Demanio, no all’uso privato

di 29 Maggio 2005 Incontri


Pubblichiamo questo articolo sulla complessa vicenda originata dall’inserimento nella l.finanziaria 448/2001 del’art.71 che prevedeva la cessione a privati di aree demaniali, specie di quelle appartenenti al demanio marittimo. L’art.71 è stato ora abrogato dal d.L. 28 12 2001n.452 conv. Nella L.16/2002 sulle accise – art.16 bis – Tuttavia, sembra esserci l’intenzione del governo di ripresentare la disciplina in altro provvedimento legislativo.
Si allega l’art.71 e la legge n. 177 del 1992 cui faceva riferimento l’emendamento.

Demanio, no all’uso privato


(Da Edilizia e Territorio n.7/2002)

Di beni demaniali intesi come beni pubblici su cui esercitano il proprio dominio stato regioni ed enti locali territoriali parla il codice civile (artt.822 e seg). Ne fanno parte il lido del mare, la spiaggia, le rade, i porti, (demanio marittimo), i fiumi, i torrenti, i laghi, ora tutte le acque (secondo la l.36/94) (demanio idrico). A questi vanno aggiunti le opere destinate alla difesa militare, le strade, le autostrade, gli aereoporti, gli acquedotti, gl’immobili d’interesse storico, artistico, archeologico, i cimiteri, i mercati comunali. Mentre per i primi si può parlare di demanio naturale necessario, gli altri appartengono al cosiddetto demanio accidentale (nel senso che può anche non esserci) artificiale (ovvero per opera dell’uomo). Il loro regime giuridico è l’inalienabilità, l’imprescrittibilità, i soggetti privati possono acquistare diritti parziari su di essi solo mediante concessioni temporanee. Basta questa elementare e sintetica elencazione per comprendere come la massima parte di questi beni abbiano come caratteristica essenziale la fruizione collettiva: per usare le parole di Massimo Severo Giannini i pubblici poteri ne sono proprietari non per godere del bene ma perché altri ne goda e ne fruisca: la collettività. Cosicché quando la legge prevede che per alcuni di questi – ad es. la spiaggia, le acque interne – ne possa essere concesso un uso esclusivo, il procedimento concessorio è spesso circondato da cautele circa l’utilizzazione produttiva, la sua conservazione, la sua riproducibilità, la temporaneità.

Recentemente, e sulla base di quelle posizioni che ritengono necessario che anche per il patrimonio pubblico vi sia un’effettiva valorizzazione (in termini cioè di risultato economico) senza che se ne pregiudichi, tuttavia, la funzione pubblica, la legislazione ha dapprima rivisto l’importo dei canoni demaniali per le derivazioni di acque pubbliche per usi industriali, irrigui, quelli per l’uso delle le spiaggie lacuali, per l’estrazione dei minerali (L.23 12 1992 n.398). Successivamente (DL 5 10 93 n.400 conv in L.4 12 1993 n.494) sono stati rivalutati i canoni relativi alle concessioni demaniali marittime e si è ampliato il ventaglio degli usi ammissibili estendendolo agli stabilimenti balneari, ai ristoranti, al noleggio delle imbarcazioni, alle strutture ricettive, sportive e ricreative, agli esercizi commerciali, a servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo. Nella stessa legge poi si rendeva finalmente operativa (a partire però dal 1996) la delega alle regioni della gestione del demanio marittimo prevista fin dal 1977 (D.leg.616) la cui operatività era stata sospesa permanendo un conflitto con le Capitanerie di porto, l’allora ministero della marina e quello della difesa. Oggi le regioni prevedono nelle loro leggi piani di utilizzazione del demanio marittimo, riscuotono i canoni, provvedono al rilascio e rinnovo delle concessioni in stretta collaborazione con i comuni. Ma non basta. Sempre nel 1993 (L.31 dicembre n.579) il legislatore prevede la possibilità che l’ex ministero delle finanze trasferisca agli enti locali territoriali che ne facciano richiesta, beni demaniali o patrimoniali indisponibili statali (altra categoria di beni pubblici come ad es. le foreste, le caserme), non più destinati alla funzione pubblica, finalizzandone la cessione alla realizzazione di opere per lo svolgimento di attività d’interesse pubblico. La cessione, a trattativa privata, è subordinata all’esistenza del progetto di massima dell’opera o dell’attività che l’ente cessionario ha intenzione di svolgere o di realizzare ed alla sua attuazione entro il decennio, pena l’automatica risoluzione del contratto in assenza degli adempimenti di cui sopra. Questi, una volta ceduti mantengono comunque intatto il loro originario regime giuridico di beni pubblici. Nella stessa legge s’individua direttamente il trasferimento di molti beni a comuni, province con l’indicazione della loro destinazione futura (ad es. Il parco dell’exidroscalo è ora del comune di Orbetello, molte ex-caserme dei comuni di Modena, Imperia, Novi Ligure per costituire sedi universitarie, di attività culturali, scuole etc.). Al quadro organizzativo e legislativo non può mancare però la previsione dell’istituzione dell’Agenzia del demanio dipendente funzionalmente dal Ministero dell’economia (art.65 del d.legl 30 luglio 1999 n.300) che tra i suoi compiti ha quello di razionalizzare e valorizzare l’impiego dei beni pubblici, stipulando anche convenzioni con regioni ed enti locali ed altri enti pubblici per la loro gestione.

