ALLA RICERCA DELLA CITTA’ PUBBLICA Scritti in onore di Filippo Salvia Paolo Urbani

di 14 Dicembre 2022 Senza categoria

ALLA RICERCA DELLA CITTA’ PUBBLICA

Scritti in onore di Filippo Salvia

Paolo Urbani

  1. Quando proposi a Stefano Civitarese, a Pescara ove insegnavo il diritto urbanistico appena divenuto ordinario di diritto amministrativo, di scrivere un nuovo manuale della materia, se non ricordo male il panorama dei manuali di diritto era quello di Virgilio Testa, (1956, 1974) di Leopoldo Mazzarolli, (1966) di Federico Spantigati,(1971) di Giuseppe Morbidelli (1974) di Paolo Stella Richter, che però aveva scritto uno splendido libretto sui profili funzionali dell’urbanistica (1974), di Giovanni Torregrossa, (1987) di Valeria Mazzarelli (1996) e certamente quello di Salvia e Teresi (1986).

Erano da poco passati gli anni ’90, e la passione per la materia portò a scrivere nel 1994 il Diritto urbanistico organizzazione e rapporti, titolo che mi suggerì Massimo Severo Giannini che, già prima nel 1990, mi propose di scrive la voce Urbanistica per L’enciclopedia del diritto, oggi riscritta da Antonio Bartolini. (2022).

Ma certamente la passione per la materia mi nacque per colpa (o per merito) di un seminario diretto da Spantigati – mentre ero ancora uno studente del quarto anno in preparazione dell’esame del Diritto Amministrativo  che durò per un paio di mesi – ove scoprii un mondo sommerso perché il Diritto urbanistico alla Sapienza nessuno lo insegnava, e nemmeno ora a distanza di più di 40 anni,  così come in molte facoltà di giurisprudenza viene ignorato, e solo in qualche facoltà di architettura, alcuni giuristi si peritano di educare il giovani architetti al governo del territorio!

Filippo Salvia, anche dopo la perdita di Teresi, ha continuato ad aggiornare il manuale fino ad oggi assieme ai suoi allievi. Nell’edizione del 2008, scritto di suo pugno, dedicava il manuale a Federico Spantigati, nell’ edizione del 2017 scritta con C.Bevilacqua dedica il libro al compianto Franco Teresi.

 Nella prefazione del 2008 esordiva dicendo che “avventurarsi oggi nel diritto urbanistico è come entrare nello studio di un artista e curiosare nella miriade di disegni, di bozzetti, di studi sparsi nei diversi tavoli.”

Nell’edizione del 2017 esordiva dicendo che “dopo l’avvento del regionalismo non esiste più nel nostro paese un’unica disciplina valida per l’intero territorio nazionale ma tanti diritti quante sono le regioni”.

  1. Se queste sono le premesse, le mie riflessioni in onore del grande Filippo Salvia, parafrasando il primo paragrafo del capitolo I del manuale del 2017 “L’urbanistica come proiezione stratificata dell’assetto socioeconomico e degli ideali sociali del tempo” Partire dalla struttura (dai problemi reali), provano a partire proprio dai fatti della società odierna e non dalle regole del diritto urbanistico, poiché altrimenti non coglieremmo in alcun modo i profondi mutamenti dell’assetto della disciplina dei suoli che, lentamente, sta tracimando verso un liberalismo sfrenato.

Le riflessioni che vorrei esporre non riguardano però la crisi del piano, il suo contenuto conformativo, la fine della “profezia credibile”, il lento prevalere del software (l’edilizia) sull’hardware (il piano) ma piuttosto allargare lo sguardo alla cosiddetta “rigenerazione urbana” che – senza che se sia data un definizione giuridica – irrompe da tempo nella pianificazione come un “proiettile”[1] spostando l’attenzione dal piano al progetto urbano, da questo all’accordo urbanistico sempre più in deroga al piano.

Il recupero delle aree dismesse, la possibilità della modificazione della destinazione d’uso di quelle volumetrie preesistenti, il “premio di volumetria” ormai entrato nella prassi come regola[2], il tutto a scapito della città pubblica, frutto di accordi di cui all’art.11 della l.241 del 1990 a lungo osteggiati come un ossimoro – l’urbanistica non si contratta – in variazione del piano vigente, pone al centro dell’attenzione, in molte grandi città, ma anche nelle medie aree urbane, il problema sollevato acutamente dai politologi e poi dagli urbanisti dello scambio sleale, o dello scambio ineguale[3] nel ridisegnare parti della città consolidata, che appaiono a conti fatti, corpi estranei rispetto al tessuto urbano preesistente nel quale irrompono.

