I pericoli ed i limiti della legge obiettivo

di 3 Febbraio 2002 Incontri


Pubblichiamo un primo commento generale ai principali contenuti della legge obiettivo approvata poi a dicembre 2001. (consulta il testo della legge)

La legge nonostante sia stato introdotto nel testo “nel rispetto dei principi costituzionali delle regioni”, appare palesemente incostituzionale in riferimento alla nuova legge costituzionale 3/2001.



Non è certo possibile formulare un giudizio esauriente poiché nelle norme della legge sono indicati solo i principi cui deve attenersi la delega. Questo ci permette comunque già di esprimere dei giudizi anche se non completi sulle scelte – mi sembra – irreversibili che questo governo ha preso in materia.

Alcune considerazioni.

In primo luogo non si tratta della sola individuazione di una tecnica di realizzazione per alcune opere superlocali

Si tratta a guardar bene di un diverso approccio che rimette in discussione l’intero processo decisionale e gestionale del settore ai fini di una maggiore semplificazione ed accelerazione dell’azione operativa: ma ciò cade in un momento in cui è stata approvata la legge di riforma costituzionale n.3/2001 che scombussola il sistema ancor più della legge obiettivo.

 

Provo a spiegarmi:

La legge obiettivo è incostituzionale

In primo luogo, vi è il fondato dubbio sull’incostituzionalità della legge obiettivo in rapporto al nuovo Titolo V di cui alla legge cost. n.3/2001. Infatti, secondo il vecchio criterio della strumentalità della materia dei lavori pubblici (seguito anche nel D. Legsl.112) lo Stato mantiene postestà legislativa di principio per la disciplina dei relativi appalti soltanto con riferimento alle materie sostanziali espressamente indicate (protezione civile; porti e aereoporti; grandi reti di trasporto e di navigazione; distribuzione nazionale di energia). In materia di legislazione concorrente lo stato può cioè dettare solo i principi fondamentali della materia: la legge obiettivo dovrebbe essere una legge quadro per le regioni; siamo invece di fronte ad una legge delega che attribuisce al governo il potere di dettare una disciplina di dettaglio peraltro riferita a specifiche opere definite di preminente interesse nazionale. Ma una volta definita in Costituzione la materia oggetto di legislazione concorrente del tipo “porti, aereoporti, grandi reti di trasporto” non credo ci sia più spazio per definizioni di questo genere che spostino verso l’alto la competenza.

Nel merito poi occorrerà verificare se le opere inserite in finanziaria possano effettivamente essere annoverate tra le grandi reti di trasporto (il passante di Mestre è tale?). Certamente gli insediamenti produttivi strategici non rientrano tra le materie di legislazione esclusiva dello stato né tra quelle di legislazione concorrente

La legge costituzionale a mio avviso impedisce, inoltre, una revisione della Merloni (quater) proprio perché i lavori pubblici e la relativa di sciplina degli appalti non rientra né nella legislazione esclusiva né in quella concorrente; lo stato sarebbe privato del potere legislativo e regolamentare in materia. In sostanza in queste materie le regioni possono esercitare la loro potestà legislativa esclusiva nel solo rispetto della costituzione e degli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario e di quelli internazionali.

Va da sé che in attesa della legislazione regionale, secondo l’interpretazione prevalente, rimarrebbero in vigore le leggi statali poché l’ordinamento non ammette vuoti.(cosiddetto principio dell’horror vacui).

Altri aspetti problematici e di contrasto rispetto alla legislazione vigente

1) La disciplina speciale è in contraddizione evidente e palese con la regionalizzazione delle strade nel senso che lo stato dopo aver riconosciuto che le strade non possono essere isolate dal contesto territoriale al cui servizio sono poste – il territorio regionale – si riprende quello che sostanzialmente ha ceduto e torna a programmare ed imporre dall’alto scelte strategiche non solo di viabilità ma anche relative ad impianti produttivi (sembra di tornare al progetto ’80) i cui contenuti ammette già direttamente di non conoscere poiché richiede ad un soggetto privato – il general contractor – di individuarne costi, modalità, tracciati etc.

2) Le norme della legge speciale riportano il ruolo delle amministrazioni nella programmazione delle opere pubbliche ad un ruolo marginale, oggi invece impegnate nella redazione degli studi di fattibilità e della progettazione, si annulla il ruolo del responsabile del procedimento, e con esso gli incentivi alla progettazione: in breve tutto quel faticossisimo processo messo in atto con la legislazione vigente che pur tra mille contraddizioni, sta ridando agli uffici amministrativi ed al personale di province, comuni, regioni, un ruolo propositivo nel’individuazione e soluzione concreta del fabbisogno infrastrutturale.. Dico questo perché basta leggere la lett c) dell’art.1 ove è previsto che il Ministro delle infrastrutture possa avvalersi di apposite strutte tecniche (evidentemente non quelle esistenti) nonché di advisor nel definire le proposte dei promotori e successivamente anche di commissari straordinari con i poteri di cui alla l.135/97. Questo riguarderà quasi certamente come dicevo anche la disciplina ordinaria ove credo che l’art.19 3 co della l.109 abbia i giorni contati (che prevede che le amm aggiudicatrici ed i soggetti di cui all’art.2 lett b) non possano affidare a soggetti pubblici o di diritto privato l’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici) reintroducendo così la cosiddetta concessione di committenza.

