“Nell’ elaborare una strategia è importante riuscire a vedere le cose che sono ancora distanti come se fossero vicine ed avere una visione distaccata delle cose che, invece, sono più prossime” (scrittore giapponese Mymoto Musashi)
La parte “ortodossa”.
La L.R. Emilia – Romagna n. 24/2017 propone una nuova idea di piano (PUG), sicuramente innovativa.
Forse si può dire che la scelta è coraggiosa, perché si passa da una concezione molto “soggettiva” della pianificazione, ad una concezione molto più “oggettiva” (il quadro conoscitivo, la diagnosi, la strategia, la valsat, la disciplina).
In sostanza (e lo ritengo molto positivo) a quella endemica carenza di legittimazione dei vecchi Piani (che specchio erano i piani di noti “Urbanisti”, dato che riflettevano la loro concezione del mondo e non certo la scelta di ignari Consigli comunali, che magari avevano visto il Piano solo pochi giorni prima della sua adozione), si sostituisce un sistema di “legittimazione” molto più oggettivo e basato, in sostanza, sul metodo scientifico sperimentale che – come è noto – passa attraverso le seguenti fasi: osservazione; individuazione del problema; documentazione; formulazione delle soluzioni; verifica sperimentale; analisi dei dati; comunicazione dei risultati.
Dopo la ricostruzione del Quadro conoscitivo e della Diagnosi (su cui volutamente non ci si sofferma) da cui dovrebbero emergere le esigenze della Collettività locale nelle sue varie declinazioni, entra in gioco la cd. “Strategia” che è l’ elemento più innovativo del Piano (tanto che la Legge non è ha fatto uno degli elementi che compongono il Piano, ma l’ elemento fondamentale del Piano), e che consiste in un insieme di obiettivi generali che dovrebbe avere il compito di dare “legittimazione” (causa) a tutte le trasformazioni previste dal Piano.
In tanto si “trasforma” in quanto la trasformazione trova giustificazione in una precisa scelta della Strategia.
Questo sia per le trasformazioni più rilevanti (da gestire con gli AO o con i PAIP) a quelle più minute (gestite dalla “Disciplina”, ma anche dal RE), senza dimenticare la realizzazione delle opere pubbliche.
La Legge, infatti, ci dice che il Piano deve definire per ciascuna parte del territorio urbanizzato gli obiettivi generali per il miglioramento della qualità urbana e ambientale e le dotazioni territoriali, infrastrutture e servizi pubblici ritenuti necessari sulla base della strategia per la qualità urbana ed ecologico-ambientale, nonché la gamma degli usi e delle trasformazioni ammissibili, stabilendo per ciascuno di essi i requisiti e le condizioni cui è subordinato l’intervento nonché gli incentivi urbanistici riconosciuti.
In particolare, la strategia definisce per ciascuna parte del territorio urbanizzato gli interventi di addensamento o sostituzione urbana subordinati alla stipula di A.O e PAIP nonché gli interventi sul tessuto urbano consolidato che possono essere attuati direttamente con la presentazione di un titolo abilitativo edilizio.
La Legge dice infatti che le previsioni della strategia costituiscono <riferimento necessario e vincolante> in sede di elaborazione degli A.O/PAIP per la determinazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture e dei servizi pubblici cui è subordinata la realizzazione degli interventi di riuso e di rigenerazione urbana e nuova urbanizzazione.
Se è così, i Comuni della Regione si troveranno quindi a dover scegliere tra la tentazione di riacquisire almeno in parte quella conformatività che la l.r. 24/2017, per via del principio di competenza e di consensualità quasi necessaria, non attribuisce al PUG in via immediata e diretta come accadeva invece per il Piano Regolatore Generale all’interno della l. 1150/1942 e la tentazione-rischio di adottare una strategia esclusivamente di “bandiera”, con una (inutile e noiosa) sequenza di scontate enunciazioni sul consumo di suolo, sul contenimento dei consumi energetici, sulla resilienza, etc….vero e proprio trionfo del “politicamente corretto”.
Nel sistema della Legge, la Strategia interagisce poi necessariamente con la Valsat e con la Disciplina.