Per comprendere tali processi, prima di valutarne gli esiti, non si può prescindere dagli attori che sono scesi in campo sul territorio che non è più l’imprenditoria del mattone ma l’immobiliarista finanziere[4] i cui capitali sono il frutto dello spostamento del capitale industriale verso il capitalismo immobiliare, ove i primi hanno scoperto da tempo che i vantaggi immeritati delle plusvalenze immobiliari, costituiscono un modo più semplice di arricchirsi, senza dover fare i conti con l’organizzazione del ciclo produttivo.[5] Vicende che affondano le loro radici fin dal 1992, Torino e quando s’introdusse nella legislazione urbanistica il programma integrato d’intervento d’iniziativa dei privati anche in evidente contrasto con il piano, con contenuti a trecento sessanta gradi, frutto della convenienza del mercato e non della cittadinanza.

Irrompe quindi sul territorio urbano il rìël istèit[6],  con cui si indica l’insieme degli operatori, dei prodotti e dei servizi riferiti al mercato immobiliare.

Basti pensare ai primi esperimenti di riconversione e di riuso come quelli del Lingotto a Torino e della Bicocca a Milano.

Ma la vicenda dei beni privati, da riconvertire, coinvolge anche i beni pubblici la cui lenta dismissione, favorita dalla legislazione vigente e diretta a mettere sul mercato beni non più funzionali alla cura dell’interesse pubblico di quegli enti, ripropone situazioni analoghe a quelle prima richiamate.

Si tratta dei beni ferroviari,[7] delle aree e delle caserme militari, degli edifici e delle aree pubbliche di enti statali, questi ultimi oggi nella disponibilità della Cassa depositi e prestiti la cui nuova regolamentazione mira alla loro valorizzazione immobiliare[8].

In tutti questi casi, assistiamo in molte città, alla messa sul mercato di questi beni, riconoscendone una edificabilità che ne permette, quindi, una valorizzazione finanziaria, tutta a beneficio dei fondi d’investimento creati ad hoc. Il riconoscimento dell’edificabilità comporta l’elaborazione di progetti urbani, il cui fine è quello del massimo ritorno economico a favore dei promotori, con conseguente variazione dello strumento urbanistico di quei comuni ove sono localizzate le ex aree “pubbliche”. Si tratta in molti casi – come per le aree ferroviarie o quelle del demanio militare[9] – di centinaia di ettari la cui trasformazione spesso non ha nulla a che fare – come per i beni immobiliari privati prima richiamati – con il contesto urbano di riferimento.

Lo strumento amministrativo è certamente l’accordo, vuoi quello sostitutivo di provvedimento dell’art.11 della l.241/90, voi quello dell’accordo di programma dell’art. 34 del d.lgsl 267/2000 per “cristallizzare” la variazione del piano urbanistico.

Ma se il ricorso all’accordo “urbanistico” avallato solo nel 2010 dal Consiglio di Stato[10] a partire dalle numerose sentenze sul PRG di Roma, entra a pieno titolo come strumento di composizione degli interessi urbanistici, non di meno si pone  il problema di entrare nel merito dell’accordo, poiché con esso si fissa il contenuto delle prescrizioni che, di norma, non incontrano limiti di contenuto poiché queste comportano la variazione dello strumento urbanistico. In altre parole, l’oggetto del contratto è il riconoscimento di una edificabilità del bene immobiliare a tutto vantaggio del proponente privato o pubblico che sia.

La mancanza di “invarianti “che costituiscano la cornice di riferimento dello “scambio edificatorio” ha posto da tempo all’attenzione, non tanto dei giuristi, ma degli urbanisti coinvolti in primis nel ridisegno di quelle realtà urbane, ma anche dei politologi, un problema centrale: quello cioè che  non si tratti  appunto di scambio leale ma di scambio ineguale.