3) si mette in discussione, dicevo, lo stesso processo di decisione connesso con la ideazione e realizzazione delle opere pubbliche, processo che non può prescindere – ed il contesto europeo ce lo dimostra – dal processo di formazione della volontà politica delle amministrazioni esponenziali degli interessi della collettività, poiché gli attraversamenti dei territori, comunque necessitano del loro consenso e della loro effettiva partecipazione alla realizzazione. E non si creda che il processo di decentramento non abbia inciso nella crescita della consapevolezza della propria autonomia territoriale. L’indicazione di un contraente generale unico cui viene attribuito il compimento dell’intero processo realizzativo dell’opera mi sembra vada proprio in controtendenza rispetto al processo devolutivo. L’esecuzione dei procedimenti espropriativi, l’ottenimento di tutti i necessari permessi autorizzativi e concessori per l’avvio dei lavori, fino alla localizzazione dell’opera, ed il coordinamento di tutte le fasi esecutive sembra porre le amministrazioni competenti in fase di evidente soggezione e di deresponsabilizzazione anche ai fini della necessaria collaborazione di risultato.

Alla lettera c) dell’art.1 si afferma che “tutte le autorizzazioni e concessioni necessarie, comprensive della localizzazione dell’opera, devono essere attribuite al CIPE”; con palese violazione delle competenze degli enti territoriali, macroscopica dopo la riforma del Titolo V. Alla lettera d) si prevede la riforma della conferenza di servizi, che si riduce a consentire alle amministrazioni (che sarebbero, se non vi fosse la precedente lettera c) competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni a formulare proposte migliorative su un progetto che è già deciso in tutti gli aspetti (si arriva, dunque, perfino a saltare completamente le funzioni urbanistiche in caso di opere in variante?).(La conferenza diviene superflua?) 

Ordinamento interno e principi dell’ordinamento comunitario 

Più in generale vedo un contrasto tra alcune posizioni del governo e le norme dell’ordinamento comunitario: queste ultime non sono un menù da cui scegliere a seconda delle convenienze.

Per stare alla disciplina delle opere pubbliche:

a) per superare le ristrettezze della Merloni, si fa riferimento alle norme comunitarie in materia di General Contractor, ma poi:

b) in materia di concessioni autostradali si afferma n più di un caso, di voler affidare alla società concessionarie esistenti la realizzazione di tracciati ed opere viarie, in contrasto con le norme che impongono per queste gare autonome.

c) dopo la sentenza della Corte di giustizia del giugno di quest’anno in materia di opere di unrbanizzazione (Scala 2000) a scomputo degli oneri che ha fissato in 5 milioni di euro la soglia oltre la quale il privato imprenditore è tenuto a mettere a gara le opere, il governo sembra intenzionato ad aggirare il giudicato comunitario prevedendo una norma che separa nell’ambito dei piani attuativi l’onere di urbanizzazione dal rilascio della concessione edilizia. La soluzione invece più coerente sarebbe quella di considerare il privato attratto nella sfera pubblicistica e svolgere funzione di organismo di diritto pubblico, appaltando le opere così come accade per altri casi ad es le società miste.

Il General Contractor 

Quanto al General Contractor la Direttiva 93/37 individua un tipo di appalto avente ad oggetto l’esecuzione con qualsiasi mezzo di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice. Tipologia esclusa espressamente dalla disciplina della legge Merloni che si muove in un’ottica diametralmente opposta, anche se questa era prevista dall’art.4 del D legsl.406/1971 attuativo della direttiva 89/440

In questa previsione il disegno di legge Lunardi vede la possibilità di utilizzare il meccanismo del contraente generale cui l’amministrazione indica soltanto le esigenze che l’opera intende soddisfare, tutto il resto è compito del general contractor, il quale è esentato nello scegliere i “subappaltatori” da qualunque obbligo di gara.

Per stare alle categorie dell’attuale legge sui lavori pubblici, l’opera sarebbe affidata al G.C. sulla base di ciò che è previsto ai fini della programmazione triennale che si fonda sui cosiddetti studi di fattibilità (in questa fase non c’è nemmeno il progetto preliminare indispensabile solo per l’elenco annuale).

Si tratta, evidentemente, di una prospettiva ribaltata rispetto a quella della Merloni. che ha puntato alla esecuzione da parte dell’appaltatore delle opere sulla base di progetti esecutivi, o tramite concessione di costruzione e gestione.

Dando per scontato che la selezione del General Contractor avviene sulla base dell’offerta più vantaggiosa che si basa su diversi criteri quali il prezzo, il termine di esecuzione, il costo di esecuzione, la redditività, il valore tecnico, ecc. è davvero problematico indicare a base di gara un criterio di valutazione che tenga conto dei suddetti elementi laddove l’opera si aggiudica sulla base di un mero studio di fattibilità. Non so se il legislatore comunitaro intendesse consentire davvero quello che il disegno di legge propone.