Nel 1992 tuttavia questa linea di tendenza sembra incrinarsi. Con una leggina (5 febbraio n. 177) “norme riguardanti le aree demaniali nelle province di Belluno, Como, Bergamo, Rovigo, per il trasferimento al patrimonio disponibile e successiva cessione ai privati” si prevede che queste siano cedute a trattativa privata, dall’intendente di finanza, ai comuni per poi essere cedute ai privati possessori che ne facciano richiesta e che vi abbiamo realizzato con concessione o anche in assenza di titolo alcuno opere di urbanizzazione eseguite in epoca precedente al 31 12 1983 (termine per il beneficio della prima sanatoria). L’atto di compravendita tra comune e privato avviene di diritto se non segue entro sei mesi dalla determinazione del prezzo d’acquisto (art.4). L’acquisto delle aree ha valore di sanatoria agli effetti urbanistici e fa venir meno le pretese dello stato per canoni pregressi e comunque in genere per compensi derivanti a qualsiasi titolo dall’occupazione delle aree, compresi i procedimenti d’ingiunzione o di rilascio delle aree. Infine, con una norma palesemente incostituzionale per contrasto con l’art.42 3 co.Cost., l’art.7 prevede che “qualora eventi successivi alla vendita rendessero necessario per motivi di sicurezza idraulica, la riacquisizione allo stato dei terreni ceduti, l’esproprio avrà luogo senza corresponsione d’indennità”.

Nessuno si sarebbe accorto del contenuto di queste disposizioni se le in parlamento non le avessero richiamate (art.71 della legge finanziaria 2001 n. 448) estendendone gli effetti non destinate all’esercizio della funzione pubblica e sulle quali siano state eseguite opere di urbanizzazione e di costruzione in epoca anteriore al 31 dicembre 1990. La disposizione, non certamente frutto di un errore, perché la formulazione di una norma si avvale almeno di tre elementi – chi preme per richiederla, chi la redige, chi si assume come parlamentare la responsabilità di chiederne il voto del parlamento – contraddice la politica di valorizzazione economica del patrimonio pubblico prima richiamata poiché questa cede il passo alla sua semplice ed indiscriminata alienazione. L’estensione e a tutto il territorio nazionale amplifica, non solo il carattere derogatorio della norma, ma anche quello liquidatorio del patrimonio pubblico. La cessione ai comuni comporta che poi i beni, entrati nel loro patrimonio disponibile, siano obbligatoriamente (vedi l’art.4 prima richiamato della l.177) ceduti sulla base della richiesta dei privati possessori. Amplia i termini a quelli previsti nel secondo condono edilizio, ma contemporaneamente sana automaticamente le opere (comprendendo anche le opere di costruzione) senza il pagamento di oblazioni su aree che la legge 47/1985 esclude dalla sanabilità sia ordinaria sia speciale (art.14 e art.33). Scavalca completamente le regioni specie per ciò che riguarda la gestione del demanio marittimo, i cui canoni costituiscono da qualche anno entrate regionali, aprendo un dialogo diretto con i comuni, riducendo a questione di mera integrazione della finanza locale la privatizzazione di beni destinati alla fruizione dell’intera collettività nazionale. Quello del demanio marittimo è stato percepito come l’oggetto prioritario della disciplina, ma questo può essere esteso alle aree del demanio idrico (lungo i fiumi, i laghi) o a tutti quegli immobili che sono in possesso precario da parte di privati o di enti in isole, parchi, aree protette e soprattutto in zone urbane ove – sia le aree che gli edifici esistenti – possono assumere alto valore economico e commerciale una volta ristrutturati. A che serve l’Agenzia del demanio (e il suo ottimo direttore generale) se la politica di valorizzazione si dovesse trasformare in un’azione generalizzata di dismissione di spiagge, edifici storici, aree lungo fiumi e laghi, ex forti militari, ex carceri ed altro, solo perché il possesso da parte di soggetti privati ne legittima la richiesta di cessione? Dell’art.71 è stata proposta l’abrogazione in un provvedimento collegato in fase di conversione (per ora è vigente), ma sono circolati anche numerosi e pasticciati emendamenti, che fanno ritenere che la maggioranza di governo ripresenti una nuova disciplina più organica sul tema. D’altronde il pdl del governo regionale siciliano sulla sanatoria delle opere abusive lungo le coste sembra una conferma di questo orientamento di fondo.