Ovverosia, che nel processo di riconversione o di riqualificazione o di rigenerazione non sia garantito l’interesse pubblico, cui deve necessariamente conformarsi l’azione pubblica. Ma come garantire che l’interesse pubblico sia veramente soddisfatto? Ovvero che quell’atto di ripianificazione tenga conto degli interessi pubblici che devono essere garantiti alla collettività rappresentata?

Ma come si misura l’interesse pubblico? Ovvero come misurare l’interesse pubblico in rapporto al vantaggio privato?

In questo caso, proprio a proposito della rigenerazione dei luoghi costruiti non più consoni all’esigenza del mercato, stiamo lentamente passando dall’amministrazione rappresentativa dell’interessi della collettività all’impresa interprete del mercato.

A ciò deve aggiungersi che l’attore proponente è spesso un fondo d’investimento o una banca d’affari a fronte dei quali l’amministrazione locale appare come un contraente debole incapace di perseguire adeguatamente l’interesse della città pubblica di fronte al prevalere degl’interessi del mercato.

Oggi i grandi corpi separati – Cassa Depositi e Prestiti, Agenzia delle entrate per i beni militari, Ferrovie dello Stato – impongono volumetrie, mutamenti di destinazione d’uso, premialità che non hanno nulla a che fare con lo sviluppo economico di quei territori. Spesso, anzi, sono attori estranei a quel territorio, investitori che usano il suolo come moneta finanziaria.

E se certamente è da condividere l’affermazione del compianto Francesco Pugliese che affermava che il consenso del privato è legittimazione del potere parafrasando l’autoritarietà del potere pubblico, negli accordi urbanistici assistiamo al contrario alla “degradazione” dell’interesse pubblico a favore dell’interesse privato.

E per chi fin dal 2000 sostenne la legittimazione dell’urbanistica consensuale[11] è una magra soddisfazione, visto il dilagare di un’amministrazione per accordi tutta protesa a favorire il solo interesse privato.

La percezione di un’amministrazione locale incapace di svolgere un’adeguata azione di ponderazione degl’interessi pubblici e privati ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico, viene per la verità avvertita dal legislatore statale che nel 2014 introduce[12] ex legge il principio della cattura di valoredegli interventi in variante o in deroga allo strumento urbanistico prevedendo quindi – al di fuori della contrattazione – extraoneri a carico dell’operatore privato a favore della collettività locale. Tuttavia, la norma prevede che sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali.[13] In altre parole, l’applicazione del contributo straordinario è rimessa sia alla discrezionalità del comune, nel recepirla nella disciplina della regolamentazione degli oneri di urbanizzazione, sia alla legge regionale. Di fatto, la norma risulta sostanzialmente inattuata.

  1. Le questioni ora descritte ripropongono il tema della partecipazione degli “interessi diffusi”[14] alle scelte di pianificazione non regolata dalla legislazione vigente,[15] cosicchè il conflitto si sposta davanti al giudice amministrativo. Se guardiamo, infatti, agli interventi in materia di rigenerazione urbana che sempre più sono oggetto di giudizi amministrativi, vediamo che gli attori sono diventati tre: i privati, il comune, gli interessi diffusi.

Entra in gioco il principio di proporzionalità indotto dalla Corte Cost. e dalla Corte di giustizia europea che non può più concentrarsi solo sull’idoneità della misura, sull’inesistenza delle misure alternative, sulla tollerabilità della scelta da parte del destinatario, ma sposta l’attenzione sul perseguimento effettivo dell’interesse pubblico.

È noto che il giudice amministrativo giudica della legittimità dell’azione amministrativa (del provvedimento) valutando se il perseguimento dell’interesse pubblico è proporzionato rispetto alla disciplina degli interessi privati, di talchè annulla il provvedimento se c’è sproporzione.

Ma negli accordi urbanistici siamo in una situazione diversa, ovvero quella per la quale il giudice dovrebbe giudicare della proporzionalità del vantaggio privato rispetto al perseguimento dell’interesse pubblico.

Questo implica che il giudice non può limitarsi a verificare nel merito se l’azione amministrativa sia proporzionata rispetto agli interessi privati tutelati ma deve valutare un tertium datur ovvero se le scelte amministrative perseguono l’interesse pubblico o siamo di fronte ad uno scambio sleale.

