Il Consiglio di Stato ribadisce che le spiagge sono una risorsa scarsa; pertanto, sono illegittime le proroghe delle concessioni demaniali marittime, le quali devono essere messe a gara, di Fabio Cusano

Con sentenza 30 aprile 2024, il Consiglio di Stato, sez. VII, n. 3940 ha ribadito che le spiagge sono risorse scarse; pertanto, le concessioni demaniali marittime devono essere messe a gara e sono illegittime le proroghe al 2024.

All’esito del giudizio di primo grado, con la sentenza n. 49 del 3 gennaio 2023, il Tribunale ha dichiarato improcedibili il ricorso introduttivo e i due atti di motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse, a seguito dell’entrata in vigore di una nuova normativa statale in materia di durata delle concessioni demaniali marittime (art. 3 della l. n. 118 del 2022).

Ad avviso del Tribunale l’oggetto del ricorso fa riferimento ad atti dell’amministrazione comunale adottati in vigenza della precedente normativa, i quali non possono che ritenersi ormai integralmente superati perché tale amministrazione sarà tenuta a conformarsi al nuovo dettato legislativo.

La l. n. 118 del 2022 dovrebbe qualificarsi come legge-provvedimento di talché, pur rappresentando il precipitato di un procedimento legislativo ordinario, partecipa della natura di atto amministrativo – in quanto non disciplina in via astratta e generale lo statuto di tutte le future concessioni demaniali marittime, ma dispone in concreto su casi e rapporti, ancorché numerosi, specifici e determinati (o, comunque, agevolmente determinabili) – e, dunque, provvede direttamente ed immediatamente per tutte le concessioni in essere al momento della sua entrata in vigore.

Dovrebbe necessariamente rilevarsi, dunque, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse correlata al verificarsi di una situazione di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2020, n. 2325).

Tale sentenza, che ha dichiarato improcedibile l’originario ricorso, in una con i due ricorsi per motivi aggiunti, al pari delle determinazioni comunali gravate in primo grado, è ora impugnata.

L’appello deve essere respinto.

Il primo giudice ha invero correttamente ritenuto il ricorso di primo grado improcedibile per la sopravvenienza della l. n. 118 del 2022 le cui disposizioni e, in particolare, l’art. 3, comma 1, hanno stabilito il termine finale di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della legge stessa al 31 dicembre 2023.

La proroga disposta dalla l. n. 118 del 2022, al pari di quelle disposte dal legislatore precedentemente e successivamente (come quella di cui alla l. n. 14 del 2023), è l’effetto della voluntas legis consacrata in quella che è, a tutti gli effetti (al di là del suo automatismo o semiautomatismo), una legge-provvedimento, perché, come ha chiarito l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 proprio con riferimento alle concessioni balneari, se una legge proroga la durata di un provvedimento amministrativo, quel contenuto continua ad essere vigente in forza e per effetto della legge e, quindi, assurge necessariamente a fonte regolatrice del rapporto rispetto al quale l’atto amministrativo che (eventualmente) intervenga ha natura meramente ricognitiva dell’effetto prodotto dalla norma legislativa di rango primario, sicché non è necessario che intervenga un atto ricognitivo della proroga stabilita ex lege dal legislatore in questa materia, anche con l’art. 3 della l. n. 118 del 2022.

Anche volendo ammettere che la proroga di cui all’art. 3 non sia più automatica, come quella disposta dalla l. n. 145 del 2018, e che l’assenza di nuovi provvedimenti attuativi della l. n. 118 del 2022 manterrebbe vivo l’interesse dell’appellante ad ottenere, anche ad eventuali fini risarcitori, l’annullamento degli atti impugnati in prime cure per la riduzione dell’originaria durata della concessione sulla base di quanto previsto dall’allora vigente art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018, infatti, l’effetto che discenderebbe dalla procedibilità, in ipotesi, del ricorso, non sarebbe la reviviscenza dell’originario – e illegittimo – regime di durata temporale delle concessioni previsto dalla l. n. 145 del 2018, bensì – proprio dando applicazione alla sentenza della Corte di Giustizia UE, 20 aprile 2023, in causa C-348/22 e a tutta la giurisprudenza europea precedente – quello opposto, sancito dalla Corte, di dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale (v., per una fattispecie analoga regolata dal d.l. n. 400 del 1993, anche Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493).