La Valsat ha un doppio ruolo: funge da “rete di contenimento” delle trasformazioni (con un interessante slittamento del Piano da esercizio di discrezionalità amministrativa a esercizio di discrezionalità tecnica, come aveva già ben colto la Corte Costituzionale in una risalente sentenza 38 del 1966 ove si afferma che “l’attività normativa devoluta all’Amministrazione (nella specie ai Comuni), si deve svolgere entro determinati confini di carattere obbiettivo, e che, per ciò stesso, rimane, sotto questo aspetto, delimitata nella libertà dell’apprezzamento”), e rappresenta una sorta di “linea rossa” invalicabile, una sorta di rete di sicurezza, al di sotto della quale gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale non possono andare nella disciplina degli usi e delle trasformazioni del territorio,
La Valsat ha però anche un ruolo in positivo, in quanto funziona da strumento di “validazione” (o da cartina di tornasole) circa la correttezza delle scelte operate dalla strategia.
Infatti, nel “documento di Valsat”, che costituisce parte integrante del piano sin dalla prima fase della sua elaborazione, sono individuate e valutate sinteticamente, con riferimento alle principali scelte pianificatorie, le ragionevoli alternative idonee a realizzare gli obiettivi perseguiti e i relativi effetti sull’ambiente e sul territorio, tenendo conto delle caratteristiche dell’ambiente e del territorio e degli scenari di riferimento ricavati dal quadro conoscitivo (art. 22) e dalle informazioni ambientali e territoriali (art. 23).
Il documento di Valsat è chiamato quindi ad individuare, descrivere e valutare i potenziali impatti delle soluzioni prescelte e le eventuali misure idonee ad impedirli, mitigarli o compensarli (cfr. artt. 20 e 21 l.r. 24/2017), definendo al contempo gli indicatoripertinenti indispensabili per il monitoraggio degli effetti attesi sui sistemi ambientali e territoriali.
La cogenza della Valsat per gli strumenti di pianificazione e quindi anche per il PUG è rappresentata dall’obbligo (per l’atto con il quale il piano viene approvato) di dare conto degli esiti della Valsat, illustrando come le considerazioni ambientali e territoriali sono state integrate nel piano ed indicando le misure adottate in merito al monitoraggio attraverso la c.d. “dichiarazione di sintesi”.
La Valsat, quindi, non vive di vita propria, ma si salda (nel sistema della Legge) con la Strategia per indicare i criteri e le condizioni generali che, specificando le politiche urbane e territoriali perseguite dal PUG, costituiscono il quadro di riferimento per gli A.O. ed i PAIP e fissa, attraverso l’indicazione di requisiti prestazionali e di condizioni di sostenibilità da soddisfare, obiettivi generali che attengono:
- a) ai livelli quantitativi e qualitativi del sistema delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità e dei servizi pubblici da realizzare nel territorio comunale;
- b) al grado di riduzione della pressione del sistema insediativo sull’ambiente naturale, di adattamento ai cambiamenti climatici, di difesa o di delocalizzazione dell’abitato e delle infrastrutture a rischio e di miglioramento della salubrità dell’ambiente urbano, anche grazie all’attuazione delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale e alla realizzazione e al potenziamento delle dotazioni ecologiche e ambientali.
Infatti, la strategia deve tenere conto sia degli obiettivi generali che essa intende perseguire sia delle indicazioni derivanti dalle valutazioni ambientali e territoriali della Valsat con particolare riferimento:
1) alla definizione dell’assetto spaziale di massima degli interventi e delle misure ritenute necessarie e, tenendo conto delle carenze pregresse di dotazioni territoriali, infrastrutture, servizi pubblici e delle situazioni di vulnerabilità, all’individuazione dei fabbisogni specifici da soddisfare nei medesimi ambiti anche fornendo indicazioni di massima di carattere progettuale e localizzativo (poi specificate negli A.O/PAIP);
2) all’individuazione del fabbisogno complessivo di alloggi ERS.
Alla Disciplina dovrebbe spettare invece un compito altrettanto importante che è quello di tradurre in “norme” quanto sopra indicato (con particolare riferimento al Tessuto già esistente), anche se – indubbiamente – lo farà con un linguaggio del tutto diverso da quello a cui eravamo in precedenza abituati (quando si traduceva in indici, parametri, etc…).