Paolo Urbani 

 

 

 

 

Art. 71. L.448/2001 (ora abrogato)

(Disposizioni in materia di trasferimento di beni demaniali)

    1. Le disposizioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 177, concernente il trasferimento di beni demaniali al patrimonio disponibile dei comuni e la successiva cessione ai privati, si applicano anche alle aree demaniali ricadenti nel territorio nazionale non destinate all’esercizio della funzione pubblica e su cui siano state eseguite opere di urbanizzazione e di costruzione in epoca anteriore al 31 dicembre 1990.

  

 

Legge 05-02-1992, n. 177

Norme riguardanti aree demaniali nelle province di Belluno, Como, Bergamo e Rovigo, per il trasferimento al patrimonio disponibile e successiva cessione a privati

(G.U. 29-02-1992, n. 50, Serie Generale)

 

Preambolo

 

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga la seguente legge:

 

Art. 1


1. Le aree demaniali ricadenti nel territorio della provincia di Belluno, nonché dei comuni di Sorico in provincia di Como, di Seriate in provincia di Bergamo e di Guarda Veneta, Polesella e Papozze in provincia di Rovigo, su cui siano state eseguite in epoca anteriore al 31 dicembre 1983 opere di urbanizzazione da parte di enti o privati cittadini, a seguito di regolare concessione o anche in assenza di titolo alcuno, e quelle ancorché non edificate, ma comunque in possesso pacifico di privati, sono trasferite al patrimonio disponibile di ciascun comune. L’intendente di finanza, territorialmente competente, è autorizzato ad eseguire la cessione a trattativa privata di tali beni, in deroga ad ogni normativa vigente.

Art. 2


1. I comuni di cui all’articolo 1 sono autorizzati ad alienare, a domanda, ai privati possessori delle aree di cui al medesimo articolo 1, i terreni ottenuti in uso od in godimento, una volta eseguite le opere di urbanizzazione. Il relativo prezzo di cessione dovrà comprendere la spesa di acquisto e quella di urbanizzazione.

Art. 3


1. Il prezzo di cui all’articolo 2 è determinato dall’ufficio tecnico erariale di ciascuna provincia con riguardo alla valutazione del solo terreno con riferimento alle caratteristiche originarie [1].

2. Contro la determinazione dell’ufficio tecnico erariale, anche in ordine all’identificazione dell’area, è ammesso ricorso nel termine di trenta giorni al pretore del luogo ove è sita l’area, il quale provvederà all’accertamento mediante consulenza tecnica.

3. L’imposta di registro è stabilita nella misura fissa di L. 150.000 [2].

 

Art. 4


1. Gli acquisti delle aree devono essere effettuati entro sei mesi dalla determinazione del prezzo dell’ufficio tecnico erariale.

2. Ove l’atto di compravendita non segua entro sei mesi dalla determinazione del prezzo da parte dell’ufficio tecnico erariale o della sentenza del pretore, il trasferimento ha luogo di diritto. Il prezzo dovrà essere versato entro l’anno ovvero, a scelta dell’acquirente, in cinque rate annuali eguali scadenti il 31 dicembre di ciascun anno.

3. Il mancato pagamento del prezzo non dà diritto all’amministrazione di chiedere la risoluzione del contratto, né produce la caducazione dell’effetto di cui al comma 2, se non decorsi tre mesi dalla diffida ad adempiere, notificata dall’amministrazione.

4. L’accertamento dell’effetto traslativo, nel caso previsto dal comma 3, sarà fatto sopra ricorso al pretore del luogo ove è sita l’area acquisita.


Art. 5

1. È fatto divieto ai privati acquirenti dal comune di alienare a qualsiasi titolo il terreno acquistato ed il relativo diritto di superficie per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data di stipulazione del contratto.

Art. 6

1. L’acquisto delle aree ha valore di sanatoria agli effetti urbanistici e fa venire meno le pretese dello Stato per canoni pregressi ed in genere per compensi richiesti a qualsiasi titolo in dipendenza dell’occupazione delle aree. Dalla data di presentazione della domanda di cui all’articolo 2 sono sospesi i procedimenti di ingiunzione o di rilascio delle aree, comunque motivati.


Art. 7

1. Qualora eventi successivi alla vendita rendessero necessaria, per motivi di sicurezza idraulica, la riacquisizione allo Stato dei terreni ceduti in base alla presente legge, l’esproprio avrà luogo senza corresponsione di indennità.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.


Note:

[1] Comma modificato dall’art. 31, comma 44, L. 23 dicembre 1998, n. 448, a decorrere dal 1° gennaio 1999.

[2] Importo elevato dall’art. 17, comma 1, D.L. 22 maggio 1993, n. 155.