Dai casi giurisprudenziali di questi ultimi anni emerge infatti sempre più che le operazioni di riconversione urbana sia a Roma (caso della stazione Tiburtina) che a Milano (gli interventi di Porta Garibaldi etc.) tutti legati all’edificabilità delle aree ferroviarie non più necessarie all’esercizio della viabilità ferroviaria, poste nel pieno centro di quelle aree urbane, ma anche casi d’interventi di trasformazione in deroga ai vincoli ambientali e paesaggistici[16], che siamo di fronte ad una crisi della democrazia rappresentativa poiché i potere pubblici locale e regionali sono incapaci di perseguire adeguatamente l’interesse della città pubblica a fronte del prevalere degl’interessi d’impresa.

La disciplina – oggi inesistente – della partecipazione degli interessi collettivi, a monte delle scelte urbanistiche di rigenerazione – una sorta di applicazione del debat publique nelle aree urbane – ridurrebbe i conflitti, riportandoli nel procedimento, individuerebbe preliminarmente l’interesse pubblico in concreto, ridarebbe un volto condiviso alla città tra interessi privati e interessi delle collettività rappresentata.

Ce ne è abbastanza perché Filippo Salvia aggiorni il suo splendido manuale!

[1] Da cui il termine “progetto” che indica sempre qualcosa di nuovo rispetto all’esistente.

[2] Inventato dal “piano casa” del 2009 dal governo Berlusconi, che ha contagiato la legislazione regionale e che da provvedimento di durata temporanea è diventato permanente.

[3] Fausto Curti (a cura di) Lo scambio leale, Officina ed. 2006.

[4] Paola Bonora, La città tradita, il Mulino 2016.

[5] Ancora Bonora, ma anche W.Tocci L’insostenibile ascesa della rendita urbana, in Democrazia e Diritto 2009.

 

 

[6] Espressione inglese composta dall’aggettivo real(‘immobiliare’) e dal sostantivo estate (‘proprietà, patrimonio’).

 

[7] Rinvio a P.Urbani Ripensare la città contemporanea in Riv. Diritto e processo amministrativo 4/2021.

[8] Vedi il bel volume di V.Manzetti Cassa depositi e prestiti Paradigma italiano delle banche italiane di promozione Editoriale scientifica 2021.

[9] Basta citare il caso di Piacenza su cui vedi L.Gaeta l’urbanistica contrattuale esperienze e rimedi2021 Politecnico Milano.

[10] Tra le altre CDS 4545/2010. In generale, la Sezione quarta reputa che la “copertura” normativa alla previsione dei più volte richiamati strumenti consensuali per il perseguimento di finalità̀ perequative (e ciò vale sia per la cessione di aree che per il contributo straordinario) vada individuata, come correttamente evidenziato dall’Amministrazione regionale nel proprio appello, nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 della già citata legge nr. 241 del 1990. Ed invero, ad avviso della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, con la “novella” del 2005 il legislatore ha optato per una piena e assoluta fungibilità̀ dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità̀ del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.

 

[11] P.Urbani Urbanistica consensuale Bollati Boringhieri 2000

[12]Art.16 co.4 Tu edilizia: L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:

alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga. Tale maggior valore, calcolato dall’amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest’ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l’interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l’intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.
(lettera aggiunta dall’
art. 17, comma 1, lettera g), legge n. 164 del 2014, poi così modificata dall’art. 10, comma 1, lettera g), della legge n. 120 del 2020)

 

[13] art 16 TU edilizia: 4-bis. Con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter) del comma 4, sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali.

 

[14] Vedi da ultimo CdS Adunanza Plenaria 6/2020 in materia di legittimazione degli interessi diffusi.

[15] Peraltro in alcuni casi la legislazione regionale ne prevede la disciplina come ad esempio la lr Emilia Romagna n.24 del 2017.

[16] Vedi la sentenza VI sezione del Consiglio di Stato n.8641/20121 che ha rigettato il ricorso diMcDonald’s sull’apertura di un McDrive alle Terme di Caracalla, a seguito dell’impugnazione da parte della Codacons, dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata, in www.pausainia.it. Diversamente il Consiglio di Stato con sent. 8821/2022 ha rigettato il ricorso di alcune associazioni civiche sulla ristrutturazione di alcuni scali ferroviari nel comune di Milano, per la mancata garanzia degli standard urbanistici.