Per quanto riguarda la Disciplina, una particolare attenzione va data al <dato semantico>: nel linguaggio corrente la parola disciplina è spesso associato ad aggettivi che ne sottolineano l’ afflittività o il rigore (dura disciplina, procedimenti disciplinare, Collegio di disciplina, etc….).
Credo, invece, che la Legge usi questo termine in una accezione diversa, dal latino discernere, “imparare”, da cui deriva il sostantivo “discepolo”, cioè colui che mette in pratica ciò che ha imparato.
La disciplina, cioè, come la traduzione concreta della Strategia.
Nel sistema della Legge non ci sono più trasformazioni prestabilite a priori dal Piano, ma anche quando si opera sull’ esistente, lo si fa utilizzando gli strumenti di cui sopra (strategia e valsat) per “leggere” e valutare. Si tratta di comprendere quanto una determinata trasformazione intercetta gli obiettivi della strategia.
Non c’è più una posizione di vantaggio “data” o riconosciuta dal Piano, ma solo un obiettivo fissato dalla strategia a cui la trasformazione è funzionale.
E’ evidente che questa impostazione apre (spalanca) le porte ad un amplissimo margine di discrezionalità (potremmo dire di opinabilità) e sarà un tema di cui ci si occuperò nella parte meno ortodossa e più critica.
Si può dire perciò che c’è quindi un “filo rosso”, processuale (con un processo non solo discendente, ma anche ascendente) che lega la Disciplina alla Strategia ed alla Valsat.
Ciò premesso, mi pare di poter dire che uno strumento centrale nella Disciplina sarà rappresentato dai <Permessi di Costruire convenzionati> che però vedo in un’ ottica un po’ diversa dalla configurazione data dal Legislatore nazionale nel 2014 con l’ art. 28 bis.
Nel TU 380/2001 sono una sorta di “surrogato” dei PUA, mentre nel sistema della Legge regionale hanno un compito molto più importante e “senza rete” e cioè quello di costituire frammenti della trama della “Strategia” e della sua concreta attuazione.
In questo senso, la convenzione diviene molto meno standard ed a contenuto vincolato, per delineare invece quelle “prestazioni” che la Strategia e la Valsat ritengono indispensabili per legittimare la trasformazione.
Ciò premesso, se ci si chiede se la Strategia abbia contenuti “conformativi” la risposta non è facile…
Sicuramente non nel senso classico del termine, di conformazione del diritto di proprietà come fino ad ora abbiamo inteso le norme di Piano.
Potremmo dire che la Strategia più che conformare lo jus edificandi, lo condiziona e lo subordina alla sua “coerenza” con gli obiettivi del Piano.
Si passa cioè dalla “conformità” alla “coerenza” che è, a sua volta, concetto diverso e più pregnante rispetto alla mera “compatibilità”.
Potremmo dire cioè che la compatibilità è una conditio sine qua non, ma non è sufficiente per assentire le trasformazioni.
Se questo è più vero per le macro trasformazioni (disciplinate dagli AO, che però – attenzione – ritengo saranno molto poche…) è sicuramente meno evidente per quelle previsioni della Disciplina che si occupano della rigenerazione dell’ esistente e delle cd. trasformazioni “a bassa intensità” e che, magari con un linguaggio diverso, dovranno contenere scelte grafiche e normative (si pensi, ad esempio, alla disciplina degli usi ammessi e non) sicuramente “conformative”, anche in un’ accezione più tradizionale.
Vista la natura non conformativa del PUG occorre quindi interrogarsi sulle modalità attraverso le quali è maggiormente opportuno tradurre in disposti normativi gli esiti della Valsat e le idee, le visioni proprie della Strategia.
Per rispondere a questa domanda il punto da cui partire non può che essere l’art. 28 della l.r. 24/2017, rubricato “Indicazioni della cogenza delle previsioni di Piano”, il quale prevede che gli elaborati normativi degli strumenti di pianificazione devono indicare l’efficacia delle singole disposizioni, distinguendo tra prescrizioni e indirizzi.
