Il Cons. Stato, sez. III, 7 maggio 2024, n. 4085 ha ribadito che le scelte fatte dall’Amministrazione in sede di formazione e approvazione dello strumento urbanistico sono caratterizzata da ampia discrezionalità, che non è sindacabile dal giudice salvo che siano fondate su errori di fatto oppure risultino abnormi o irrazionali. La destinazione agricola di un’area può giustificarsi anche per l’esigenza di assicurare un ordinato governo del territorio, impedendo un’ulteriore edificazione o un congestionamento della zona e mantenendo un rapporto equilibrato tra parti libere e parti edificate o industriali dello spazio urbano. Inoltre, la nozione di “fondo intercluso” è stata elaborata dalla giurisprudenza per consentire in casi particolari l’intervento costruttivo diretto, in deroga al principio in forza del quale, quando il PRG contempla una pianificazione di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che il piano attuativo sia divenuto perfetto ed efficace. Pertanto, non costituisce un vincolo ai fini dell’approvazione dello strumento urbanistico generale, rispetto alla quale si riconosce al Comune un’ampia discrezionalità, nei limiti della ragionevolezza. Inoltre, tale fattispecie ricorre solo quando l’area edificabile si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni e sia l’unica a non essere stata ancora edificata.
L’appellante impugna la sentenza che ha respinto il ricorso proposto per l’impugnazione degli atti con cui è stato adottato e approvato il Piano di Governo del Territorio-PGT del Comune, con riferimento alla classificazione del compendio di sua proprietà.
In particolare, si critica la sentenza nella parte in cui ha ritenuto «affatto illogica e per nulla contraddittoria la determinazione comunale definitiva di classificare come zona agricola il comparto in cui sono situate le aree di proprietà della ricorrente», anche alla luce del parere della Provincia.
Il motivo è infondato.
In linea generale, occorre ricordare che le scelte fatte dall’Amministrazione in sede di formazione e approvazione dello strumento urbanistico sono caratterizzata da ampia discrezionalità, che non è sindacabile dal giudice salvo che siano fondate su errori di fatto oppure risultino abnormi o irrazionali (tra le tante, si v. Cons. St., sez. V, sent. n. 1422 del 2021) e che la destinazione agricola di un’area può giustificarsi anche per l’esigenza di assicurare un ordinato governo del territorio, impedendo un’ulteriore edificazione o un congestionamento della zona e mantenendo un rapporto equilibrato tra parti libere e parti edificate o industriali dello spazio urbano (tra le tante, si v. Cons. St., sez. IV, sent. n. 407 del 2018).
Dalla foto aerea emerge come i terreni della appellante si trovano tra una zona urbanizzata a nord e la via a sud, oltre la quale vi è un’ampia area verde.
Questo conduce innanzitutto a escludere che il fondo possa considerarsi “intercluso”, tanto dal punto di vista civilistico – poiché la definizione dettata dall’art. 1051 cod. civ. richiede che il terreno non abbia uscita sulla via pubblica, mentre in questo caso confina con la via – quanto da quello urbanistico: sotto quest’ultimo profilo, occorre considerare, in primo luogo, che la giurisprudenza (si v. in particolare Cons. St., sez. IV, sent. n. 3699 del 2010) ha elaborato la nozione di “fondo intercluso” per consentire in casi particolari l’intervento costruttivo diretto – in deroga al principio in forza del quale, quando il PRG contempla una pianificazione di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che il piano attuativo sia divenuto perfetto ed efficace – dunque non quale vincolo ai fini dell’approvazione dello strumento urbanistico generale, rispetto alla quale, come già esposto, si riconosce al Comune un’ampia discrezionalità, nei limiti della ragionevolezza; in secondo luogo, che tale fattispecie ricorre solo quando l’area edificabile si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni e sia l’unica a non essere stata ancora edificata, dunque non è ravvisabile nel caso di specie, nel quale a sud dei terreni della appellante vi è già un’area verde.
Con altro motivo di appello, si sostiene che, a differenza di quanto ritenuto dal TAR, il Comune avrebbe dovuto ripubblicare il Piano a seguito dell’accoglimento delle osservazioni che avevano portato allo stralcio dell’ambito di trasformazione, consentendo così il contraddittorio con la proprietà.
Il motivo è infondato.
In primo luogo, l’approvazione degli strumenti urbanistici non è soggetta al rispetto del contraddittorio procedimentale come disciplinato dal capo III della legge n. 241 del 1990, sia per l’esclusione disposta dall’art. 13 della medesima legge, sia perché «l’esigenza di acquisizione di tutti gli interessi coinvolti, di contraddittorio e di confronto tra le varie parti pubbliche e private interessate è adeguatamente salvaguardata attraverso gli specifici istituti che caratterizzano e scandiscono le diverse fasi dell’iter di pianificazione» (così, tra le più recenti, Cons. St., sez. IV, sent. n. 9758 del 2023).
Inoltre, l’obbligo di ripubblicazione del piano urbanistico sorge solo a fronte di modifiche che comportino «una sua rielaborazione complessiva, cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione presiedono», mentre tale adempimento non è necessario «quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singola aree o singoli gruppi di aree» (in questo senso si v., tra le tante, Cons. St., sez. IV, sent. n. 7027 del 2020).
Nel caso di specie, dunque, venendo in rilievo una singola area o gruppo di aree, la modifica del relativo regime è stata legittimamente disposta direttamente in sede di approvazione.
L’appello è quindi meritevole di rigetto nel suo complesso.