Il TAR Lombardia, Milano, sez. II, 7 agosto 2024, n. 2353 ha affermato che si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente.
I ricorrenti sono l’Amministratore di un super condominio nonché alcuni proprietari di appartamenti facenti parte dello stesso condominio.
Tali soggetti hanno chiesto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sulle loro istanze aventi ad oggetto la richiesta di intervento per inibire i lavori di cui alla SCIA presentata da una Società. Questa SCIA è stata presentata per la formazione di quattro nuove unità immobiliari in sostituzione di un fabbricato ad uso artigianale-deposito situato all’interno del cortile del super condominio. Oltre a proporre domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio, i ricorrenti hanno chiesto che venisse accertata la fondatezza della loro pretesa.
Successivamente alla proposizione del ricorso sul silenzio, il Comune di Milano ha emesso il provvedimento con il quale sono state respinte le richieste dei ricorrenti formulate con le suddette istanze. Questo provvedimento è stato impugnato mediante la proposizione di motivi aggiunti.
La Sezione, con sentenza n. 2708 del 20 novembre 2023, ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione sul silenzio. Per la trattazione delle restanti domande il processo è proseguito con il rito ordinario. Rimangono da esaminare le domande proposte con i motivi aggiunti rivolti contro il provvedimento con il quale sono state respinte le istanze di inibitoria della SCIA.
Con il primo motivo dei motivi aggiunti, viene dedotta la violazione dell’art 21 delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano in quanto l’edificio che la controinteressata intende realizzare avrebbe altezza superiore rispetto a quella dell’edificio che si intende sostituire.
Questa censura deve essere esaminata congiuntamente con quella contenuta nel quinto motivo dei motivi aggiunti, con la quale i ricorrenti sostengono che la superficie legittima dell’immobile preesistente ammonterebbe complessivamente a mq 349,14, e che l’immobile che la controinteressata intende realizzare (sfruttando appunto la volumetria preesistente) avrebbe superficie residenziale a questa superiore, pari a mq 592. Ritengono pertanto gli stessi ricorrenti che tale intervento non potrebbe essere assentito, e ciò anche considerando che parte della superficie legittima dell’edificio da sostituire neppure sarebbe stata adibita a permanenza di persone.
Ritiene il Collegio che queste censure siano fondate per le ragioni di seguito esposte.
Come parzialmente anticipato, con la SCIA, la controinteressata ha dichiarato di voler realizzare un intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione di un fabbricato destinato a laboratorio e ricostruzione, con la stessa superficie lorda di pavimento, di un edificio residenziale. Dalla documentazione tecnica depositata in giudizio si evince che, secondo la controinteressata, la superficie lorda di pavimento legittima dello stato fatto ammonta a mq. 593,33, mentre quella dell’immobile che si intende realizzare sarà pari a mq 592.
Questo Giudice deve innanzitutto osservare che, come correttamente evidenzia parte ricorrente, parte della superficie dello stato di fatto non risulta giustificata da alcun titolo edilizio.
Le parti resistenti non hanno dimostrato lo stato legittimo del locale destinato a mensa; pertanto, si deve escludere che la sua superficie possa essere considerata quale superficie lorda di pavimento sfruttabile ai fini della realizzazione dell’intervento di cui si discute.
Per tutte queste ragioni, si deve condividere l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui l’edificio che la controinteressata intende costruire esprime una superficie lorda di pavimento superiore a quella della superficie legittima dell’edificio che si intende sostituire.
Si deve pertanto ribadire la fondatezza del quinto motivo dei motivi aggiunti.
Per quanto concerne la problematica riguardante le altezze, va rilevato che, come correttamente sostengono i ricorrenti, la controinteressata non ha affatto dimostrato il rispetto della norma contenuta nell’art. 21.2 lett. b) delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano la quale stabilisce che, ove l’edificazione avvenga – come nel caso di specie – in tutto o in parte all’interno di cortili, la stessa debba essere realizzata con altezza inferiore o pari a quella dell’edificio preesistente.
A questo proposito va innanzitutto osservato che – poiché, per le ragioni anzidette, il locale mensa deve ritenersi abusivo – questo locale non può essere considerato rilevante ai fini della determinazione dell’altezza dell’edificio che la controinteressata intende sostituire. Inoltre, né il Comune né la controinteressata hanno dimostrato che, a prescindere dal locale mensa, l’altezza del predetto immobile sia perlomeno pari a quella dell’immobile da realizzare.
Per queste ragioni va ribadita anche la fondatezza del primo motivo dei motivi aggiunti.
Ritiene il Collegio che sia a questo punto opportuno passare all’esame del quarto motivo dei motivi aggiunti con il quale i ricorrenti sostengono che l’intervento di cui si discute non potrebbe essere considerato alla stregua di intervento di ristrutturazione, ma dovrebbe essere ascritto alla categoria della nuova costruzione. Da questa premessa gli interessati fanno derivare due decisive conseguenze ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento impugnato: l’impossibilità di sfruttare la volumetria dell’edificio preesistente al fine di realizzare il nuovo edificio e la necessità di munirsi di permesso di costruire in luogo della SCIA.
Ritiene il Collegio che anche queste censure siano fondate per le ragioni di seguito esposte.
L’art. 10 del decreto legge n. 76 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 del 2020 ha modificato il terzo e il quarto periodo dell’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilendo che “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche […]. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Come si vede queste norme hanno specificato che rientrano nell’ambito concettuale della ristrutturazione edilizia anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edificio diverso, rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Va peraltro osservato che anche la legislazione previgente dava della ristrutturazione una definizione molto ampia posto che l’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione antecedente alla novella del 2020, poneva quale unico limite, per poter considerare un intervento di demolizione e ricostruzione alla stregua di un intervento di ristrutturazione edilizia, quello del rispetto della precedente volumetria (in tal senso disponeva il terzo periodo della citata lett. d, derogato, per gli interventi su immobili soggetti a vincoli paesaggistici, dall’ultimo periodo che, per questo specifico caso, imponeva anche il rispetto della sagoma).
Ciò precisato va ora osservato che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, nonostante l’ampia formulazione delle suindicate norme, si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente (cfr. Cassazione penale, sez. III, 10 gennaio 2023, n. 91669; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 giugno 2021, n. 4791; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 18 maggio 2020, n. 841).
Nel caso di specie, come ripetuto, l’intervento in questa sede avversato consiste nella demolizione di un vecchio fabbricato adibito a laboratorio-deposito e nella realizzazione in suo luogo di una palazzina residenziale avente due piani fuori terra ed un piano seminterrato.
Ritiene il Collegio che il nuovo edificio, sia per le sue caratteristiche strutturali che per la funzione cui è adibito la quale introduce un rinnovato carico urbanistico del tutto diverso da quello prodotto dal precedente edificio, non possa che essere considerato alla stregua di una nuova costruzione.
Si deve pertanto condividere l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui, per procedere alla sua realizzazione, la controinteressata avrebbe dovuto munirsi di permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, richiamato dall’art. 33, primo comma, lett. e ), della legge regionale n. 12 del 2005, e dimostrare che l’area sulla quale esso insiste esprime la necessaria volumetria.
Per queste ragioni deve essere ribadita la fondatezza della censura in esame.
La domanda di annullamento deve essere pertanto accolta, con assorbimento delle censure non esaminate le quali prospettano vizi meno radicali rispetto a quelli sopra evidenziati. Conseguentemente va disposto l’annullamento degli atti impugnati con i motivi aggiunti.