Ai fini della presente legge:
- per prescrizioni si intendono le disposizioni cogenti e autoapplicative dei piani che incidono direttamente sul regime giuridico dei beni disciplinati, regolando in modo vincolante gli usi ammessi e le trasformazioni consentite. Le prescrizioni devono trovare piena e immediata osservanza ed attuazione da parte di tutti i soggetti pubblici e privati, secondo quanto previsto dal piano, e prevalgono automaticamente, senza la necessità di recepimento, sulle disposizioni incompatibili contenute negli strumenti di pianificazione e negli atti amministrativi attuativi assunti in data antecedente;
- per indirizzi si intendono le disposizioni volte ad orientare gli usi e le trasformazioni del territorio, allo scopo di perseguire finalità generali ovvero obiettivi prestazionali, pur riconoscendo ai soggetti pubblici e privati chiamati ad osservarli ambiti di autonomia nell’individuazione delle modalità, dei tempi o del grado di realizzazione dei risultati indicati.
Preso atto di tali definizioni è doveroso chiedersi, tra gli indirizzi e le prescrizioni, qual è la categoria che sarà suscettibile di trovare maggiore spazio nell’ambito delle disposizioni normative del PUG.
L’opinione di chi scrive è che la disciplina della l.r. 24/2017 attribuisca al PUG una natura tale per cui le disposizioni normative del Piano dovrebbero avere di regola efficacia di indirizzi e non di prescrizioni.
Infatti, lo spazio che la l.r. 24/2017 lascia alle prescrizioni all’interno del PUG è limitato a profili ben delimitati – per quanto non di scarsa importanza – quali, a mero titolo di esempio, la disciplina urbanistica di dettaglio degli interventi di riuso e di rigenerazione urbana delle aree collocate nel perimetro del territorio urbanizzato (art. 11, c. 1, l.r. 24/2017) o la disciplina degli interventi attuabili per intervento diretto, di qualificazione edilizia, di ristrutturazione urbanistica e di recupero e valorizzazione del patrimonio edilizio tutelato dal piano, compreso il riconoscimento di incentivi urbanistici per promuovere l’attuazione dei medesimi interventi ai sensi dell’art. 8, c. 1, l.r. 24/2017 (art. 26, c. 1, lett. b, l.r. 24/2017).
In realtà, ciò che si sta affermando nella prassi è la “prescrizione” per gli interventi diretti e l’ “indirizzo” per le trasformazioni complesse, ma anche questa mi sembra una semplificazione che rischia di tradire un po’ lo spirito della Legge e della stessa Strategia.
Altri Piani (PUG) preferiscono parlare di “prestazioni” o “requisiti”, ma il rischio è ancora una volta la indeterminatezza ed il grado di cogenza di queste esplicitazioni verbali.
I dubbi.
In questo quadro così incerto, siamo sicuri che il sistema delineato configuri esercizio di “discrezionalità tecnica” (sempre sindacabile) e non rischi di far sconfinare in scelte sostanzialmente insindacabili e che rischiano di tradursi in puro arbitrio del decisore pubblico?
Quando – a mero titolo di esempio – si dice (PUG di Bologna) che si intende:
“Introdurre mix funzionali e tipologici nelle aree specializzate prossime a tessuti residenziali” e che: “solo nel caso di interventi urbanistici è ammesso introdurre l’uso residenziale (A) per valutare in maniera adeguata l’impatto urbanistico degli interventi. Le valutazioni ambientali in occasione del permesso di costruire convenzionato per gli interventi di ristrutturazione urbanistica e dell’Accordo operativo per gli interventi di addensamento e sostituzione urbana hanno quindi la specifica finalità di garantire la qualità dell’ambiente abitativo che si vuole realizzare con il progetto e la compatibilità con il contesto territoriale nel quale l’area è localizzata”, non si rischia una valutazione fortemente soggettiva?
I PUG introducono una forte discrezionalità interpretativa, con buona pace del fondamentale principio di certezza delle regole, utilizzando spesso concetto giuridici indeterminati (come “l’ impatto urbanistico degli interventi”, la “qualità dell’ ambiente abitativo” o la “compatibilità con il contesto territoriale”) che possono prestarsi ad infinite declinazioni e interpretazioni.