Altro elemento di difficile valutazione, sulla base delle indicazioni della legge obiettivo è quello del finanziamento dell’opera. Il G.C. anticipa i fondi, reperendoli tra finanziatori privati, ma non è agevole comprendere come possa essere regolato questa sorta di prestito allo “stato” e dove sta il ritorno dei finanziatori privati. Del resto la differenza tra G.C. e concessionario sta proprio nel fatto che nel primo caso è comunque esclusa la gestione economica del bene prodotto. A mio avviso credo che il G.C. si trasformi in un enorme spesa  per  le casse dello stato.

In breve, il G.C. potrebbe astrattamente essere utilizzabile nei casi di appalti particolarmente complessi ed in costante evoluzione, come nel campo dell’alta tecnologia, ove le amministrazioni pur conoscendo le proprie eisgenze, ignorano quale sia la milgiore soluzione tecnica per soddisfarle. Gli elementi mancanti vengono come dire integrati proprio dalla figura del G.C.

Il dialogo competitivo secondo la Direttiva unificante lavori forniture servizi

Per capire in quale direzione ci si sta muovendo a livello comunitario e in quale misura la legge obiettivo risulti coerente, un confronto utile può derivare dall’esame della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, di servizi e lavori.

Non vi è dubbio al riguardo che la direzione verso la quale ci si muove è simile: fornire alle amministrazioni strumenti che, senza tradire i principi generali di trasparenza e concorrenza, consentano comunque un maggior grado di flessibilità nella scelta del contraente; quindi, attenuare le rigidità che attualmente vincolano l’azione dei committenti pubblici a favore del riconoscimento di una maggiore libertà di azione nel condurre la negoziazione con gli operatori privati.

Diversi peraltro sono gli strumenti. In particolare, la nuova procedura speciale prevista nella proposta di direttiva – il dialogo competitivo – da un lato va ben oltre il general contractor come strumento di flessibilità e semplificazione dell’azione amministrativa, dall’altro, a differenza del general contractor, riconosce e rafforza il ruolo di protagonista dell’amministrazione aggiudicatrice che decide e stabilisce, in conformità con i principi di responsabilità e autonomia delle amministrazioni, i tempi e le modalità della procedura.

Si ricorda al riguardo che il dialogo competitivo è previsto soltanto nei casi di “appalti particolarmente complessi” per i quali le amministrazioni aggiudicatrici non siano in grado di definire dal punto di vista tecnico, giuridico o finanziario, i mezzi per soddisfare le loro esigenze o di impostare il progetto o di valutare la portata delle diverse soluzioni. Infatti, soltanto il carattere di “eccezionale complessità” dell’appalto giustifica il ricorso a tale procedura speciale.

Nella procedura di gara, si richiede la massima trasparenza nella disciplina dei criteri di selezione e dei criteri di aggiudicazione, anche in considerazione della mancanza del capitolato tecnico (sostituito dal documento descrittivo). In particolare, è chiarita la netta separazione tra la fase del dialogo (negoziazione) e la fase di selezione delle offerte (procedura aperta), nel senso che la negoziazione deve necessariamente concludersi nel momento della selezione dell’offerta migliore (preferred bidder). Ciò significa che l’amministrazione aggiudicatrice può svolgere tutte le consultazioni necessarie e negoziare con i singoli candidati le diverse offerte per individuare le soluzioni più idonee (in sostanza, questa fase sostituisce il concorso di idee o un appalto di servizi), ma la procedura negoziata si deve concludere con la scelta della soluzione migliore che può derivare anche dalla combinazione delle proposte migliori tra più offerte. L’amministrazione in tal caso fa propria la migliore soluzione (pagando se del caso i diritti di proprietà intellettuale). Terminata la fase del dialogo e, quindi, perfezionate le offerte, l’amministrazione procede all’aggiudicazione. Rispetto al G.C. la differenza è evidente poiché permette all’amministrazione un maggiore protagonismo e di avviare direttamente l’opera mediante appalto senza l’intermediazione, a questo punto superflua, del GC.

La tutela giurisdizionale

 
 La lettera g) infine è anch’essa densa di problemi. Anzitutto sembra riferita a tutti i contratti che hanno a che fare con lavori pubblici e non solo a quelli di cui al comma 1. Per questi si prevede l’esclusione del risarcimento in forma specifica, cioè l’attribuzione al ricorrente non aggiudicatario dell’utilità sperata, che è quella di essere egli l’aggiudicatario e quindi il contraente. Per il vero attualmente la giurisprudenza amministrativa ritiene perlopiù che una volta stipulato il contratto d’appalto il G.A. non possa intervenire su quest’ultimo, rimanendo in pratica soltanto la strada del risarcimento per equivalente. La norma avrebbe l’effetto di legificare questo orientamento in contrasto con qualche recente pronuncia del giudice amministrativo.