dagli articoli 3 e 4 è subordinato: a) alla corresponsione del contributo di costruzione di cui all’articolo 16 del t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia emanato con D.P.R. n. 380/2001, come modificato dall’articolo 1 del D.Lgs. n. 301/2002 e dall’articolo 40, comma 9, della legge 1° agosto 2002, n. 166; b) alla cessione delle aree a standard in misura corrispondente all’aumento volumetrico previsto. Il comune può prevedere che l’interessato, qualora sia impossibile reperire in tutto o in parte dette aree, in alternativa alla cessione (totale o parziale), provveda alla monetizzazione degli standard mediante pagamento di una somma commisurata al costo di acquisizione di altre aree, equivalenti per estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a quelle che dovrebbero essere cedute. Gli introiti derivanti dalla monetizzazione degli standard devono essere vincolati all’acquisizione, da parte del comune, di aree destinate alle attrezzature e opere di urbanizzazione secondaria di interesse generale o destinate a servizi di quartiere, nonché alla realizzazione o riqualificazione di dette opere e servizi e all’abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici; c) al reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura minima di 1 metro quadrato (m2) ogni 10 m3 della volumetria realizzata, nel caso degli interventi di cui all’articolo 3 della volumetria realizzata con l’ampliamento e, nel caso degli interventi di cui all’articolo 4, della volumetria complessiva, volume preesistente e aumento volumetrico, realizzata con la ricostruzione. Nel caso in cui il reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali avvenga in aree diverse da quella oggetto dell’intervento previsto dall’articolo 3, il rapporto di pertinenza, garantito da un atto unilaterale d’obbligo, è impegnativo per sé e per i propri successori o aventi causa a qualsiasi titolo;  d) all’acquisizione di tutti gli assensi ordinariamente prescritti; e) al rispetto delle normative tecniche per le costruzioni con particolare riferimento a quelle antisismiche; e-bis) al rispetto delle norme che disciplinano il condominio negli edifici.

 

 

[3] E’ utile ai nostri fini riportala schematicamente:

  • l’art. 3, comma 1, lett. d) del Testo Unico dell’Edilizia richiedeva in particolare identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali (nonché “fedele ricostruzione”);
  • già con d.lgs. 301/2002 fu eliminato il riferimento all’area di sedime e alle caratteristiche dei materiali (come anche il concetto di “fedele ricostruzione”);
  • con il c.d. Decreto Sviluppo (introdotto con d.l. 70/2011) le regioni furono autorizzate a introdurre normative che disciplinassero interventi di demolizione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici eventualmente anche con “delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse”, da escludersi, tuttavia per “gli edifici abusivi dei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta” (art. 5, comma 10) ;
  • con il c.d. Decreto del Fare (introdotto con d.l. 69/2013) è stata ammessa la ricostruzione “ con la stessa volumetria (…) preesistente (…) Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. 42/2004 gli interventi di demolizione e ricostruzione (…) costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettatala medesima sagoma dell’edificio preesistente”;
  • con il c.d. decreto sblocca cantieri è stata introdotta, con disposizione distinta rispetto all’art. 3 del TUE recante le definizioni degli interventi normativi, la previsione secondo cui: “in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’ area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’atezza massima di quest’ultimo”.

 

[4] Coerentemente con i suddetti parametri della normativa statale  vigenti all’epoca, la L.R. 14/2009 prevedeva che per fruire della premialità volumetrica del 35% ammessa per gli interventi di demolizione e ricostruzione era richiesto “il rispetto delle altezze e delle distanze previste dagli strumenti urbanistici o, in mancanza dall’art. 9 del D.M. 1444/1968   o comunque all’osservanza della sagoma dell’edificio preesistente rispetto ai distacchi, agli allineamenti e agli arretramenti”.

[5] Con particolar riferimento al parametro delle “diverse sistemazioni planivolumetriche” dunque  la norma ammette retroattivamente modifiche della sagoma che al tempo dell’emanazione della L.R 14/2009  costituiva parametro necessario perché l’intervento potesse ricondursi alla ristrutturazione edilizia e ancora con il Decreto Sviluppo, pur venendo meno in via generalizzata l’obbligo di rispetto della sagoma in sede di ricostruzione,   il parametro permane per lo meno con riferimento agli immobili vincolati.

[6] Quanto al parametro delle “diverse dislocazioni”, infatti, la norma censurata consente nuove e distinte costruzioni rispetto all’immobile originario collocate in luogo diverso dall’originario ancorché nella medesima area di pertinenza. Tale previsione di dislocazione inoltre non sarebbe da ricondurre a quella introdotta, sia pure successivamente, dal Decreto Sviluppo in quanto in tale ultima eventualità la delocalizzazione è disposta nell’ambito delle scelte pianficatorie dell’Ente locale in ogni caso escluse per “edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree a inedificabilità assoluta”.

[7] Anche considerando le implicazioni in termini di imparzialità di trattamento tra chi ha applicato la versione originaria delle previsioni del Piano casa e quelli che lo applicassero successivamente all’”interpretazione autentica” e specialmente la possibilità di introdurre forme surrettizie di sanatoria in contrasto con le previsioni degli artt. 37 e 37 del Testo Unico dell’Edilizia.

[8] D’altra parte, si rileva che il rispetto delle distanze inderogabili previste dal DM 1444/1968 sia previsto dalla stessa norma censurata:“Gli interventi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. E’ consentito il mantenimento dei distacchi, degli arretramenti e degli allineamenti dei manufatti preesistenti limitatamente alla sagoma preesistente. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, e nel caso di ricostruzione di edifici all’interno della sagoma planimetrica dell’esistente, le volumetrie complessive ricostruite  sono consentite nel rispetto delle altezze massime della strumentazione urbanistica comunale vigente e delle distanze minime previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”..

[9] Si può anche considerare, collateralmente, come la sentenza n. 302/2003 citata considerasse come fosse “da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate sia oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del “governo del territorio”. E (…) appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto…”.

[10] CFR. C. Irelli, www.pausania.it, VIII, 2003 che evidenziava come “distinta questione è se l’approccio tradizionale secondo cui l’edilizia sarebbe ancillare rispetto al governo del territorio non fosse così scontato: l’edilizia “è inscindibilmente connessa con l’ordinamento civile (il regime della proprietà)… ed è pertanto in larga misura sottratta alla legislazione regionale