Non pare allora inutile rammentare l’autorevole insegnamento (recente) del Consiglio di Stato:
“la volontà pianificatoria del Comune, per avere rilievo giuridico si deve manifestare nelle forme di legge: la materia urbanistica, invero, non ammette né può ammettere, per le imprescindibili esigenze di certezza, formalità e stabilità che la connotano, manifestazioni implicite del potere, né può comportare opinabili e complesse attività di interpretazione” (Cons. di Stato, sez. IV, n. 7051/2019)
ed ancora:
“La gestione dell’assetto del territorio è invero una funzione che si estrinseca in una molteplice tipologia di manifestazioni di potestà pubbliche, in cui ciascuna deve essere caratterizzata per legge (a garanzia dei destinatari) da una propria causa, da propri effetti e da una corrispondente competenza, sicché nell’ordinamento non sussiste in capo ad alcun centro amministrativo un generale ed indifferenziato potere di pianificazione del territorio, libero quanto a mezzi e a forme, capace di incidere sui diritti dei consociati” (Cons. di Stato, sez. II, n. 7817/2020).
Il rischio, inoltre è quello che l’ urbanistica si allontani sempre più dall’ edilizia (che è invece sempre più “normativa” e dettagliata, al limite del parossistico), con l’ effetto di aver creato due mondi “paralleli” che non dialogano (o dialogano molto a fatica) tra loro (e mi riferisco anche ai corrispondenti settori dell’ Amministrazione).
Senza considerare che ci si deve chiedere se tutti gli obiettivi che la Strategia individua sono nella reale disponibilità del Comune(esempio requisiti prestazionali edifici, disciplina del commercio, etc…) o se, invece, trovino il loro riferimento e la loro disciplina in altre norme (statali o regionali) del nostro Ordinamento.
Mi riferisco ad esempio alle limitazioni al commercio che si leggono in molti PUG, con il dichiarato (ma a mio parere illegittimo) scopo di incentivare il commercio di vicinato.
Un altro aspetto meriterebbe di essere indagato.
Se, come abbiamo detto, la Strategia è l’ insieme degli obiettivi imprescindibili del Piano (che nascono dalla diagnosi dei bisogni) come si fa ad affidare la realizzazione di detti obiettivi alla sola iniziativa/proposta negoziale dei privati? C’è una negozialità necessaria? C’è un obbligo di accordo se si rispettano strategia e valsat? Ancora una volta: quale è lo spazio di questa negozialità?
Infine un tema importante, ma che mi limito solo ad accennare.
Dato il rilievo enorme (anche da un punto di vista pratico) dei cd. strumenti “paralleli” al Piano (Procedimento unico, Accordi di Programma, Autorizzazioni uniche) come si coordina e quale ruolo svolge la strategia con riferimento a questi strumenti??
Ci deve essere una verifica di coerenza anche in questo caso o, viceversa, la legittimazione, in questi casi, è in sé stessa (in ragione della rilevanza del progetto) e consegue alla mera approvazione del Piano-progetto?
La Critica (solo alcune idee).
La L.R. n. 24/2017 sconta un limite strutturale consistente nel non aver differenziato adeguatamente la disciplina del PUG a seconda delle dimensioni del Comune; sembra evidente infatti che il PUG – come nel complesso l’intera legge regionale – sia tagliato su misura per i Comuni di dimensioni medio-grandi, i quali sono gli unici in possesso o comunque in grado di acquisire le risorse umane e le competenze tecniche necessarie per gestire l’elaborazione del Piano oltre che di opporre la propria forza politico-amministrativa ed economica ai soggetti privati al fine di sottrarsi a fenomeni di cattura del regolatore.
Considerazioni del tutto analoghe si possono svolgere con riferimento all’ <Ufficio di Piano>, strumento davvero innovativo ed a cui la Legge assegna funzioni stabili, strutturali e durature.
Anche in questo caso, però, un Ufficio siffatto potrà essere efficacemente e correttamente essere costituito e funzionare solo in Enti di significative dimensioni, per ovvie ragioni che non merita evidenziare.
Altri due aspetti generali mi paiono importanti e sicuramente rilevanti, anche se in modo indiretto.