A questo riguardo, la circostanza che l’odierna appellante si sia dopo la vendita forzata resa acquirente del complesso aziendale di cui fa parte lo stabilimento balneare – e nel quale, si badi, non rientra in modo automatico, all’esito della vendita forzata, l’assegnazione della precedente concessione: v., proprio in relazione alla vicenda successoria dell’odierna appellante, Cons. St., sez. V, 4 gennaio 2018, n. 52 nonché, ancora, Cons. St., sez. V, 19 marzo 2018, n. 1748 e, ancor più, Cons. St., sez. V, 5 febbraio 2021, n. 1078 – non giustifica certo una deroga all’applicazione dei principî sanciti dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021, in quanto è evidente che l’acquisizione del complesso aziendale nell’asta pubblica di una procedura esecutiva che ha avuto ad oggetto l’azienda non costituisce certo quella procedura competitiva trasparente che ha ad oggetto, sul piano pubblicistico, la sola assegnazione della concessione ad eque condizioni di mercato e soprattutto, quando pure infine determini, con l’autorizzazione del Comune ai sensi dell’art. 46, comma 2, cod. nav., il subingresso dell’aggiudicatario dei beni subastati nella concessione, non comporta certo de iure il prolungamento dell’originario rapporto concessorio, con un’eccezione rispetto ai principî sanciti dalla Corte di Giustizia.

Né giova sostenere all’appellante, sulla base di mere affermazioni apodittiche, con particolare riferimento alla sussistenza di un interesse transfrontaliero certo nonché alla scarsità della risorsa, che la concessione in capo all’odierna appellante sarebbe senz’altro sfornita del requisito dell’interesse transfrontaliero certo richiesto dalla Direttiva 2006/123/CE, come sarebbe evidente ove si tenga conto della sua limitata rilevanza economica nonché dell’ubicazione e della consistenza dell’area della concessione.

Si tratta di meri assunti, sforniti di prova, in quanto la risorsa è sicuramente scarsa, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito nella medesima pronuncia dell’Adunanza plenaria sopra citata, e la presenza o l’assenza dell’interesse transfrontaliero non dipende certo dalla mera – peraltro solo affermata – limitata rilevanza economica della concessione.

Di qui la reiezione dei motivi con cui l’appellante contesta la sentenza impugnata laddove ha dichiarato improcedibile l’originario ricorso e, cioè, l’accertamento della durata del rapporto fino al 2033 sulla base delle previgenti disposizioni di cui alla l. n. 145 del 2018, che essa vorrebbe far rivivere, una volta abrogata dalla l. n. 118 del 2022, con un effetto paradossale e contrario a tutta la ormai costante e granitica giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in questa materia, effetto non giustificato in nessun modo dalla presunta peculiarità della vicenda qui controversa.

Da quanto esposto emerge anche la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dall’appellante, dato che essa pretende di far rivivere, sulla base di circostanze fattuali ictu oculi inconsistenti – il fatto, cioè, che essa si sarebbe aggiudicata all’asta il complesso aziendale, che non comporta certo il subingresso automatico nella concessione, conferendo ad essa solo un interesse legittimo pretensivo al subingresso (come chiarito da Cons. St., sez. V, 5 febbraio 2021, n. 1078, con autorità di giudicato nella presente controversia) e, comunque, anche in ipotesi di autorizzazione al subingresso, non determina certo un prolungamento automatico dell’originaria concessione – la pregressa disciplina del 2018, palesemente contraria ai principi del diritto unionale e, come tale, disapplicabile non solo dai giudici nazionali, ma anche dalle stesse pubbliche amministrazioni, non ultime quelle comunali, come ha a chiare lettere precisato l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 2021.

Ne consegue, anche per le ragioni sin qui esposte, l’improcedibilità, nei sensi precisati, del ricorso originario, rimanendo estranea al thema decidendum del presente giudizio la questione, ben diversa e ben più delicata, relativa alla legittimità delle proroghe via via concesse dal legislatore italiano con le successive modifiche legislative.

La conferma dell’improcedibilità, anche per le ragioni sin qui esposte, esime il Collegio dall’esame dei molteplici motivi di ricorso proposti in primo grado, dato che comunque permarrebbe l’effetto di proroga della concessione sino al 31 dicembre 2023 originariamente disposto dall’art. 3 della l. n. 118 del 2022 e ormai scaduto (termine, come ricorda la stessa appellante, prorogato sino al 31 dicembre 2024 con disposizione introdotta dalla l. n. 14 del 2023 che, però, dovrebbe e deve essere essa stessa disapplicata: Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192), per tutto quanto già chiarito.