Mi riferisco all’ aumento della discrezionalità tecnica e alla fuga verso l’ alto della “decisione” (ovverosia il rilevante ruolo dei Comitati Urbanistici)
Sono due temi già da me trattati in precedenti interventi, ma che la prassi concreta e quotidiana sta indubbiamente confermando.
L’attenzione giustamente rivolta dal legislatore regionale ai temi della tutela dell’ecosistema e della sostenibilità ambientale e territoriale si è tradotta, in un notevole aumento dell’importanza delle valutazioni tecniche rese in sede di Strategia Regionale di Sviluppo Sostenibile, di Strategia per la qualità urbana ed ecologico-ambientale del PUG e, soprattutto alla VAS/Valsat dei singoli Piani e Accordi Operativi.
L’art. 44 della l.r. 24/2017 prevede infatti nel procedimento unico di approvazione del PUG e dei Piani Territoriali, la consultazione preliminare di ARPAE, da parte della Regione, Città Metropolitana e Province per la valutazione ambientale del PTR, PTM e dei PTAV e dei soggetti competenti in materia ambientale, nonché l’espressione del parere di sostenibilità ambientale e territoriale da parte del Comitato Urbanistico (CU) a norma degli artt. 19, c. 4, 46, c. 2 e c. 4, e 47 della L.R. n. 24/2017.
La maggior importanza assunta da parte delle valutazioni tecniche si traduce inevitabilmente in un aumento del peso degli organi c.d. tecnici e nel contestuale ridimensionamento di quello degli organi politici nel procedimento di approvazione del PUG (oltre che nell’espressione del parere di sostenibilità ambientale e territoriale da parte del CU competente).
Quest’effetto è ben rappresentato nell’art. 47 della l.r. 24/2017, relativo alla composizione dei Comitati Urbanistici. A fare parte di questo nuovo organo sono chiamati non solo i rappresentanti unici di enti territoriali come la Regione, la Città Metropolitana di Bologna, i soggetti d’area vasta, i Comuni o le Unioni di Comuni, ma anche i rappresentanti unici di enti dotati esclusivamente di discrezionalità tecnica quali l’ARPAE, l’AUSL, i vigili del fuoco, le Soprintendenze, le Autorità distrettuali di bacino, ecc.
La partecipazione di questi enti in aggiunta a quelli politici non è una novità di poco conto se si considera che il Comitato Urbanistico, nel rendere il parere vincolante di sostenibilità ambientale e territoriale, è in grado di condizionare l’approvazione e la conseguente entrata in vigore del Piano, producendo l’effetto di costringere il competente organo consiliare a recepire le modifiche richieste dal CU.
Tra gli enti citati l’ARPAE, in particolare, sembra assumere un ruolo centrale. Infatti essa partecipa alla consultazione preliminare non limitandosi a mettere gratuitamente a disposizione dell’amministrazione procedente i dati e le informazioni conoscitive di cui è in possesso, ma giungendo al punto di avanzare proposte in merito ai contenuti di piano illustrati e alla definizione della portata e del livello di dettaglio delle informazioni da includere nel documento di Valsat.
Inoltre, bisogna considerare che l’ARPAE può incidere anche nella fase finale del procedimento di approvazione dei Piani, dal momento che essa partecipa – sia pure con voto consultivo – ai lavori del Comitato Urbanistico competente, deputato ad esprimere un parere motivato sui Piani oggetto del procedimento d’approvazione avente natura vincolante (cfr. art. 6 della D.G.R. n. 954/2018).
Questo significa che ARPAE è in grado di poter verificare se ed in quale misura l’amministrazione procedente ha recepito gli apporti collaborativi e le proposte da essa formulate in sede di consultazione preliminare.
Diviene quindi fondamentale interrogarsi su quale sia il peso del voto consultivo che ARPAE può esprimere nell’ambito del CU.
L’impressione sorta in questi anni è che esso è destinato a condizionare fortemente le scelte che devono essere espresse dai membri dei Comitati Urbanistici (e cioè dai rappresentanti unici che devono esprimere l’intesa sul piano a norma degli artt. 47, c. 1, lett. d), 51, c. 4, 52, c. 4, della L.R. n. 24/2017): infatti gli aspetti sui quali il parere deve vertere non riguardano soltanto profili di discrezionalità amministrativa, ma richiedono altresì competenze, conoscenze e valutazioni di natura tecnico-scientifica che difficilmente sono possedute – quantomeno in misura analoga – dagli altri componenti del CUR, CUM, CUAV, con la conseguenza che le valutazione dell’ARPAE finiscono inevitabilmente per influenzare in maniera significativa le scelte dei membri dei CU.
Se tale osservazione è fondata, ciò pone un ulteriore problema e cioè quello della legittimazione di ARPAE allo svolgimento della funzione consultiva ad essa attribuita dalla L.R. n. 24/2017, dal momento che essa riveste un ruolo all’interno del Comitato Urbanistico di importanza tale da porsi potenzialmente in contrasto con l’esigenza di garantire che le scelte che costituiscono espressione di discrezionalità amministrativa siano assunte dagli (e prerogativa degli) enti che traggono la propria legittimazione direttamente dal corpo elettorale.
Ciò finisce per attribuire ad ARPAE un ruolo in così rilevante e potenzialmente suscettibile, per mezzo del voto consultivo, di condizionare fortemente gli aspetti di discrezionalità amministrativa del parere motivato che il CU deve rendere.
Non si può nascondere allora che tale scelta pone qualche dubbio circa il rispetto dell’art. 118 Cost., a norma del quale le funzioni amministrative che tipicamente richiedono valutazioni di carattere discrezionale, come quelle in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica, devono essere affidate agli enti territoriali in quanto deputati a rappresentare tutti gli interessi della collettività da essi amministrata.
Basandosi proprio su questo assunto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale di una legge regionale che aveva previsto il coinvolgimento di un’Agenzia (anch’essa un’ARPA), originariamente titolare soltanto di attività di natura tecnico-scientifica, anche in attività di “amministrazione attiva” [1].
Infatti esse, costituendo espressione di discrezionalità amministrativa in senso proprio, comportano una ponderazione degli interessi coinvolti e devono quindi essere riservate esclusivamente alla competenza degli enti facenti parte del circuito politico-rappresentativo, in quanto soltanto questi sono in grado di rappresentare tutti gli interessi riferibili al territorio.
L’assunzione di un ruolo così rilevante da parte di enti tecnici appare allora quantomeno da indagare e da valutare, al fine di verificare se non sia finito per attribuire a questi ultimi un ruolo di tale peso da poter condizionare le scelte discrezionali afferenti alle funzioni di amministrazione attiva proprie degli enti politico-territoriali.
Va inoltre evidenziato che – nonostante la nuova Legge regionale Emilia – Romagna n. 24/2017 affermi che il sistema della pianificazione è ora retto dal nuovo principio di “competenza” – una nuova (e celata) “gerarchia” rischia di (ri)emergere profondamente (e surrettiziamente) nella disciplina dell’ operato dei Comitati: nel Comitato Urbanistico Metropolitano (CUM) e nel Comitato Urbanistico di Area Vasta (CUAV).
La Regione (in un recente parere) afferma che si tratta di un Organo collegiale e che, nonostante la Legge regionale lo qualifichi come “parere”, la sua manifestazione di volontà avrebbe natura “provvedimentale”.
In sostanza come si afferma nel parere della Regione già citato: (il Comitato) “concorre in una posizione di pari-ordinazione a determinare il contenuto del piano in itinere”.
L’ affermazione, nella sua sinteticità, è estremamente chiara.
Il Comitato (in cui è bene ricordarlo, il Comune è in una posizione di “minoranza”, dato che è solo uno dei tre soggetti) concorre in una posizione di “pari-ordinazione” a determinare “il contenuto” (tutto il contenuto, e non solo gli aspetti di rilievo sovracomunale) del Piano in itinere.
Ciò significa che il potere di pianificazione – anche per aspetti esclusivamente di rilievo “comunale” – viene sottoposto al previo vaglio di un Organo collegiale, di cui il Comune costituisce uno solo (ed in posizione di minoranza) dei componenti.
Si tratta di comprendere se tale ricostruzione (dei poteri, delle funzioni e delle competenze) risulti legittima.
Il Giudice Amministrativo, in una importante sentenza (la sentenza n. 5711/2017) ha affermato chiaramente che: “non è consentito all’ente titolare del potere di approvazione del piano regolatore, al di fuori delle ipotesi connotate dalla prevalenza di tutela di interessi superiori, modificare in modo sostanziale i contenuti della disciplina urbanistica, frutto della scelta della comunità di riferimento e, per questo, espressione della riserva di attribuzione democratica assistita dal principio di sussidiarietà.” (…)
Ed ancora: “i limiti del potere regionale di approvazione risiedono nella evidenza per cui una scelta di pianificazione di segno diametralmente opposto a quella voluta dal Comune in sede di variazione dello strumento urbanistico generale non può che competere all’Ente locale, prevedendo la legge invece, in capo alla Regione, potestà più ridotte, mera espressione del potere regionale di partecipazione alla formazione dell’atto a complessità diseguale di pianificazione generale” (Consiglio di Stato, sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2563).
Pertanto, il Giudice amministrativo conclude affermando che: “
Sarebbe quindi illegittimo un atto amministrativo di matrice regionale che si sostituisse alle determinazioni comunali con riferimento a scelte discrezionali” (Cds., sez. IV, 5711/2017).
Si tratta, in realtà, di quello che rischia concretamente di verificarsi nell’ esperienza dell’ Emilia – Romagna, con il Comitato legittimato a co-decidere (e, per di più, trattandosi di un Organo collegiale, “a maggioranza”) quale debba essere il contenuto del Piano e non solo con riferimento alla tutela di aspetti di rilievo sovracomunale, ma anche con riferimento ad aspetti che – da sempre – sono risultati di esclusivo appannaggio dell’ Ente esponenziale della Comunità locale di riferimento, in quanto “espressione della riserva di attribuzione democratica assistita dal principio di sussidiarietà.”.
Qualche proposta operativa e finale.
Nel quadro che si è delineato, appare fondamentale – per evitare il rischio sopra evidenziato e cioè che la discrezionalità si traduca in arbitrio – declinare la strategia secondo un “modello di valutazione” che consenta di dare conto delle scelte concretamente effettuate, in un’ottica di “accountability”.
In questo senso sono di grande interesse i modelli che la dottrina (STANGHELLINI) sta implementando e che dovrebbero servire ad individuare, nel ventaglio di possibilità offerte dalla strategia, quelle trasformazioni che ne costituiscono coerente attuazione.
In genere questi modelli si basano su un duplice livello di valutazione: una prima valutazione circa la compatibilità della proposta progettuale che si basa, in genere, su di una disamina della proposta stessa con riferimento ad almeno tre aspetti e cioè l’ aspetto urbanistico-territoriale, quello ecologico- ambientale e, infine, quello socio-economico.
Se la proposta ottiene una valutazione che le consente di superare la “soglia minima” di questa prima griglia di valutazione, si passa allora alla valutazione della cd. “sostenibilità”, valutazione che è invece impostata nel riconoscere le “esternalità” o “penalità” della proposta stessa (la tipologia dell’ intervento magari legata alla destinazione d’uso, la dimensione, gli impatti sull’ ambiente, etc…), ma anche gli aspetti “premiali” o virtuosi che possono discendere anche dalla proposte di “compensazione” delle esternalità negative rilevate.
Questo modo di procedere appare sicuramente da perseguire per il giurista, dato che rende trasparente, imparziale e ricostruibile in modo oggettivo il processo decisionale, evitando l’ arbitrio, la parzialità e la disparità di trattamento.
La Legge però non lo prevede né lo prescrive, ma si confida che le Amministrazioni ne colgano l’ importanza ed il rilievo, soprattutto ora che sono chiamate ad operare senza avere più la fitta “rete” di contenimento e di supporto che veniva data dai precedenti Piani.
Federico Gualandi, Avvocato in Bologna e Docente a contratto di “Diritto amministrativo” presso l’ Università di Venezia.
*L’ intervento riprende la relazione svolta in occasione della Summer School dell’ INU Emilia – Romagna (novembre 2021)
[1] Corte Cost. n. 132/2017